sabato 31 marzo 2012

L'ora della terra 2012

Resistenza Internazionale farà il buio, per accendere un mondo anche solo un pochino più sostenibile.

Il 31 Marzo torna L'Ora della Terra, il più grande evento globale del WWF.
Il mondo si spegne per un'ora: città, monumenti, singole abitazioni.
Un gesto simbolico contro i cambiamenti climatici ma anche l'impegno, concreto, di ognuno sulla strada della sostenibilità.

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Dobbiamo fare sacrifici!
Di Gaetano Ciaravella

Dobbiamo fare sacrifici !!
In tempi di mistiche catastrofi eccoci tutti , umili cittadini Italiani, a ravanare nelle tasche, a ridurre i metriquadri dei nostri appartamenti (cresciuti sia nella valutazione che nell' imposizione [non imponibile]) e richiedere scontrini a chi non ne ha mai fatti.
A questi tempi siamo giunti smacchiando i giaguari e guardando le tette delle veline tra una sniffata ed un' altra di una vita che non appartiene al senso delle responsabilita' attibuite dal popolo ai popolani, ma fa parte di una fantasia contorta degli stupratori della MIA e TUA Costituzione.

Da questi tempi si cerca di uscirne scarnificando il costante pagatore (certo pagatore) : il dipendente.
Lo si denigra, maltratta, offende e turlupina, attribuendogli il male dei mali: l'incapacita' di rendere produttivo il Paese.
Beh che dire!!!Anzi cosa sentirsi dire???
La politica non esiste!!
Certo e' facile attribuire ad un comune senso del dovere e del curare (la politica) l'incapacita' di poter far fronte alle crisi bancarie create ad hoc (e coperte sempre dai noi poveri "fessi).
E' facile attribuire alla politica l'impossibilita' di comprendere dove far leva ed essere forte e dove essere ligia alla Costituzione.
E' facile attibuire alla politica la capacita di creare un "postificio di clientele " un mostro ingordo che spende percentuali da brivido con ragionamenti da supercazzola!
E' facile fare il quaquaraqua (preso da "Il giorno della civetta" di Sciascia) e poi attibuire le cause al concetto e salvare l'applicatore del concetto!
Si ! perche di questo oggi siamo permeati: da personaggi in cerca di voti che attribuiscono alla POLITICA le loro nefandezze, le loro incapacita' e le loro inadeguatezze nei confronti delle responsabilita' attribuitegli dal popolo.

OGGI LA POLITICA NON ESISTE!!
Se mi consentite (senza prendere spunto dal Cavaliere) due piccole parole le vorrei dire: OGGI VOI POLITICI NON ESISTETE!!
OGGI DIMOSTRATE TUTTA LA VOSTRA PICCOLEZZA!!

Non esistete perché ancora oggi non siete in grado di avere ben chiare le idee su come essere risollevare lo Stato senza premere su una classe che negli anni 70 era classe media ed oggi ha ragiunto la soglia di poverta'!!!
Non esistete perche se una casta (vedi in questi mesi gli scioperi dei cavalli bianchi o dei notificatori di pubblici avvenimenti) si impunta , voi calate non solo la testa ma altro ... tralasciando per un attimo il ruolo che avete (e quell'attimo fugge!!)
Non esistete perche vi dilapidate i MIEI SOLDI E QUELLI DEI MIEI GENITORI in affari finanziari, in operazioni di borsa e in minchiate che portano ad avere milioni di EURO spesi per emerite e grasse rappresentazioni di sbeffeggiamento della poverta'.
Non esistete perché il potere per voi e' fonte di vita e linfa vitale e' come l'aria , l'acqua ed il cibo che tentate sempre di toglierci.
NON ESISTETE quando fate pagare a noi le cazzate ( i vari articoli sul blog evidenziano l'azione delle banche) che le BANCHE hanno fatto!

ESISTE INVECE IL POPOLO e LA SUA VOGLIA DI PARTECIPAZIONE : e questa e' POLITICA!
E allora io faccio sacrifici, pago più tasse, piu rincari e piu di tutto !! E cosa voi, demandati da me, avete fatto per far si che i responsabili pagassero?

Ebbene si: se fossi Cetto la qualunque direi :" UNA BEATA MINCHIA!!!"
Perche purtroppo e' cosi. Dobbiamo fare sacrifici perche' solo cosi un imprenditore puo' dichiarare meno di un dipendente pubblico, perche' solo cosi un gioielliere puo dichiarare meno di 20.000 euro, dobbiamo fare sacrifici perché solo cosi gli altri hanno le barche e noi affondiamo nei debiti e nella miseria!!


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venerdì 30 marzo 2012





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Aggiornamento delle rubriche di Resistenza Internazionale

The City of London:
"Recessione in Italia, crisi in Spagna...e poi?"

Che succede? Non ci avevano forse detto che la cura Monti stava avendo effetto? Che l'economia reale ci avrebbe messo ancora un pò a riprendersi ma eravamo sulla strada giusta, mentre lo spread sarebbe continuato inesorabilmente a calare? E lo stesso pareva vero per la Spagna.
In effetti, per qualche mese lo spread era calato, anche se i motivi andavano cercati a Francoforte...leggi tutto l'articolo

"Io ci metto la faccia":
gli amici di Resistenza Internazionale per "Il Manifesto"

Mauro


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mercoledì 28 marzo 2012

La speranza si chiama Andalusia
Di Monica Bedana



Tutto sembra congiurare contro un libero e sereno esercizio del diritto allo sciopero generale di domani in Spagna. Probabilmente sciopereranno solo i kamikaze disposti a perdere quei 113 euro spietatamente calcolati e sbandierati dalle testate di economia.
Gli impresari da giorni stanno annunciando che boicotteranno i picchetti informativi perché, in linea col Governo e le recentissime direttive dell'UE, “in questi tempi di crisi ciò che meno necessita il Paese è uno sciopero generale”; l'accordo per i servizi minimi non è stato raggiunto in ben 8 regioni; i dati macro pervenuti oggi dagli Stati Uniti hanno seminato il panico nell'Ibex 35; infine, da giorni si vocifera di un piano di salvataggio da parte dell'UE per ristrutturare le banche spagnole, nonostante Monti vada per il mondo a predicare che “la crisi della zona euro è quasi terminata”.

La giornata di sciopero precederà quella in cui il Governo presenterà al Parlamento la riforma del lavoro. Il clima è teso come una corda di violino non solo per le fortissime penalizzazioni previste dalla riforma per i lavoratori - molto simili a quelle su cui si sta discutendo in Italia - , ma anche per la mancanza totale di dialogo previo, di possibilità di trattativa tra Governo e parti sociali. O meglio, tra Governo e sindacati, perché in realtà la riforma gode del plauso unanime del mondo imprenditoriale. Il Governo liberista che sotto la guida di Aznar fomentò a dismisura la bolla nell'edilizia e favorí l'anarchia tossica del settore bancario, tornato al potere sa fornire un' unica ricetta affinché l'economia spagnola torni ad essere competitiva: comprimere all'osso i salari e, con essi, i diritti dei lavoratori. E porgere all'Europa come un trofeo il risultato dello scempio sociale.

Ma non tutto sarà più blu per Rajoy dopo le elezioni in Andalusia di domenica scorsa. Lí continueranno a governare i socialisti pur avendo perso 9 deputati; lo faranno con il contributo essenziale di Izquierda Unida, che ne ha guadagnati 6. L'opposizione al Governo si sposterà quindi in blocco in Andalusia, il futuro vero barometro della tendenza politica del Paese; ed Izquierda Unida ne  sarà il motore. Perché l'Andalusia è la regione più popolosa della Spagna, quella che più dipende dagli aiuti dello Stato, quella che ha più disoccupati. Solo da lí potrà ripartire la riconquista dello stato sociale grazie ad un partito che senza esitazioni si è schierato col sindacato, con i lavoratori e la loro lotta per il futuro.
“Nos vemos en las calles”, ci vediamo per le strade, il messaggio di Izquierda Unida per domani e per l'Europa. Per la sinistra di tutta Europa.

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Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale"

"The City of London":
La fine della concertazione: era ora!

La contro-riforma Fornero sul lavoro ha un obiettivo chiaro, e non è certo la riforma dell'art.18, che ha effetti pratici piuttosto limitati. Di sicuro non aiuterà l'occupazione, questo lo può capire chiunque e lo sanno benissimo sia Fornero che Monti.

Molto più importante, per il governo dei tecnici, far passare 2 questioni di principio, che sono nel DNA della destra liberista. Uno è il modello Marchionne, in fabbrica comanda il padrone ed il lavoro è una semplice merce. Che esista un mercato del lavoro, e che quindi il lavoro stesso sia una merce è, ovviamente, una lapalissiana verità. Il problema sono, come sempre, le leggi e le istituzioni che regolano un mercato, ed in questo caso si tolgono protezioni al lavoro e si dà mano libera al capitale...leggi tutto l'articolo

"Serenissima":
Perché mia nonna dovrebbe pagare l'IMU sulla seconda casa?

Pauper ubique iacet.
"Il povero è comunque a terra". E' un motto di Ovidio.

Il Governo Monti ci obbliga, giorno dopo giorno, a mettere in piazza le cose di casa, l'intimità familiare, per denunciare cosa ci sta succedendo. E anche questo è ledere la dignità di un cittadino. E' doloroso ma nemmeno oggi ho scelta, racconto una storia da com-patire (senso latino, "soffrire insieme") sicuramente vissuta da altre migliaia di persone.

La mia nonna ha 90 anni e sta in una casa di riposo da tempo. Possiede una casa in cui non tornerà a risiedere e che inizia pure a cadere a pezzi. Grazie alla norma numero 13 del decreto "Salva Italia"...leggi tutto l'articolo


martedì 27 marzo 2012

La logica del ricatto

Monti-Mosè è tornato con le tavole della legge (sul lavoro) e ha trovato un popolo di somari che non lo segue. Peccatori come gli ebrei di un tempo, sembrano aver spazientito il pastore che li porta fuori dall'Egitto, pardon, dalla crisi finanziaria.
Il giorno prima aveva mandato alla carica il suo panzer, lady Fornero, la versione feroce e destrorsa di Sacconi. Niente riforma a polpette (a parte quelle avvelenate per i lavoratori), se la riforma sarà stravolta, il governo ne trarrà le conseguenze. E ieri invece è stato Monti a mettere il carico, se il Paese non è pronto, allora il governo lascerà. Ma pronto per cosa? Per una "riforma" che non è giustificata da nessuno studio serio? Per una regressione di 40 anni nei diritti dei lavoratori? Per una dialettica politica che vada oltre alle decisioni prese in un palazzo ma che sia la rappresentazione di quello che il popolo vuole?
Monti&Fornero si erano abituati bene, la stangata sulle pensioni, inutile e punitiva, era passata a tamburo battente, lo spread era alto e Mosè doveva aprire le acque del Mar Rosso.  Ora si pretende un anno e mezzo (almeno) di democrazia limitata. E si svela finalmente l'inganno del governo legittimo perchè votato dal Parlamento. No, il governo è stato imposto al Parlamento in nome dell'emergenza. E non può esistere dialettica, o si fa come dice il Messia o tutti a casa - naturalmente paventando ritorsioni finanziarie degne delle dieci piaghe d'Egitto. Un governo senza mandato elettorale, un assurdo politico, si permette di spiegare al paese che se non è pronto, allora addio, una sorta di ricatto bis dopo quello della paccata dei miliardi di Fornero.
Ebbene, in una vera democrazia, quando uno degli architravi di una coalizione dice di voler modificare un provvedimento, e la risposta del governo è un ricatto, se ne devono trarre le conseguenze. No, il paese non è pronto per la dittatura dello spread, non è pronto per gli editti coreani, e il governo Monti se ne deve andare.  


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lunedì 26 marzo 2012

Poche frasi storiche per capire la riforma del lavoro
Di Monica Bedana

Tu vai in campo e bastona tutto quello che vedi passare.
Se tocchi anche il pallone, pazienza.
Legge di Rocco sulla difesa aggressiva


“Non credo che noi stiamo per aprire le porte ad una valanga di licenziamenti facili sulla base dell'articolo 18”. Napolitano, il giorno della commemorazione dell'eccidio delle fosse Ardeatine. In tale ricorrenza, il rapporto potrebbe essere di 10 licenziati per ogni assunto precario.



Prosegue Napolitano: “Anche perché bisogna sapere a cosa si riferisce l'articolo 18”.
Eh, appunto, saperlo. E capirlo, soprattutto.


Dal "Corriere" si sottolinea un punto essenziale di questa riforma: "I congedi di paternità obbligatori saranno introdotti per la prima volta in Italia anche se delude la brevità dell'astensione retribuita dal lavoro per i papà contenuta a soli tre giorni. Si poteva far di più?"  Sí, si poteva. Per i neopadri ultracinquantenni che solo a quell'età, grazie alla suddetta riforma, avranno il primo impiego fisso, si poteva anche regalare una visita  controllo alla prostata.

Sempre dal “Corriere”: "Va riconosciuta la novità assoluta dell'approccio sul lavoro femminile che occupa un intero capitolo della riforma".
Novità assoluta. Cosí assoluta che, come direbbe Napolitano, bisogna sapere a cosa si riferisce.
“Un intero capitolo”. Si vocifera che l'abbia scritto Totti.


Il documento ufficiale del Governo s'intitola: “La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. Anche qui, in quanto a crescita, bisogna sapere a cosa si riferisce.


Fornero: “Possibile modifica ma no a riforma ridotta a polpette”. Peccato, perché le polpette con gli spaghetti al pomodoro sono un grande classico che cementa gli italiani.


Fornero, bis: “Come sempre, avremmo voluto fare di più”. “Ai precari avremmo voluto dare di più”. Mancano Morandi, Tozzi e Ruggeri e poi è pronta per vincere Sanremo.


Fornero, ter: “L'intenzione del Governo non è quella di calpestare i diritti”. A colazione sul lago a primavera, pensava di sicuro alle aiuole di casa sua. Sempre meglio una buona potatura. 

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Diffondiamo l' appello del comitato direttivo di Lavoro e Diritto, Bologna, Il Mulino, per una buona modifica dell'articolo 18

Al presidente del Consiglio, al ministro del lavoro, ai segretari confederali di Cgil-Cisl-Uil, al
presidente di Confindustria, di Rete-impresa e altre ass. partecipi del confronto tra governo e
parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro
Per una buona modifica dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori

appello del comitato direttivo di Lavoro e Diritto, Bologna, Il Mulino:
Umberto Romagnoli, Gian Guido Balandi, Luigi Mariucci, Maria Vittoria Ballestrero, Franca
Borgogelli, Gisella De Simone, Donata Gottardi, Oronzo Mazzotta, Stefania Scarponi
16 marzo 2012

L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ha un significato al tempo stesso reale e simbolico.
Il significato reale consiste nell’estendere ai contratti di lavoro la stessa sanzione prevista per
l’illegittimità di qualsiasi atto commesso tra privati. Se un licenziamento è illegittimo l’art.18
dispone che quell’atto sia rimosso, come accade quando si fa abbattere l’opera costruita da
un vicino lesiva del diritto di proprietà del confinante e come accade in tutte le forme di
inadempimento contrattuale, in cui è il creditore adempiente che può scegliere fra esecuzione del
contratto e risarcimento dei danni. Nel diritto del lavoro tale rimozione si chiama “reintegrazione”.
Questa semplice previsione (annullare il licenziamento illegittimo, reintegrare il lavoratore e
risarcirlo del danno subito) esercita una rilevante forza deterrente, e rende praticabili i diritti dei
lavoratori nel concreto svolgersi dei rapporti di lavoro, a partire da quelli sindacali. Chi sa di poter
fruire di una tutela contro il licenziamento illegittimo ha infatti molte più possibilità di agire per
rendere effettivi i suoi diritti di fondo nello svolgimento del rapporto di lavoro. Tutto ciò oggi
non possono fare i lavoratori precari, a termine, somministrati, assunti con pseudocontratti di
lavoro autonomo ecc., i quali, in attesa della auspicata stabilizzazione, sono indotti a subire ogni
condizionamento del datore di lavoro.

A ciò si aggiunga che l’obbligo di motivare il licenziamento ed il conseguente diritto alla
reintegrazione costituiscono l’unico effettivo baluardo nei confronti dei licenziamenti
discriminatori, per cui continuare ad affermare che la reintegrazione resterebbe solo per questi
ultimi costituisce una evidente mistificazione.
L’art. 18 ha tuttavia anche un rilevante significato simbolico: nel sentire comune, la reintegrazione
si identifica con l’idea che tra il lavoro e l’impresa, tra il mercato e la dignità del lavoro, debba
esistere un equilibrio, un bilanciamento, una equa distribuzione del potere.
Non può sfuggire tuttavia che nella applicazione di tale sacrosanto principio alcune cose non
funzionino. Non funzionano anzitutto i tempi del processo del lavoro. Se tra primo, secondo e terzo
grado i tempi di una controversia in tema di licenziamento si aggirano, mediamente, salvo i distretti
giudiziari più virtuosi, tra i sei-sette anni, il giusto principio si traduce in un paradosso. Non solo
non ha alcun senso una reintegrazione che avvenga a tanti anni di distanza dal licenziamento, ma
in tal modo l’onere economico del datore di lavoro si amplifica a dismisura. E’ quindi necessario
e urgente introdurre misure speciali di accelerazione delle controversie giudiziarie in materia di
licenziamenti.

L’altra innegabile disfunzione consiste nel campo di applicazione ora previsto per l’art. 18,
individuato nelle unità produttive con più di 15 dipendenti. Tale discrimine fu determinato a suo
tempo dallo Statuto sia per l’applicazione dell’art.18 che per la costituzione delle rappresentanze
sindacali aziendali e la conseguente fruizione dei diritti sindacali in azienda. Tale soglia, relativa
alla mera dimensione occupazionale, va considerata obsoleta, a fronte dei diffusi processi di
esternalizzazione del ciclo produttivo e delle previsioni relative al mancato calcolo di un numero
rilevante di dipendenti (apprendisti, somministrati, lavoratori a termine ecc.). Essa andrebbe
sostituita con parametri riferiti alla effettiva dimensione economica dell’impresa, secondo le
indicazione già formulate dalla Unione europea.
L’art. 18 va quindi modificato sul piano della sua funzionalità, non del suo principio di fondo.

Mutuando la risalente affermazione di un grande dirigente sindacale, Giuseppe Di Vittorio, si
potrebbe dunque dire così: “l’art. 18 va cambiato sul piano applicativo, non per le ragioni per cui ce
lo chiedono gli avversari, ma per le nostre ragioni”.
Proponiamo quindi di adottare in Italia una disciplina ispirata a quella vigente nella Repubblica
Federale Tedesca fin dalla legge sui licenziamenti del 1951, che si applica a tutte le imprese con
più di 5 dipendenti. Salva restando la radicale nullità, e quindi l’obbligo di reintegrazione, per i
licenziamenti di cui sia provato il carattere discriminatorio, tale disciplina dovrebbe rimettere al
giudice la facoltà di chiedere, per i licenziamenti motivati da ragioni economiche e organizzative,
un parere alle Rappresentanze sindacali unitarie, elette da tutti i lavoratori, ovvero, in mancanza
di queste, alle Rsa, ovvero alle organizzazioni sindacali territoriali. Allo stesso giudice andrebbe
poi rimessa la decisione, fatti salvi i licenziamenti discriminatori, di disporre, in tutti gli altri
casi, la reintegrazione del lavoratore ovvero stabilire un equo indennizzo entro un minimo e un
massimo stabilito dalla legge, in rapporto alla natura del caso, alle dimensioni dell’impresa, al
comportamento delle parti.

Riteniamo in conclusione che l’Italia nel riformare le regole del lavoro debba ispirarsi ai modelli
forti del Nord-Europa, come quello tedesco, orientato ad una ripartizione chiara ed efficace di
diritti e tutele e non a modelli deregolati dei rapporti di lavoro con l’adozione di provvedimenti di
liberalizzazione dei licenziamenti e cancellazione delle garanzie. Si aggiunga che il riferimento al
modello tedesco appare fecondo su molti altri piani: l’avvio di forme effettive di partecipazione dei
lavoratori all’impresa, la regolazione della rappresentanza sindacale e dell’efficacia dei contratti
collettivi e il più complessivo riassetto delle relazioni industriali.

* L'appello può essere sottoscritto mandando una mail a laura.calafa@univr.it

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domenica 25 marzo 2012

Monti: un evidente problema di inadeguatezza comunicativa
Di Monica Bedana

E' irritante il governo dei tecnici bocconiani e dei banchieri nella sua costante incapacità di usare il registro adeguato nel linguaggio. Azzeccare il registro significa, per chi parla, sapersi adeguare alla situazione comunicativa; nella maggior parte dei casi è questione di buon senso, di tatto e di sensibilità. Nel caso di un politico (perché Monti politico è o come tale esercita) è sinonimo di arguzia. Nel caso di un presidente del Governo, il registro giusto dovrebbe esprimere sempre l'essenza, la sintesi di tutto il suo programma per il Paese; è con le parole, per prime, che si dimostra di essere all'altezza di una situazione, di un incarico.

Ci vergognavamo come bestie delle barzellette e delle uscite di tono di Berlusconi; poi i più hanno accolto con sollievo l'aplomb di Monti, che almeno nella forma ci risparmiava molte brutte figure di fronte al mondo.
Nella sostanza invece niente è cambiato: questo governo "non sa stare, non sa comportarsi" e, per giunta, esce di tono in modo saccente, tedioso e piscia fuori dal boccale con una frequenza sempre più preoccupante. Ormai non si contano più le dichiarazioni "male interpretate" e le smentite più imbarazzanti delle dichiarazioni stesse.

Ieri il presidente del Governo ha detto a Cernobbio, alla Confcommercio, che la Spagna sta dando a tutta l'Europa motivi di grande preoccupazione perché i suoi tassi di interesse crescono, non ha prestato la minima attenzione ai suoi conti pubblici e ciò può essere contagioso per l'Italia in breve.Eppure solo un mese fa aveva elogiato con enfasi la politica economica di Rajoy a Roma.

"Profondo malessere" immediato a Madrid, che ha obbligato poi Roma ad emettere un comunicato stampa in cui l'Italia "sottolinea la piena fiducia verso il Governo spagnolo", che "non è più focolaio di infezione".
Sí, focolaio di infezione.
E se domani in Italia la peste bubbonica dello spread si espande, l'untore sarà Rajoy.


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sabato 24 marzo 2012

Il Corriere ipocrita e la riforma del lavoro

Si continua con la guerra di propaganda dei giornali filo-governativi e padronali. Dopo le inquietanti parole di Scalfari contro l'opposizione, il regime mediatico mette in campo un altro pezzo da 90, il direttore del Corriere De Bortoli.
Che difende la riforma del mercato del lavoro, ed ha pieno diritto di farlo, sia chiaro. Ma che rifiuta di dare notizie, e non fa buon giornalismo, e questo, invece, è un peccato piuttosto grave. De Bortli catechizza tutta la sinistra, a cominciare dal PD, reo di vivere ancora in un clima novecentesco popolato dai fantasmi della lotta di classe, figuriamoci. Non è più questa la situazione, i padroni son diventati imprenditori, e siamo tutti sulla stessa barca, figuriamoci se ci può essere dialettica tra chi prende 800 euro al mese e chi fa guadagni milionari (qualcuno ci sarà pure, caro De Bortoli, se il 50% della ricchezza è detenuto dal 10% della popolazione, no?).
Ma soprattutto le parole del direttore del Corriere della Sera paiono drammaticamente fuori luogo nel giorno in cui escono le motivazioni del giudice che ha imposto (disatteso!) il reintegro dei 3 operai della Fiat di Melfi. Quelle motivazioni sono chiare, Giovanni, Marco ed Antonio sono stati licenziati perchè iscritti alla FIOM. Questo è il clima delle fabbriche, questo è quello che succederà nel momento in cui non ci sarà più l'art.18 a difendere non i privilegi degli operai, ma quella parola di cui Scalfari e De Bortoli sembrano aver dimenticato il significato, DEMOCRAZIA. Perchè democrazia è esser libero di aver opinioni diverse dal proprio padrone, senza poter esser licenziato. Magari attraverso il sotterfugio del licenziamento economico, due soldi per liberarsi di chi non ci piace. Come se le idee avessero un prezzo.  



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venerdì 23 marzo 2012

sulle nostre rubriche

The City of London

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Stato e Mercato, VI:
La privatizzazione della sanità spagnola.
Hasta luego, Zapatero
Di Ugo F.

E' giovane la legge con cui in Spagna si crea il sistema nazionale di salute pubblica; risale al 1986. E solo nel 1989 diventa universale il diritto all'assistenza sanitaria pubblica, sancito anche dalla Costituzione. Questo diritto si snoda nell'applicazione effettiva che le diverse Regioni spagnole ne fanno, coordinate dallo Stato. Il perfetto equilibrio di questo rapporto tra Stato e Regioni nella gestione del diritto all'assistenza sanitaria pubblica viene raggiunto nel 2003 con la “Legge di coesione e qualità del Sistema Nazionale della Salute”. Un sistema di decentralizzazione dei servizi e di osmosi al tempo stesso; l'interazione ben coordinata e la cooperazione tra i vari rami dell'amministrazione pubblica sanitaria, sia statale che regionale, devono garantire al cittadino questi tre diritti, in materia di sanità:

1) l'uguaglianza dei cittadini nell'accedere alle prestazioni sanitarie
2) la qualità del servizio, che integra anche la prevenzione e il disporre delle cure e tecniche migliori
3) la partecipazione sociale

Finora è stata chiara la vocazione preminentemente pubblica del sistema sanitario spagnolo. I sette anni di governo Zapatero hanno potenziato tale predisposizione, soprattutto nel primo periodo di superavit della storia della democrazia spagnola, nel 2005. Perfino con un ministro delle finanze austero come Pedro Solbes, prudentissimo anche in epoche di vacche grasse, la scommessa personale di Zapatero fu di investire molto nella salute pubblica e nella ricerca biomedica, con leggi coraggiose che fecero di questo Paese un punto di riferimento in Europa.

In quest'ottica, il peso del privato nell'ambito sanitario è stato finora relativo. Al privato si riconosceva finora libertà d'impresa e la possibilità di stabilire accordi col settore pubblico a due condizioni:
a) solo laddove esiste la possibilità di migliorare il servizio pubblico, contrattando mezzi di cui quest'ultimo non dispone
b) che ciò non supponga un incremento dei prezzi

L'estate del 2007 iniziò a far traballare uguaglianza, qualità e partecipazione sociale nel settore sanitario in quelle regioni che negli anni prosperi si erano indebitate pesantemente in tutti gli ambiti. Ed ecco che spunta una sempre più netta volontà di cedere al privato una fetta sostanziosa della sanità. Il caso esemplare è quello della sanità catalana, un tempo modello di buon funzionamento, ma dove ora dove i tagli alla sanità pubblica sono stati “alla greca” e la soluzione che si prospetta per superare la crisi è quella di una sempre maggiore collaborazione tra pubblico e privato, con la benedizione del Governo centrale. 

Un serissimo campanello d'allarme suona però in questi giorni nella Comunidad Valenciana, regione storicamente governata dal Partito Popolare e sull'orlo della bancarotta, declassata a livello spazzatura da tutte le agenzie di rating. La Regione ha annunciato di voler cedere ad un'azienda privata la gestione totale di una grossa fetta della propria sanità pubblica. Non solo: tale azienda fa parte di un venture capital britannico con sede nel Lussemburgo. Sarebbe la prima volta che un processo di privatizzazione della sanità pubblica non si limita a commissionare al privato la costruzione di un ospedale ed il suo mantenimiento per un determinato periodo di tempo; in questo caso si affiderebbero a mani private anche la scelta del personale (sanitario e non) e l'assistenza medica totale del 20% della popolazione, circa un milione di pazienti.

In tempi di forte crisi e in una regione che ha sospeso da tempo i pagamenti alle farmacie e agli asili pubblici, la cessione massiccia al privato di settori chiave del welfare viene giustificata con l'apporto di finanziamenti e una non meglio specificata “innovazione” e miglioramento della qualità del servizio a costi contenuti.
In realtà ciò a cui stiamo assistendo (la Comunidad de Madrid, le isole Canarie e Castilla la Mancha stanno seguendo lo stesso modello di gestione della Comunidad Valenciana) è la creazione di un oligopolio privato nella gestione della sanità pubblica; sono pochissime aziende a spartirsi una succulenta e grossa torta. E cosa succederebbe a quel milione di pazienti della zona di Valencia dipendenti da un venture capital se l'azienda che gestisce interamente il loro sistema sanitario fallisse?

In queste operazioni la preoccupazione per la salute dei cittadini inizia soltanto dove finisce quella per l'arricchimento privato. Ed il diritto universale all'assistenza sanitaria pubblica sancito dalla Costituzione nel non lontano 1989 è ora anch'esso ostaggio di quella "regola d'oro" che la Spagna si è affrettata ad introdurre per prima nella propria Costituzione.

Le altre puntate di questa serie:
Ferrovie britanniche
Strade britanniche
Sanità francese
Il sistema scolastico inglese
I trasporti in Francia e a Parigi

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Diliberto, dove è lo scandalo?


 Ma sì, eccola la foto dello scandalo, Diliberto abbraccia e si fa fotografare con una signora che sfoggia una maglietta dalla scritta truce. Sì, una scelta d'abbigliamento che fa rabbrividire, sì, una leggerezza, addirittura una cazzata da parte di Diliberto che dovrebbe stare più attento. Perchè in sta maniera son 2 giorni che si parla di una foto insulsa, invece dei problemi veri.
Ma ora basta. Il ministro Fornero si dice addirittura disgustata, definisce Diliberto indegno di aver ricoperto la carica di ministro e di parlamentare. Per bacco!
Sorvoliamo sul fatto che il ministro Fornero ed il governo di cui lei è parte non si schifa di prendere in Parlamento voti da chi è ben più indegno di Diliberto, trafficoni, traffichini, imputati per mafia, corruttori e gentaglia varia. E pensiamo invece al pulpito da cui viene tale indignazione.
Chiuso nel suo ufficio da tecnico, Fornero ignora quante persone che perdono il lavoro si suicidano (uno degli ultimi casi poche settimane fa, a Sanremo). Quei signori, purtroppo, al cimitero ci vanno per davvero. E le politiche del Ministro Fornero rischiano di mandarcene altri.
D'altronde la Thatcher dè noantri, dovrebbe vedersi forse un pezzo di cinema indimenticabile, Brassed off (Grazie signora Thatcher, in italiano)


(clicka qui per la versione italiana)


Se ascoltasse bene, capirebbe che il lavoro è quello che dà dignità alle persone, la voglia di vincere, di combattere, di sperare, la voglia di vivere. Questa dignità, Fornero e quelli come lei, la vogliono togliere, la vogliono monetizzare. Con qualche spicciolo pensano di comprare la vita dei lavoratori.
L'unica persona indegna, l'unica che si dovrebbe vergognare, è il ministro Fornero. Altro che Diliberto!




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giovedì 22 marzo 2012

Pierluigi, dai, fai cadere il Governo!
Di Monica Bedana

Quando tutti zigano, tu zaga.
Legge di Yobaggi

Ci rifiutiamo di credere che Veltroni avesse ragione un mese fa quando invitava, non a caso dalle pagine Repubblica, il proprio partito a non farsi scippare dal centrodestra quel gran tesoro che è il riformista governo Monti e, soprattutto, ad accogliere la riforma del lavoro senza tabù.

Se il tabù in questione si supera accettando supinamente una riforma del lavoro fatta senza concertazione, di spalle a tutti gli agenti sociali e perfino contro l'opinione dei partiti, allora è vero che questo tabù dobbiamo toglierlo di mezzo. E la via per toglierlo di mezzo è una sola: che Bersani voti contro, che si faccia volentieri scippare dal riformista Monti quei pezzi arrugginiti di partito che è ora di perdere per strada (Veltroni per primo; a ruota D'Alema, Letta, Latorre, Fioroni ed il fu rottamatore Renzi, magari, solo per citarne alcuni) e che con questo gesto ponga la prima pietra di una rigenerazione socialista ancora molto nebulosa nei suoi componenti ma di cui società e politica sentono forte l'esigenza. E se dopo aver causato un tsunami del genere avesse anche l'ardire di togliersi davvero dai c..., perché siamo tutti qui da vent'anni, oltre ad onorare le sue stesse parole potrebbe anche vantarsi di avere davvero smacchiato impeccabilmente il giaguaro.

E' questo il momento di rammendare con amore lo strappo di non essere sceso in piazza col lavoro quasi due settimane fa, con una scusa che era una pippa; di dire a voce alta e senza tentennamenti che in questa riforma non c'è risposta alcuna alla mancanza di lavoro; che gli ammortizzatori sociali non ci sono per tutti e ciò sarà causa di ulteriori, laceranti discriminazioni anche per le generazioni future; che cancellare l'articolo 18 significa dare un calcio in culo ad ogni singolo lavoratore che sia cosciente di 100 anni di lotte per i propri diritti e pretendere di assumere al suo posto solo tabulae rasae prive di ogni coscienza civile e comode da usare e gettare.

Questo ci si aspetta da un partito il cui responsabile delle politiche economiche e sociali scrive nel suo ultimo libro che il lavoro viene prima di tutto e che lo scopo della crescita economica è la crescita della persona (“persona umana”, dice lui, per la verità; la persona è sempre un individuo della specie umana, in realtà, aggiungo io. Stefano, ti passo con affetto la "Legge di Jones sull'editoria": Gli errori si vedono solo quando il libro è stampato).

Dai Pierluigi, buttati a sinistra, che a farti da sponda più di qualcuno c'è. Come minimo ci sono Nichi e Tonino. Dai, che non siam mica qua a fare il parmigiano col latte di soia, che è quel che vogliono Monti e Fornero.

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Il presidente carrista che demolisce la Costituzione

Napolitano è il principale protagonista di questi ultimi mesi di governo. Lo riconoscono in molti, spesso con peana di elogio. Lo si è sostenuto a lungo anche a sinistra, grazie all'attivismo del Presidente si è tenuto in piedi il paese durante gli ultimi patetici mesi del governo Berlusconi, in piena emergenza spread.
Napolitano di fatto ha costretto Berlusconi alle dimissioni, facendogli le scarpe, parlando con i suoi ministri (Tremonti) all'insaputa del premier, nominando Monti senatore a vita per spianargli la strada per Palazzo Chigi. Possiamo solo immaginare lo scandalo l'avesse fatto un Presidente di altro colore politico.
Con la sua moral suasion e il suo potere ha di fatto costretto il PD a digerire il governo tecnico e a rinunciare alle elezioni. Il tutto con la scusa che non ci potevamo permettere le elezioni nel bel mezzo di un attacco speculativo, mentre in Spagna si andava con tutta tranquillità al voto. 
In realtà, era un disegno ben preciso, teso ad esautorare il corpo elettorale, da sempre considerato dall'aristocratico Napolitano come incapace di scegliere bene. D'altronde la sua ala migliorista era quella che se ne infischiava delle piazze, e puntava agli accordi di palazzo, anche con i peggio personaggi della prima Repubblica, a cominciare da Craxi. 
Ed ecco, finalmente, l'occasione di coronare il sogno di gioventù, un governo non tecnico ma super politico, frutto di un abile compromesso politico e supportato da una solida maggioranza in quanto tutti i partiti sono stati costretti dalle circostanze ad accettare il diktat del Quirinale.
Napolitano si è auto-eletto dominus dell'agone politico e non ha perso occasione per intervenire. Si è rifiutato di ricevere i sindaci della Val di Susa, non essendo sua compentenza, ma ha trovato il tempo di dire la sua sulla necessità di raggiungere un accordo sulla riforma del mercato del lavoro, un chiaro segnale alla CGIL di firmare, perchè altrimenti il governo andava avanti anche solo. Detto, fatto.
Il Presidente si è evidentmente dimenticato che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e non sul licenziamento, e mentre Monti&Fornero uccidevano l'art.18, lui spiegava che l'austerità è l'unica via per uscire dalla crisi. Naturalmente austerità per tutti, non per lui. Gonfio e tronfio di aver ridotto di pochi milioni il bilancio del Quirinale, dimentica di dirci che il suo bel Palazzo costa il doppio dell'Eliseo, che ha ben più funzoni, e 10 volte tanto la Presidenza della Repubblica tedesca.
Ma sono, in fondo, peccati di poco conto. Che volgarità rinfacciarglieli quando promuove ed avvalla riforme sulla pelle dei lavoratori. Quel che più turba è altro. Insieme al suo appello per l'austerità altrui, e il suo supporto tutto politico ad una riforma reazionaria del mercato del lavoro, il buon Napolitano ha garantito che l'Italia adotterà il pareggio di bilancio in Costituzione, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 
In realtà si tratta di un gravissimo attacco alla Costituzione democratica, assai peggiore di qualsiasi tentativo di riforma dei berluscones e che fa addirittura rimpiangere le picconate di Cossiga. La Carta non è e non può essere una camicia di forza che obbliga l'Italia presente e futura ad adottare politiche economiche neo-liberiste. Queste possono essere legittimamente attuate da governi, possibilmente eletti e non nominati dal Presidente. Ma non possono essere imposte ad esecutivi che, altrettanto legittimamente, vogliono intraprendere politiche economiche di altro stampo. Quella è, o almeno dovrebbe essere, una scelta che spetta agli elettori.
Napolitano invece vuole una Costituzione a sovranità limitata, che tanto gli ricorda la sua gioventù, in cui è già tutto deciso, in cui non c'è spazio per la concorrenza di idee e di programmi. A Novembre ha deciso lui, ben al di là di qualsiasi potere gli assegna la Costituzione. Ora avvelena i pozzi, per attrezzarsi al dopo Monti, quando il suo governo, forse, non ci sarà più, e si tornerà a votare. Ma senza aver la possibilità di scegliere. Ha già scelto lui per tutti, manco fosse a Budapest nel '56.
In un paese normale, questo sarebbe attentato alla Costituzione. 


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Aggiornamenti delle rubriche di Resistenza Internazionale
22 marzo 2012

Oggi, su "Territori in movimento":
22 marzo 2012. XX Giornata Mondiale dell’Acqua.

In rassegna stampa:
Giannini riscopre il conflitto

L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro?

Licenzia, licenzia, licenzia

manie di protagonismo della madonna che piange sangue altrui

E il PD?

Clicca sui titoli per leggere gli articoli.


mercoledì 21 marzo 2012

AGGIUNGI UN POSTO A TAV - GLI AMICI A QUESTO SERVONO: A FARE UNA GALLERIA...





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AGGIORNAMENTO RUBRICHE 21 MARZO 2012

CITY OF LONDON
Governo, lavoro e i numeri che non mentono




RASSEGNA STAMPA
Napolit-ano
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martedì 20 marzo 2012

I bloggers di Resistenza Internazionale per "Il Manifesto"

Diretta come un colpo al cuore, un terremoto di intelligenza, ironia e coraggio.
E' Genny. Qui a Madrid, in zona Almodóvar, la plaza del Callao e posa alla Marlene Dietrich.


Questa copia del "Manifesto" che è partita con me da Pisa quasi un mese fa, ha viaggiato per mezza Europa, è tornata a Madrid, a Salamanca e di nuovo a Madrid...ormai fa concorrenza in chilometri percorsi al nanetto di Amélie e di certo il viaggio non finisce qui.
E mi ha permesso di abbracciare e sbaciucchiare quasi tutti i resistenti a cui voglio bene.
Qui sotto, davanti ad una selezione di vini francesi che farebbe le delizie di Melloni, noi due, venete fuori da ogni schema e per di più alte, bionde e con gli occhi chiari. Pericolosissime! Altro che Vasto...tenete a mente questa foto di Madrid. ;-PPP
Eravamo sobrie, lo giuro.

Monica







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Aggiornamenti delle rubriche 20 marzo 2012


The City of London: "La favola dello spread"

Rassegna stampa:
Il Polillo-show continua

La Spagna che cancella Zapatero:

Caro Monti la Grecia è vicina:

All'origine del mondo contemporaneo, la Comune di Parigi e la Rivoluzione dei Taiping:

Monti, Marchionne e l'estremismo liberista:

Lidia Menapace: Beni Comuni

lunedì 19 marzo 2012

Il Professor Monti va al congresso. Di Vienna. 1814.
Di Monica Bedana

Monumento a Daniele Manin a Venezia

N.d.A: Le parole in grassetto contengono links

Mentre soffia il vento della Commune sulle presindenziali francesi, in Italia Monti è cinto d'alloro da Scalfari dopo i Cento Giorni e, con dos cojones, Melloni anche di domenica giustamente s'indigna.
Ma dai Cento Giorni a Waterloo il passo è breve... e tutto, si sa, finisce Il cinque maggio; anzi, il sei ed il sette, se sulle elezioni amministrative italiane calasse l'improbabile ghigliottina di una nuova legge elettorale e di un'altra Commune, ben più virulenta, stile 1792.

Nel frattempo sull'Europa tutta tira un'aria irrespirabile da Congresso di Vienna e la già costituita Santa Alleanza italiana non pare pare lasciar sperare in una riforma del lavoro che non sia totalmente reazionaria. Siamo alle solite, la Storia si ripete: una Germania troppo potente che impone agli altri Stati, spaventati e ottusi, un'ipotetica stabilità a cambio di soffocare libertà e diritti. Tocca guardare una volta di più alla Francia per recuperare lo spirito della révolution, a Mélenchon e Hollande; perché anche la Spagna, dicono i sondaggi, si tingerà nuovamente di blu popolare dall'Atlantico al Mediterraneo - e dal Manzanarre al Reno- nelle prossime amministrative. Irreparabile perdita dell'ultima roccaforte socialista andalusa. E la madre di Rubalcaba, resa una iena dalla perdita di Granada, ripeterà al figlio in lacrime le stesse parole che l'ultima sultana disse al proprio, nel 1492, durante la reconquista dei Re Cattolici: "Piangi come una donna ciò che non hai saputo difendere come un uomo".

E se non si può negare alla lunga mascella di Monti un'aria asburgica né al caschetto di madame Forneró  una similitudine con la scriminatura di Talleyrand, magari ci piacerebbe almeno trovarli d'accordo su Fiat come lo furono i due precedenti reazionari sul ritorno dell'ancien régime. Ci rode invece il dubbio: sarà come dice lei? (Fiat non è libera di fare quello che vuole. Non ha la licenza di fare o di disfare). O avrà ragione lui? (Fiat ha il diritto-dovere di investire dove vuole e non ha nessun dovere di ricordarsi solo dell'Italia).
E si ha tutta la sensazione, come a Vienna quasi duecento anni fa, che questo governo danzi (sulla pelle dei lavoratori dipendenti), ma non cammini. Tra dichiarazioni, rettificazioni ed apparizioni (televisive) le congrès danse, il ne marche pas. (O per lo meno non cammina allo stesso ritmo della cassa integrazione, per esempio).
In compenso da allora è sempre valido il principio di intervento, ora ribattezzato regola d'oro, che dalla Merkel, la BCE, il FMI e la UE non è stato inventato ma solo rispolverato dalla storia di un'Europa decrepita e reazionaria esattamente come due secoli prima.

L'ho già detto? E' ora di fare un quarantotto. E io sto cercando il mio Daniele Manin.

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L'appello della Federazione della Sinistra
per l'estensione e la difesa dell'articolo 18

La Federazione della Sinistra ha lanciato negli scorsi giorni una petizione popolare per la difesa e l’estensione dell’articolo 18, raccogliendo migliaia di firme. Martedì 20 marzo dalle 15, a Roma, si terrà un presidio di fronte a Montecitorio per la consegna delle firme alle istituzioni.

Petizione popolare
“Noi sottoscritti/e consideriamo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori una norma di civiltà.
L’obbligo della reintegra di chi viene ingiustamente licenziato è garanzia per ogni singolo lavoratore ed è al tempo stesso il fondamento per l’esercizio dei diritti collettivi delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dal diritto a contrattare salario e condizioni di lavoro dignitose.
Se l’articolo 18 fosse manomesso ogni lavoratrice e ogni lavoratore sarebbe posto in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile arbitrariamente da parte del datore di lavoro. Se l’articolo 18 fosse manomesso verrebbero minate in radice le agibilità e libertà sindacali.
Per questo motivo va respinta ogni ipotesi di manomissione o aggiramento dell’articolo 18.

L’articolo 18 va invece esteso a tutte le lavoratrici e i lavoratori nelle aziende di ogni dimensione.”
Io ci metto la firma!
Per firmare, compila il modulo QUI.

Di seguito l’elenco dei primi firmatari.
Vittorio Agnoletto, Ciro Argentino, Giovanni Barozzino, Francesco Barra, Riccardo Bellofiore, Marco Bersani, Fausto Bertinotti, Emiliano Brancaccio, Alberto Burgio, Loris Campetti, Francesco Caruso, Luca Casarini, Adelmo Cervi, Paolo Ciofi, Giorgio Cremaschi, Alessandro Dal Lago, Don Vitaliano Della Sala, Luigi De Magistris, Rossana Dettori, Oliviero Diliberto, Piero Di Siena, Antonio Di Stasi, Mario Dondero, Angelo D’Orsi, Roberta Fantozzi, Paolo Favilli, Gianni Ferrara, Paolo Ferrero, Luciano Gallino, Don Andrea Gallo, Fabrizio Gatti, Vladimiro Giacchè, Alfonso Gianni, Michele Giorgio, Alfiero Grandi, Dino Greco, Haidi Giuliani, Margherita Hack, Carlo Guglielmi, Wilma Labate, Antonio La Morte, Mimmo Locasciulli, Giorgio Lunghini, Giacomo Marramao, Citto Maselli, Maria Grazia Meriggi, Gianni Minà, Dino Miniscalchi, Roberto Musacchio, Giovanni Naccari, Nicola Nicolosi, Manuela Palermi, Fulvio Vassallo Paleologo, Mimmo Pantaleo, Ulderico Pesce, Valentino Parlato, Gianpaolo Patta, Francesco Piccioni, Marco Pignatielli, Felice Roberto Pizzuti, Franca Rame, Carla Ravaioli, Gianni Rinaldini, Roberto Romano, Anna Maria Rivera, Massimo Rossi, Franco Russo, Cesare Salvi, Giancarlo Saccoman, Pasquale Scimeca, Patrizia Sentinelli, Marino Severini, Tommaso Sodano, Antonella Stirati, Fabrizio Tomaselli, Nicola Tranfaglia.



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L'aggiornamento della rassegna stampa di lunedí 19 marzo 2012


perché bisogna difendere il modello del welfare

In Francia, Mélenchon prende la Bastiglia

Banche da buttare:

domenica 18 marzo 2012

Prenez le pouvoir !

A Parigi Jean-Luc Mélenchon, il candidato alle elezioni presidenziali del "Front de Gauche" ha preso oggi simbolicamente la Bastille nell'anniversario della Commune del 1871. Oltre 80.000 persone erano con lui, persone che con lui portano alla ribalta il popolo cittadino con una dimostrazione di forza, che si traduce nello slogan noi siamo il grido del popolo!

E a gridare con il popolo c'era il nostro Simone Giovetti, autore di questo reportage esclusivo per "Resistenza Internazionale". Mentre Nicola Melloni ci suggerisce la lettura di questo articolo, che oltre alla Commune del 1871 ricorda la rivoluzione dei Taiping: due momenti storici all'origine del mondo contemporaneo.

E ci aggiungiamo poesia, Rimbaud, Chant de guerre parisien. Per tutte le primavere del mondo, quelle che son venute e quelle che devono ancora venire...

Le Printemps est évident, car
Du cœur des Propriétés vertes
Le vol de Thiers et de Picard
Tient ses splendeurs grandes ouvertes...


La traduzione, in poche parole, è che la democrazia non si mercanteggia. Jamais.


M.R.B.





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Scalfari o del totalitarismo liberale

di Nicola Melloni

La retorica scalfariana si fa più soffocante domenica dopo domenica. I lunghi editoriali del fondatore di Repubblica sono ormai una sorta di megafono del governo, dopo lunghi anni di polemiche sulla stampa che dovrebbe fare da cane da guardia del potere. Alla faccia. Ormai Scalfari è passato al panegirico, Monti è il meglio del meglio e guai a chi lo contesta. 
La settimana scorsa se l'era presa coi giornali che osavano contestare l'operato del governo. Questa settimana alza ulteriormente il calibro. Secondo Scalfari l'opposizione al governo è capace solo di fare gestacci a banche, tav e istituzioni repubblicane. In questo si qualificano semplicemente come menefreghisti, totalmente indifferenti alla cosa pubblica, interessati solo ai fatti propri. Naturalmente in prima linea di questi novelli sostenitori del "me ne frego" ci sono i movimenti per i beni comuni, insieme alle lobby dei corruttori!
Ma non basta, queste opposizioni sarebbero addirittura contro lo Stato e contro la legalità, e dunque oggettivamente alleate nientemeno che alla Mafia.
Un vero e proprio processo staliniano quello fatto da Scalfari. Chi si oppone al governo è di fatto alleato coi nemici dello stato, siano essi trotzkysti o mafiosi poco cambia. Il processo, similmente a quelli di Vyshinsky, è basato su prove indiziarie e mai esibite, sulla calunnia e non su prove certe. Il pubblico ministero ci spiega che dobbiamo fidarci delle sue parole, non sta inventando nulla, ci mancherebbe. 
Per fortuna però la parte del paese che lotta contro la Mafia, la corruzione ed i beni comuni ha avuto un sussulto negli ultimi mesi. Guidati dal novello Mosè, Mario Monti, e con il sostegno decisivo del bianco cavaliere, Silvio Berlusconi con il quale verranno fatte prossimamente le riforme della giustizia e della Rai. Il nuovo premier sembra ormai un re taumaturgo, basta il suo tocco per guarire pure i lebbrosi di un tempo, ora di fatto alleati di Scalfari. Ma in fondo, sempre meglio che stare con lobby, corrotti e mafiosi!
Il grande giornalista, ormai annebbiato dalla foga propagandistica, non si ferma. Chi si oppone è un sabotatore, d'altronde i risultati son sotto gli occhi di tutti, lo spread è stato dimezzato e dunque di che vi lamentate. Se questo obiettivo si è raggiunto facendo lavorare un pò di più gente in fabbrica da 40 anni, poco male. Se poi queste fabbriche chiudono per le politiche recessive del governo, sono collateral damages, qualcuno deve pur sacrificarsi per il bene di tutti. E se poi la finanziaria del governo era stata accolta con un rialzo dello spread, poco male, conviene dimenticare che l'abbassamento dei tassi di interesse è avvenuto in concomitanza con la pioggia di miliardi con cui la BCE ha rifinanziato le banche e non con le strette fiscali di Palazzo Chigi. E mentre aspettiamo gli strabilianti risultati che sono di là da venire, il debito aumenta ed il PIL cala, peggiorando i fondamentali macroeconomici, à la grecque, per così dire.
Ma certo anche queste considerazioni sono da nemico dello Stato, chè è vietato sollevare anche il minimo dubbio sull'operato del "piccolo padre". Guai ai nemici del popolo!


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Gli articoli di Eugenio Scalfari citati dall'autore sono visibili cliccando sulle parole in grassetto che appaiono in questo post.


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sabato 17 marzo 2012

La crisi non è finita


di Nicola Melloni
da: http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1475

Gli ultimi mesi hanno visto un generale miglioramento di alcune situazioni critiche dell’economia europea. Lo spread tra titoli tedeschi e quelli italiani è spagnoli è fortemente calato mentre la Grecia ha infine raggiunto l’accordo con i suoi creditori.
Questi eventi positivi hanno creato un clima di ottimismo che non pare però giustificato. Né le misure adottate finora sono sufficienti a rimettere in sesto la malandata economia europea. I casi italiano e greco sono stati indicati come esempio dell’irresponsabilità fiscale che ha causato la crisi, e di conseguenza la UE ha deciso di darsi nuove regole, come il fiscal compact, che impone per legge un avanzo strutturale dei conti pubblici. Il provvedimento è discutibile sia legislativamente che economicamente, come ampiamente riportato da diversi giornali, ma sembra soprattutto poco utile per capire e risolvere la crisi attuale.
Che la Grecia abbia avuto dei problemi di conti pubblici è fuori dubbio, ma questo non vale per altri paesi colpiti dalla crisi. Il caso spagnolo è emblematico. I conti pubblici di Madrid, prima della crisi, erano pressochè perfetti, tanto che il FMI parlò di surplus strutturale dell’economia spagnola, proprio quello cui mira ora la UE. Ed allora come mai la Spagna si trova ora in così grande difficoltà? In realtà la Spagna, come per altro anche Portogallo ed Irlanda avevano un alto livello di debito privato, sia a livello di famiglie che di imprese, rendendo quelle economie, che sembravano tanto floride, a grande rischio crisi. E come sappiamo, proprio il debito corporate scatenò la crisi in USA e Gran Bretagna, per poi, appunto, raggiungere paesi come Spagna ed Irlanda in cui il settore bancario era il più esposto al contagio internazionale.  

 



Il fiscal compound, dunque, sembra una soluzione solo parziale e non convincente, anche i paesi con i conti pubblici migliori non possono essere immuni al contagio internazionale a meno che anche il debito privato venga messo sotto controllo, cosa di cui non c’è traccia.
Anzi, lo schema proposto dalla UE non potrà che creare problemi. Ai paesi membri viene richiesto un disavanzo di bilancio strutturale non superiore allo 0.5% mentre ad i paesi con debito superiore al 60% del PIL viene imposto una riduzione dell’eccedenza nel giro di vent’anni. Sembra un periodo ragionevole, ma in realtà nel caso italiano questo comporterebbe una riduzione del 3% annuo, possibile solo con una crescita galoppante o con avanzi primari massicci, dagli inevitabili effetti recessivi. Non a caso in Francia il candidato socialista è già pronto a denunciare il trattato. Mentre anche in Spagna il nuovo governo sembra poco intenzionato ad adeguarsi alle decisioni di Bruxells. E dunque per quest’anno viene preannunciata una riduzione del deficit dall’8.5% dello scorso anno al 5.8%, che rimane però assai più alto di quello richiesto dalla UE (il 4.4%).
Certo, lo spread sia in Italia che in Spagna si è abbassato in coincidenza con l’incarico dato a Monti e Rajoy che avevano promesso di rimettere a posto i conti pubblici ed è per questo motivo che si insiste così tanto sulla disciplina fiscale. Ma più che le finanziarie di emergenza hanno potuto i denari della BCE con cui sono stati rimpinguati i forzieri delle banche europee, mettendo parzialmente in sicurezza i bilanci. Mentre l’austerity ha avuto effetti disastrosi sulle economie di Grecia e Portogallo – in quest’ultimo caso l’economia è ri-entrata in recessione mentre la disoccupazione ha raggiunto il 14%.
Nonostante le molte promesse, la UE ed i governi dell’Europa non hanno ancora messo in campo nessuna politica economica in favore della crescita, anzi hanno fatto proprio il contrario, cercando di mettere in sicurezza i conti pubblici con le politiche di austerity che rischiano però di avvitare la spirale recessione-crisi. Nel breve periodo si sono ridotti gli attacchi speculativi che stavano per mettere in ginocchio l’Europa, ma al costo di aumentare le tensioni sociali e, soprattutto, col rischio di ritrovarsi nella stessa situazione tra pochi mesi quando la recessione ridarà fiato al panico finanziario e richiederà nuovi interventi.

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