domenica 15 maggio 2011

Londra ed Edimburgo, le due Gran Bretagne
di Nicola Melloni

La consultazione elettorale avvenuta la settimana scorsa nel Regno Unito ha dato risultati molto chiari. Il referendum per modificare il sistema elettorale maggioritario in senso leggermente più proporzionale è fallito miseramente, i Liberal Democratici partner di governo dei Conservatori sono stati duramente puniti ed in Scozia si è registrato il trionfo degli indipendentisti.

Cosa sta succedendo, dunque, tra Londra ed Edimburgo? In Inghilterra il trend a favore dei Libdem, che erano continuamente cresciuti negli ultimi dieci anni, si è bruscamente interrotto e si è tornati al classico sistema diviso tra Tories e Laburisti. Non è una sorpresa. La scelta suicida di Nick Clegg, leader dei Libdem, di entrare nel governo Cameron ha avuto effetti devastanti. Tutte le politiche progressive che quel partito aveva promesso, attirando una fetta consistente di voti di sinistra delusi dal New Labour di Blair, sono state tradite, in nome del compromesso di governo. Compromesso che ha favorito solo i Conservatori che hanno dettato l'agenda politica accontentando i propri elettori mentre Clegg e i suoi pagano per l'azione di governo. D'altronde, chi è soddisfatto di Cameron e del suo gabinetto vota Tory, mentre i delusi votano Labour. L'antipatia per i LibDem è divenuta così forte che il referendum sulla riforma elettorale è naufragato proprio perché sostenuto dai Liberal Democratici. Anche il supporto dato dal Labour al tentativo di riforma non è servito, con gli elettori di sinistra ben decisi a punire il tradimento di Clegg e del suo partito che rischiava di essere il più avvantaggiato da tale riforma.

La geografia politica dell'Inghilterra sembra dunque polarizzata, con il sud del paese - la grande campagna inglese - fermamente in mano conservatrice, mentre il Nord e le città industriali sono ritornate saldamente in mano laburista. Il contrasto è durissimo, si tratta di due paesi che non si parlano, basti pensare che a Manchester e Liverpool i Conservatori non sono neppure presenti nei consigli comunali. Ma la situazione è ancora più drammatica se si studia il caso scozzese. La Scozia è stata da sempre un bastione Labour ma negli ultimi anni si è registrata la forte ascesa degli indipendentisti che giovedì scorso hanno conquistato la maggioranza assoluta nel parlamento e potranno ora indire un referendum sulla secessione scozzese dal Regno Unito.

Certo i rapporti storici tra Edimburgo e Londra non sono mai stati idilliaci ma quello che sta succedendo è in realtà un fenomeno che va ben oltre i confini britannici. L'Europa tutta viene attraversata da nuovi movimenti che non sono più nazionalisti in senso classico (con qualche eccezione di rilievo, Francia, Svezia, Austria e più drammaticamente in Ungheria) ma regionalisti e secessionisti. Il problema è presente nel Regno Unito, in Italia, in Belgio, in Spagna. Sono casi tra loro molto diversi, con differenti radici storiche ed economiche ma uniti dall'incapacità delle politiche neo-liberali di costruire un sistema economico inclusivo. La polarizzazione del reddito e le politiche classiste, unite all'imperante ideologia dell'utilitarismo divaricano fino a distruggerlo il tessuto sociale di una nazione ed infatti questi movimenti hanno preso nuova linfa dalle difficoltà economiche dell'ultimo decennio e dalla recessione che ha seguito la crisi finanziaria negli ultimi anni. Come al solito, il richiamo al territorio, alla nazione, alla razza rappresenta una via d'uscita facile (e sbagliata!) alle difficoltà economiche - basti pensare ai casi sovietico e yugoslavo.

Anche nel caso scozzese i motivi economici non mancano, con i nazionalisti di Edinburgo che rivendicano la sovranità sui giacimenti petroliferi del Mar del Nord. Questi segnali non vanno sottovalutati ed è il caso di ricordare che il sistema di stati europei, così come noi lo conosciamo, è piuttosto recente e che la storia del continente è sempre stata caratterizzata da continue modifiche ai suoi confini interni. La sfida dell'Unione Europea era di abolire le frontiere, ma farlo solo in nome del mercato rischia di ottenere il risultato opposto. Invece di costruire una democrazia europea fondata sui valori di solidarietà ed eguaglianza che hanno contraddistinto il trend plurisecolare iniziato con la rivoluzione francese, si è deciso di puntare sul mercato unico all'insegna del capitalismo anglosassone. Capitalismo anglosassone che con la sua crisi mette ora a rischio l'esistenza stessa del Regno Unito. Un segnale preoccupante che non può essere sottovalutato.

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