Da pochi giorni è ripreso il lavoro allo stabilimento Fiat di Termini Imerese, dopo tre settimane di sosta obbligata. Ma non c'è futuro per i 2200 addetti dell'azienda Fiat e gli altri duemila dell'indotto. La nuova Ypsilon, che doveva nascere nel 2010 in questo stabilimento, poi rimandata al 2011, vedrà la luce il prossimo anno. Ma in Polonia. Il 18 giugno del 2009 Marchionne dichiarava che lo stabilimento sarebbe stato convertito per altre produzioni industriali. Da alcune indiscrezioni emergeva un'ipotesi di produzione di cabine per trattori. Adesso c'è la chiusura e basta, senza tante discussioni. Invece la discussione su questo stabilimento va ripresa subito, perché qui si gioca una sfida decisiva. Se la Fiat chiude e non si trovano alternative per gli oltre 4 mila lavoratori tra addetti e indotto, questo fatto avrà conseguenze disastrose su tutte le altre vertenze. La forza di Marchionne è stata finora questa: aprés moi le deluge. O le mie condizioni o il nulla, il deserto. Se si riuscisse a dimostrare che esiste un dopo-Fiat, con aziende che ripartono rispettando diritti del lavoro e dell'ambiente, si avrebbe una svolta positiva nella relazione capitale-lavoro nel nostro paese e non solo. Al momento la situazione è molto confusa e oscura. Il ministro Romani ha dichiarato che entro fine gennaio si concluderà l'accordo di programma per Termini Imerese che prevede sette tipologie manifatturiere (di cui due per l'auto) per un totale di 3.300 posti di lavoro. Per Roberto Mastrosimone, segretario della Fiom di Palermo, si tratta di un film già visto. Annunci che producono altri annunci, mentre al sindacato è impedito di conoscere i piani industriali - se ci sono veramente - e capire che fine faranno le diverse qualificazioni delle maestranze quando questo "spezzatino" dovesse essere cucinato. È questo un secondo punto nodale della sfida di Termini: il diritto all'informazione da parte dei lavoratori. In questo caso, dato che la Regione Sicilia, oltre che lo Stato, ci metterà risorse finanziarie, c'è un diritto a conoscere che fine faranno i nostri soldi.
C'è ancora un terzo livello di discussione che la chiusura della Fiat in Sicilia apre. Dato che la fabbrica è stata costruita nel 1970 con lauti finanziamenti della Regione Sicilia (che allo scopo costituì una società mista, la Sicilfiat), oggi l'azienda non può dire «basta, chiudo e mi porto a casa macchinari e attrezzature». La Regione dovrebbe pretendere che rimangano sul territorio le attrezzature o almeno che possano essere acquistate a un prezzo "politico". È un fatto che riguarda tutte le aziende che chiudono dopo essere state lautamente finanziate da enti pubblici. Ci vorrebbe al più presto una legge ad hoc, sull'esempio della legge argentina 2002 che ha permesso l'avvio del sorprendente fenomeno sociale delle "imprese recuperate", che conta ancora oggi più di 400 aziende autogestite e in buona salute. In Italia siamo ancora molto lontani solo dal pensare che una grande azienda possa essere autogestita dalle maestranze, malgrado esistano capacità tecniche e imprenditoriali eticamente orientate. Eppure gli esempi non mancano. La Banca Etica è una banca non profit, con i bilanci a posto e un crescente numero di filiali, malgrado non sia vocata alla massimizzazione del profitto. Il commercio equo e solidale ha ormai superato i cento milioni di euro di fatturato, pagando molto di più i produttori del sud del mondo rispetto al mercato capitalistico.
È possibile immaginare che da Termini Imerese parta un'iniziativa d'impresa che rispetti i diritti dei lavoratori e dell'ambiente e per questo, proprio per questo, riceva un appoggio convinto da parte delle reti del "consumo critico"? In fondo una parte significativa dei consumatori quando deve fare un acquisto non guarda solo al rapporto prezzo/qualità, ma anche al valore sociale (come è stato prodotto) e ambientale. Se la Fiat di Marchionne perde in Italia quote di mercato più di tutte le altre marche straniere non sarà solo perché fa modelli vecchi. Si domandi Marchionne per quale motivo un cittadino italiano dovrebbe comprare oggi un'auto Fiat. Si domandi come mai i sindacati negli Usa fanno campagne e manifestazioni con i cartelli «Buy american» e in Italia nessuno ne ha voglia. Le risposte le può trovare nello sciopero di oggi, anche a Termini Imerese, dove accanto agli operai Fiat - che il 22 febbraio ritorneranno in cassa integrazione - sfileranno studenti e giovani disoccupati per indicare a noi tutti che un'altreconomia e società va costruita se non vogliamo autodistruggerci.
Il Manifesto (30 gennaio 2011)