Una persona orribile, altro non si può dire. Si professa cristiano, ma deve essere rimasto al vecchio testamento. Odia i diversi, da sempre ha raptus omofobici che in altre circostanze farebbero pensare a qualcosa da nascondere. E ha fatto del povero Cucchi il centro della sua ossessione per la droga. Era un drogato, di cosa ci sorprendiamo se muore. Beh, la sorpresa, a prescindere dai risultati del processo, è che una persona possa entra in carcere sano e ne esca morto, o, per fortuna nella maggior parte dei casi, solo malridotto. Perchè lo sanno anche le anime più semplici quello che succede in quelle 4 mura, botte da orbi, insulti, umiliazioni. Certo non sempre, ci mancherebbe pure. Ma Bolzaneto pare non aver insegnato davvero nulla. E il povero Aldrovandi nemmeno.
A parte la carità cristiana che Giovanardi dovrebbe professare, per un rappresentante del popolo dovrebbe esistere almeno un senso democratico. E questo senso democratico dovrebbe obbligare tutti, ma proprio tutti, ad una battaglia di civiltà per un Paese in cui anche chi sbaglia paghi solo nella giusta proporzione. Basterebbe pensare alla Norvegia, dove Brevik si è presentato in tribunale il giorno dopo la strage assolutamente intonso, neanche sfiorato dai poliziotti. Da noi non è così. E questo soprattutto grazie agli incivili come Giovanardi che si rifiutano di far approvare il reato di tortura in Italia, forse nostalgici dei roghi in Campo de' Fiori.
Giovanardi ha costruito una carriera politica sull'odio per il diverso e sulla negazione dei diritti altrui. Ilaria Cucchi, invece, andrà in Parlamento per far diventare l'Italia un paese più civile.
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venerdì 1 febbraio 2013
I carri armati contro la rivoluzione (civile)
Ormai abbiamo capito con chiarezza chi e' il nemico da abbattere in questa campagna elettorale, Ingroia e la sua coalizione di partiti di sinistra. Il perche' e' molto chiaro, sono compagni che sbagliano, anzi, fanno "oggettivamente", come si diceva una volta, il gioco del nemico.
E allora spariamogli addosso, manco fosse la primavera di Praga. Repubblica dedica un articolo un giorno si e l'altro pure ad attaccare i vari candidati. Prima un medico comunista indagato non certo per malaffare (semplicemente una vicenda che vede coinvolti 14 malati e gli effetti delle staminali), poi un sindaco del napoletano messo insieme, nello stesso articolo, all'imputato per camorra Cosentino. Quello che insieme al PD sosteneva il governo Monti, si vede che allora la camorra faceva meno schifo. Soprattutto quando non c'entra nulla con il personaggio in questione che ha idee sul condono edilizio non comunque rispecchiate dalla posizione ufficiale ne' del suo partito (IdV) ne' della coalizione. Bel giornalismo.
Migliorato solo dal titolo su Ingroia che attacca la Boccassini quando e' avvenuto l'esatto contrario, con la magistrata milanese entrata in tackle sciovolato da esplusione contro il leader di RC. Parole piu' che sgradevoli le sue, ma che diventi lei quella attaccata rasenta davvero il ridicolo. E i cannoni li punta anche l'ex eletta PD Lilly Gruber che intitola una puntata del suo improbabile talk-show "la sinistra che fa vincere la destra".
E non basta: la settimana scorsa la CGIL alla sua conferenza programmatica ha invitato solo Vendola e Bersani, escludendo il resto della sinistra. Nonostante quella sinistra fosse al suo fianco quando Camusso&C scioperavano contro la riforma Fornero votata dal PD.
Sarebbe bello se Repubblica facesse le stesse pulci al PD, cosa che invece non avviene. O se i magistrati di area PD avessero lo stesso ribrezzo che nutrono per i magistrati entrati in politica anche per il procuratore Grasso. O se i sindacati invece di fare collateralismo dessero massima voce ai bisogni dei lavoratori, e non dei loro leader. Non sia mai.
In fondo siamo nell'Italia del voto utile, anche se utile non si sa a chi. Voti Vendola e ti ritrovi Monti. Senti la CGIL parlare di lavoro e poi hai il PD contro il referendum sull'articolo 18. Mentre in RC c'e' chi e' a favore del condono, nel PD il segretario e' contro la patrimoniale e a favore del fiscal compact. La trave che hanno negli occhi deve averli davvero acciecati.....
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E allora spariamogli addosso, manco fosse la primavera di Praga. Repubblica dedica un articolo un giorno si e l'altro pure ad attaccare i vari candidati. Prima un medico comunista indagato non certo per malaffare (semplicemente una vicenda che vede coinvolti 14 malati e gli effetti delle staminali), poi un sindaco del napoletano messo insieme, nello stesso articolo, all'imputato per camorra Cosentino. Quello che insieme al PD sosteneva il governo Monti, si vede che allora la camorra faceva meno schifo. Soprattutto quando non c'entra nulla con il personaggio in questione che ha idee sul condono edilizio non comunque rispecchiate dalla posizione ufficiale ne' del suo partito (IdV) ne' della coalizione. Bel giornalismo.
Migliorato solo dal titolo su Ingroia che attacca la Boccassini quando e' avvenuto l'esatto contrario, con la magistrata milanese entrata in tackle sciovolato da esplusione contro il leader di RC. Parole piu' che sgradevoli le sue, ma che diventi lei quella attaccata rasenta davvero il ridicolo. E i cannoni li punta anche l'ex eletta PD Lilly Gruber che intitola una puntata del suo improbabile talk-show "la sinistra che fa vincere la destra".
E non basta: la settimana scorsa la CGIL alla sua conferenza programmatica ha invitato solo Vendola e Bersani, escludendo il resto della sinistra. Nonostante quella sinistra fosse al suo fianco quando Camusso&C scioperavano contro la riforma Fornero votata dal PD.
Sarebbe bello se Repubblica facesse le stesse pulci al PD, cosa che invece non avviene. O se i magistrati di area PD avessero lo stesso ribrezzo che nutrono per i magistrati entrati in politica anche per il procuratore Grasso. O se i sindacati invece di fare collateralismo dessero massima voce ai bisogni dei lavoratori, e non dei loro leader. Non sia mai.
In fondo siamo nell'Italia del voto utile, anche se utile non si sa a chi. Voti Vendola e ti ritrovi Monti. Senti la CGIL parlare di lavoro e poi hai il PD contro il referendum sull'articolo 18. Mentre in RC c'e' chi e' a favore del condono, nel PD il segretario e' contro la patrimoniale e a favore del fiscal compact. La trave che hanno negli occhi deve averli davvero acciecati.....
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Falconi e avvoltoi 2
Proponiamo di seguito il pezzo di Marco Travaglio uscito sul Fatto Quotidiano sulle strumentalizzazioni fatte da media, magistrati e partiti a danno di Antonio Ingroia e Rivoluzione Civile. Un pezzo che si riallaccia al nostro post dei carri armati schierati contro RC. Nessun nemico a sinistra, come si diceva una volta....
di Marco Travaglio
dal Fatto Quotidiano
Due giorni dopo il battibecco Boccassini-Ingroia sulla memoria di Falcone, tutti hanno già dimenticato chi ha cominciato: la Boccassini, col suo “vergognati” a Ingroia per un paragone mai fatto fra se stesso a Falcone. Non è la prima volta che la valorosa pm perde la trebisonda appena sente nominare l’amico ucciso. Il 25 maggio ’92, commemorandolo al Palagiustizia di Milano subito dopo Capaci, puntò il dito su un esterrefatto Gherardo Colombo: “Anche tu diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale?”. E ricordò che, a lei, Falcone telefonava ogni giorno e le aveva confidato “l’ultima ingiustizia subita proprio dai pm milanesi, che gli avevano mandato una rogatoria senza allegati. Giovanni mi telefonò: ‘Che amarezza, non si fidano del direttore degli Affari penali’”. In realtà il pool Mani Pulite di Falcone si fidava: non si fidava di altri dirigenti del ministero, tipo Filippo Verde, poi coinvolto nell’inchiesta Toghe Sporche della stessa Boccassini per rapporti finanziari con Previti & C. Oggi tutti criticano Ingroia per avere ricordato ciò che pensava Borsellino di lui e della Boccassini, perché il giudice non può smentire né confermare. Ma nel ’92 la Boccassini fece la stessa cosa, svelando confidenze di Falcone senz’altro vere, che però Falcone non poteva smentire né confermare. Ma in fondo è una fortuna che quel “vergognati” sia toccato a Ingroia. Immaginiamo se un qualunque pm, a tre settimane dalle elezioni, avesse urlato “vergognati” a Berlusconi, Bersani, o Monti. Sarebbe finito sotto ispezione e processo disciplinare, tv e giornali sarebbero pieni di politici, editorialisti, Csm e Anm strepitanti contro i pm che fanno politica e interferiscono nel voto. Invece niente, silenzio di tomba. Anzi, la prova della politicizzazione dei pm è proprio Ingroia, pm in aspettativa, e non il pm che l’ha insultato con la toga addosso. La macchina del fango è, come sempre, trasversale. Severgnini Casco d’Argento va dalla Bignardi e di chi parla? Di Ingroia, che “chiama la sua lista Rivoluzione civile come se le altre fossero incivili” (potrebbe aggiungere che il Pd si chiama Democratico come se gli altri fossero tirannici, ma non l’aggiunge: “Renzi e Letta mi han chiesto di candidarmi”, povera stella). Panorama accusa Ingroia di avere “sprecato milioni di risorse dello Stato” per indagare sulla trattativa Stato-mafia (avrebbe dovuto pagare di tasca sua). Il mèchato di Libero lo accusa di “minacciare la Boccassini” e svela – intimo com’era di Borsellino – che l’amico Paolo lo chiamava “gobbetto comunista”. Repubblica intervista Grasso che, essendo candidato del Pd, gli insegna a “non usare il ruolo di pm a fini politici”. Poi fa attaccare Ingroia da un noto eroe dell’antimafia: Micciché, quello che voleva togliere i nomi di Falcone e Borsellino dall’aeroporto Punta Raisi perché allontanano i turisti. Il Corriere ricorda che “Falcone non partecipava a convegni di folle osannanti” (è una balla, Falcone andava persino alle Feste dell’Unità e al Costanzo Show, ma fa lo stesso). La Pravdina del Pd, la fu Unità, con tutto quel che succede nel mondo e a Siena, apre la prima pagina col titolo “Ingroia, scontro su Falcone”, lo accusa di “antimafia elettorale” e di essere “un magistrato in prima linea” (si ri-vergogni). Staino fa dire a Berlusconi: “Ma cosa vuole questo Ingroia da noi? Tratta la Boccassini peggio di come la tratto io… si candida in Lombardia per aiutarci a vincere… che si è messo in testa?”. Ma sì, dai, Ingroia è pagato da B. (e pazienza se in Lombardia Ingroia appoggia Ambrosoli mentre l’alleato Monti candida Albertini). Poi finalmente, a pag. 11, un luminoso esempio da seguire: Ottaviano Del Turco. Per chi non l’avesse ancora capito: nel paese governato da ladri, affaristi e mignotte, il problema è Ingroia. Invece di nominare Falcone invano, vada a rubare come tutti gli altri.
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di Marco Travaglio
dal Fatto Quotidiano
Due giorni dopo il battibecco Boccassini-Ingroia sulla memoria di Falcone, tutti hanno già dimenticato chi ha cominciato: la Boccassini, col suo “vergognati” a Ingroia per un paragone mai fatto fra se stesso a Falcone. Non è la prima volta che la valorosa pm perde la trebisonda appena sente nominare l’amico ucciso. Il 25 maggio ’92, commemorandolo al Palagiustizia di Milano subito dopo Capaci, puntò il dito su un esterrefatto Gherardo Colombo: “Anche tu diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale?”. E ricordò che, a lei, Falcone telefonava ogni giorno e le aveva confidato “l’ultima ingiustizia subita proprio dai pm milanesi, che gli avevano mandato una rogatoria senza allegati. Giovanni mi telefonò: ‘Che amarezza, non si fidano del direttore degli Affari penali’”. In realtà il pool Mani Pulite di Falcone si fidava: non si fidava di altri dirigenti del ministero, tipo Filippo Verde, poi coinvolto nell’inchiesta Toghe Sporche della stessa Boccassini per rapporti finanziari con Previti & C. Oggi tutti criticano Ingroia per avere ricordato ciò che pensava Borsellino di lui e della Boccassini, perché il giudice non può smentire né confermare. Ma nel ’92 la Boccassini fece la stessa cosa, svelando confidenze di Falcone senz’altro vere, che però Falcone non poteva smentire né confermare. Ma in fondo è una fortuna che quel “vergognati” sia toccato a Ingroia. Immaginiamo se un qualunque pm, a tre settimane dalle elezioni, avesse urlato “vergognati” a Berlusconi, Bersani, o Monti. Sarebbe finito sotto ispezione e processo disciplinare, tv e giornali sarebbero pieni di politici, editorialisti, Csm e Anm strepitanti contro i pm che fanno politica e interferiscono nel voto. Invece niente, silenzio di tomba. Anzi, la prova della politicizzazione dei pm è proprio Ingroia, pm in aspettativa, e non il pm che l’ha insultato con la toga addosso. La macchina del fango è, come sempre, trasversale. Severgnini Casco d’Argento va dalla Bignardi e di chi parla? Di Ingroia, che “chiama la sua lista Rivoluzione civile come se le altre fossero incivili” (potrebbe aggiungere che il Pd si chiama Democratico come se gli altri fossero tirannici, ma non l’aggiunge: “Renzi e Letta mi han chiesto di candidarmi”, povera stella). Panorama accusa Ingroia di avere “sprecato milioni di risorse dello Stato” per indagare sulla trattativa Stato-mafia (avrebbe dovuto pagare di tasca sua). Il mèchato di Libero lo accusa di “minacciare la Boccassini” e svela – intimo com’era di Borsellino – che l’amico Paolo lo chiamava “gobbetto comunista”. Repubblica intervista Grasso che, essendo candidato del Pd, gli insegna a “non usare il ruolo di pm a fini politici”. Poi fa attaccare Ingroia da un noto eroe dell’antimafia: Micciché, quello che voleva togliere i nomi di Falcone e Borsellino dall’aeroporto Punta Raisi perché allontanano i turisti. Il Corriere ricorda che “Falcone non partecipava a convegni di folle osannanti” (è una balla, Falcone andava persino alle Feste dell’Unità e al Costanzo Show, ma fa lo stesso). La Pravdina del Pd, la fu Unità, con tutto quel che succede nel mondo e a Siena, apre la prima pagina col titolo “Ingroia, scontro su Falcone”, lo accusa di “antimafia elettorale” e di essere “un magistrato in prima linea” (si ri-vergogni). Staino fa dire a Berlusconi: “Ma cosa vuole questo Ingroia da noi? Tratta la Boccassini peggio di come la tratto io… si candida in Lombardia per aiutarci a vincere… che si è messo in testa?”. Ma sì, dai, Ingroia è pagato da B. (e pazienza se in Lombardia Ingroia appoggia Ambrosoli mentre l’alleato Monti candida Albertini). Poi finalmente, a pag. 11, un luminoso esempio da seguire: Ottaviano Del Turco. Per chi non l’avesse ancora capito: nel paese governato da ladri, affaristi e mignotte, il problema è Ingroia. Invece di nominare Falcone invano, vada a rubare come tutti gli altri.
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Uno spettro si aggira per l'Europa....
E non è, ahime, lo spettro del comunismo. Secondo Ha Joon Chang sono, invece, gli scansafatiche, i veri responsabili della crisi del capitalismo. O così, almeno, vogliono farci credere. I nostri problemi nascono col welfare state, con le troppe tasse per i ricchi, con i Greci che van troppo in vacanza o in pensione troppo presto, etc etc... L'economista di Cambridge, però, la pensa diversamente. Come sempre è un "discorso" da intendersi alla Foucault, o ancora meglio una prova di egemonia della classe dominante che, attraverso menzogne ripetute continuativamente, impone al centro del dibattito politico falsi temi per eludere le vere questione della crisi europea....
di Ha Joon Chang
da Guardian
"A spectre is haunting Europe." Thus began the famous opening passages of The Communist Manifesto by Karl Marx and Friedrich Engels.
Today, once again, Europe is haunted by a spectre. But, unlike back in 1848 when Marx and Engels wrote those passages, it is not communism, but laziness.
Gone are the days when the upper classes were terrified of the angry mob wanting to smash their skulls and confiscate their properties. Now their biggest enemy is the army of lazy bums, whose lifestyle of indolence and hedonism, financed by crippling taxes on the rich, is sucking the lifeblood out of the economy.
In Britain, the coalition government constantly slags off those welfare slobs in the working class suburbs, sleeping off their hard night's slog with Sky Sports and online casino. It is their shameless demand for "something for nothing", pandered to by the previous Labour government, we are told, that has created the huge deficits that the country is struggling to get rid of.
In the eurozone, many believe that its fiscal crisis can be ultimately traced back to those lazy Mediterranean types in Greece and Spain, who had lived off hard-working Germans and Dutch, spending their time sipping espresso and playing card games. Unless those people start working hard, it is said, the eurozone's problems cannot be fixed.
The problem with this story is that it is, well, just a story.
First of all, it is important to reiterate that the fiscal deficits in the European countries, including Britain, are largely due to the fall in tax revenues following the finance-induced recession, rather than to the rise in welfare spending. So, attacking the poor and eviscerating the welfare state is not going to cure the underlying cause of the deficits.
Moreover, on the whole, poorer people typically work harder. They usually work in jobs with longer hours and tougher working conditions. Except for a tiny minority, they are poor despite the welfare state, not because of it.
The point comes into a sharper relief, if we compare nations. According to the Organisation for Economic Co-operation and Development, people in Greece, that famous nation of skivers, worked on average 2,032 hours in 2011 – only a shade less than the supposedly workaholic South Koreans (2,090 hours). In the same year, the Germans worked only 70% as long (1,413 hours), while the Netherlands was officially the "laziest" nation in the world, with only 1,379 hours of work per year. These numbers tell us that, whatever else is wrong with Greece, it is not the laziness of their people.
Now, if the laziness story has such flimsy bases in reality, why is it so widely believed? It is because, in the past three decades of dominance by free-market ideology, many of us have come to believe in the myth of the individual fully in charge of his/her destiny.
Starting from Disney animations we watch as young children telling us that "if you believed in yourself, you can achieve anything", we are bombarded with the message that individuals, and they alone, are responsible for what they get in their lives. This is what I call the L'Oreal principle – if some people are paid tens of millions of pounds a year, it must be because they're "worth it"; if others are poor, it must be because they are either not good enough or not trying hard enough.
Now, it is politically difficult to criticise the poor for their incompetence, so the attack is focused on the mythical lazy slob, who has no moral leg to stand on. But then the end result is the dismantling of a whole set of policies and institutions that help all poor people in the name of punishing the lazy.
The beauty of this worldview – for those who disproportionately benefit from the current system – is that, by reducing everything down to individuals, it draws people's attention away from the structural causes of poverty and inequality.
It is well known that poor childhood nutrition, lack of learning stimulus at deprived homes, and sub-par schools restrict capability developments of poor children, diminishing their future prospects. When they grow up, they have to contend with all sorts of prejudices that constantly discourage and deflate them, especially if they have the wrong gender or the wrong skin colour.
With these sandbags on their legs, the poor find it difficult to win the race even in the fairest market. Markets are frequently rigged in favour of the rich, as we have seen from a series of recent scandals surrounding deliberate mis-selling of financial products, lies told to the regulators, to the rigging of the Libor rate.
More importantly, money gives the super-rich the power even to rewrite the basic rules of the game by – let's not mince our words – buying up politicians and political offices (think of all those former banker-turned-US treasury secretaries). Many deregulations of the financial and the labour market, as well as tax cuts for the rich, in the last three decades are results of such money politics.
By turning the debate into a morality tale of laziness, the rich and powerful can divert people's attention away from all of these structural problems that create more poverty and inequality than is necessary.
All of this is not to say that individual talents and efforts should not be rewarded. Attempts to completely suppress them can create societies that are ostensibly equal but fundamentally unfair, as in the former socialist countries.
However, it is vital to recognise that
poverty and inequality also have structural causes and start a real
debate on how to change those things. Ridding the debate of the
pernicious and baseless myth of the lazy mob is an important first step
in that direction.Europe is haunted by the myth of the lazy mob
di Ha Joon Chang
da Guardian
"A spectre is haunting Europe." Thus began the famous opening passages of The Communist Manifesto by Karl Marx and Friedrich Engels.
Today, once again, Europe is haunted by a spectre. But, unlike back in 1848 when Marx and Engels wrote those passages, it is not communism, but laziness.
Gone are the days when the upper classes were terrified of the angry mob wanting to smash their skulls and confiscate their properties. Now their biggest enemy is the army of lazy bums, whose lifestyle of indolence and hedonism, financed by crippling taxes on the rich, is sucking the lifeblood out of the economy.
In Britain, the coalition government constantly slags off those welfare slobs in the working class suburbs, sleeping off their hard night's slog with Sky Sports and online casino. It is their shameless demand for "something for nothing", pandered to by the previous Labour government, we are told, that has created the huge deficits that the country is struggling to get rid of.
In the eurozone, many believe that its fiscal crisis can be ultimately traced back to those lazy Mediterranean types in Greece and Spain, who had lived off hard-working Germans and Dutch, spending their time sipping espresso and playing card games. Unless those people start working hard, it is said, the eurozone's problems cannot be fixed.
The problem with this story is that it is, well, just a story.
First of all, it is important to reiterate that the fiscal deficits in the European countries, including Britain, are largely due to the fall in tax revenues following the finance-induced recession, rather than to the rise in welfare spending. So, attacking the poor and eviscerating the welfare state is not going to cure the underlying cause of the deficits.
Moreover, on the whole, poorer people typically work harder. They usually work in jobs with longer hours and tougher working conditions. Except for a tiny minority, they are poor despite the welfare state, not because of it.
The point comes into a sharper relief, if we compare nations. According to the Organisation for Economic Co-operation and Development, people in Greece, that famous nation of skivers, worked on average 2,032 hours in 2011 – only a shade less than the supposedly workaholic South Koreans (2,090 hours). In the same year, the Germans worked only 70% as long (1,413 hours), while the Netherlands was officially the "laziest" nation in the world, with only 1,379 hours of work per year. These numbers tell us that, whatever else is wrong with Greece, it is not the laziness of their people.
Now, if the laziness story has such flimsy bases in reality, why is it so widely believed? It is because, in the past three decades of dominance by free-market ideology, many of us have come to believe in the myth of the individual fully in charge of his/her destiny.
Starting from Disney animations we watch as young children telling us that "if you believed in yourself, you can achieve anything", we are bombarded with the message that individuals, and they alone, are responsible for what they get in their lives. This is what I call the L'Oreal principle – if some people are paid tens of millions of pounds a year, it must be because they're "worth it"; if others are poor, it must be because they are either not good enough or not trying hard enough.
Now, it is politically difficult to criticise the poor for their incompetence, so the attack is focused on the mythical lazy slob, who has no moral leg to stand on. But then the end result is the dismantling of a whole set of policies and institutions that help all poor people in the name of punishing the lazy.
The beauty of this worldview – for those who disproportionately benefit from the current system – is that, by reducing everything down to individuals, it draws people's attention away from the structural causes of poverty and inequality.
It is well known that poor childhood nutrition, lack of learning stimulus at deprived homes, and sub-par schools restrict capability developments of poor children, diminishing their future prospects. When they grow up, they have to contend with all sorts of prejudices that constantly discourage and deflate them, especially if they have the wrong gender or the wrong skin colour.
With these sandbags on their legs, the poor find it difficult to win the race even in the fairest market. Markets are frequently rigged in favour of the rich, as we have seen from a series of recent scandals surrounding deliberate mis-selling of financial products, lies told to the regulators, to the rigging of the Libor rate.
More importantly, money gives the super-rich the power even to rewrite the basic rules of the game by – let's not mince our words – buying up politicians and political offices (think of all those former banker-turned-US treasury secretaries). Many deregulations of the financial and the labour market, as well as tax cuts for the rich, in the last three decades are results of such money politics.
By turning the debate into a morality tale of laziness, the rich and powerful can divert people's attention away from all of these structural problems that create more poverty and inequality than is necessary.
All of this is not to say that individual talents and efforts should not be rewarded. Attempts to completely suppress them can create societies that are ostensibly equal but fundamentally unfair, as in the former socialist countries.
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/jan/29/myth-lazy-mob-hands-rich
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