giovedì 22 marzo 2012

Pierluigi, dai, fai cadere il Governo!
Di Monica Bedana

Quando tutti zigano, tu zaga.
Legge di Yobaggi

Ci rifiutiamo di credere che Veltroni avesse ragione un mese fa quando invitava, non a caso dalle pagine Repubblica, il proprio partito a non farsi scippare dal centrodestra quel gran tesoro che è il riformista governo Monti e, soprattutto, ad accogliere la riforma del lavoro senza tabù.

Se il tabù in questione si supera accettando supinamente una riforma del lavoro fatta senza concertazione, di spalle a tutti gli agenti sociali e perfino contro l'opinione dei partiti, allora è vero che questo tabù dobbiamo toglierlo di mezzo. E la via per toglierlo di mezzo è una sola: che Bersani voti contro, che si faccia volentieri scippare dal riformista Monti quei pezzi arrugginiti di partito che è ora di perdere per strada (Veltroni per primo; a ruota D'Alema, Letta, Latorre, Fioroni ed il fu rottamatore Renzi, magari, solo per citarne alcuni) e che con questo gesto ponga la prima pietra di una rigenerazione socialista ancora molto nebulosa nei suoi componenti ma di cui società e politica sentono forte l'esigenza. E se dopo aver causato un tsunami del genere avesse anche l'ardire di togliersi davvero dai c..., perché siamo tutti qui da vent'anni, oltre ad onorare le sue stesse parole potrebbe anche vantarsi di avere davvero smacchiato impeccabilmente il giaguaro.

E' questo il momento di rammendare con amore lo strappo di non essere sceso in piazza col lavoro quasi due settimane fa, con una scusa che era una pippa; di dire a voce alta e senza tentennamenti che in questa riforma non c'è risposta alcuna alla mancanza di lavoro; che gli ammortizzatori sociali non ci sono per tutti e ciò sarà causa di ulteriori, laceranti discriminazioni anche per le generazioni future; che cancellare l'articolo 18 significa dare un calcio in culo ad ogni singolo lavoratore che sia cosciente di 100 anni di lotte per i propri diritti e pretendere di assumere al suo posto solo tabulae rasae prive di ogni coscienza civile e comode da usare e gettare.

Questo ci si aspetta da un partito il cui responsabile delle politiche economiche e sociali scrive nel suo ultimo libro che il lavoro viene prima di tutto e che lo scopo della crescita economica è la crescita della persona (“persona umana”, dice lui, per la verità; la persona è sempre un individuo della specie umana, in realtà, aggiungo io. Stefano, ti passo con affetto la "Legge di Jones sull'editoria": Gli errori si vedono solo quando il libro è stampato).

Dai Pierluigi, buttati a sinistra, che a farti da sponda più di qualcuno c'è. Come minimo ci sono Nichi e Tonino. Dai, che non siam mica qua a fare il parmigiano col latte di soia, che è quel che vogliono Monti e Fornero.

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Il presidente carrista che demolisce la Costituzione

Napolitano è il principale protagonista di questi ultimi mesi di governo. Lo riconoscono in molti, spesso con peana di elogio. Lo si è sostenuto a lungo anche a sinistra, grazie all'attivismo del Presidente si è tenuto in piedi il paese durante gli ultimi patetici mesi del governo Berlusconi, in piena emergenza spread.
Napolitano di fatto ha costretto Berlusconi alle dimissioni, facendogli le scarpe, parlando con i suoi ministri (Tremonti) all'insaputa del premier, nominando Monti senatore a vita per spianargli la strada per Palazzo Chigi. Possiamo solo immaginare lo scandalo l'avesse fatto un Presidente di altro colore politico.
Con la sua moral suasion e il suo potere ha di fatto costretto il PD a digerire il governo tecnico e a rinunciare alle elezioni. Il tutto con la scusa che non ci potevamo permettere le elezioni nel bel mezzo di un attacco speculativo, mentre in Spagna si andava con tutta tranquillità al voto. 
In realtà, era un disegno ben preciso, teso ad esautorare il corpo elettorale, da sempre considerato dall'aristocratico Napolitano come incapace di scegliere bene. D'altronde la sua ala migliorista era quella che se ne infischiava delle piazze, e puntava agli accordi di palazzo, anche con i peggio personaggi della prima Repubblica, a cominciare da Craxi. 
Ed ecco, finalmente, l'occasione di coronare il sogno di gioventù, un governo non tecnico ma super politico, frutto di un abile compromesso politico e supportato da una solida maggioranza in quanto tutti i partiti sono stati costretti dalle circostanze ad accettare il diktat del Quirinale.
Napolitano si è auto-eletto dominus dell'agone politico e non ha perso occasione per intervenire. Si è rifiutato di ricevere i sindaci della Val di Susa, non essendo sua compentenza, ma ha trovato il tempo di dire la sua sulla necessità di raggiungere un accordo sulla riforma del mercato del lavoro, un chiaro segnale alla CGIL di firmare, perchè altrimenti il governo andava avanti anche solo. Detto, fatto.
Il Presidente si è evidentmente dimenticato che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e non sul licenziamento, e mentre Monti&Fornero uccidevano l'art.18, lui spiegava che l'austerità è l'unica via per uscire dalla crisi. Naturalmente austerità per tutti, non per lui. Gonfio e tronfio di aver ridotto di pochi milioni il bilancio del Quirinale, dimentica di dirci che il suo bel Palazzo costa il doppio dell'Eliseo, che ha ben più funzoni, e 10 volte tanto la Presidenza della Repubblica tedesca.
Ma sono, in fondo, peccati di poco conto. Che volgarità rinfacciarglieli quando promuove ed avvalla riforme sulla pelle dei lavoratori. Quel che più turba è altro. Insieme al suo appello per l'austerità altrui, e il suo supporto tutto politico ad una riforma reazionaria del mercato del lavoro, il buon Napolitano ha garantito che l'Italia adotterà il pareggio di bilancio in Costituzione, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 
In realtà si tratta di un gravissimo attacco alla Costituzione democratica, assai peggiore di qualsiasi tentativo di riforma dei berluscones e che fa addirittura rimpiangere le picconate di Cossiga. La Carta non è e non può essere una camicia di forza che obbliga l'Italia presente e futura ad adottare politiche economiche neo-liberiste. Queste possono essere legittimamente attuate da governi, possibilmente eletti e non nominati dal Presidente. Ma non possono essere imposte ad esecutivi che, altrettanto legittimamente, vogliono intraprendere politiche economiche di altro stampo. Quella è, o almeno dovrebbe essere, una scelta che spetta agli elettori.
Napolitano invece vuole una Costituzione a sovranità limitata, che tanto gli ricorda la sua gioventù, in cui è già tutto deciso, in cui non c'è spazio per la concorrenza di idee e di programmi. A Novembre ha deciso lui, ben al di là di qualsiasi potere gli assegna la Costituzione. Ora avvelena i pozzi, per attrezzarsi al dopo Monti, quando il suo governo, forse, non ci sarà più, e si tornerà a votare. Ma senza aver la possibilità di scegliere. Ha già scelto lui per tutti, manco fosse a Budapest nel '56.
In un paese normale, questo sarebbe attentato alla Costituzione. 


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