La vicenda libica e la nuova
spaccatura tra i principali stati europei sull'intervento militare non è
semplicemente una divergenza diplomatica, ma rappresenta invece con
grande precisione lo stato comatoso dell'Unione europea, sempre più
irrilevante e sempre più prossima a spaccarsi definitivamente.
I
problemi vengono da lontano e non sono assolutamente confinati alla
politica estera. Certo, gli assetti istituzionali, la mancanza di un
governo europeo, l'unione economica e la divisione politica sono i
peccati originali che hanno portato alla lenta ma inesorabile consuzione
del progetto europeo. I nodi sono però venuti al pettine con la crisi
economica internazionale - affrontata a livello nazionale e non europeo -
ignorando volutamente il fatto che le economie europee sono fortemente
integrate ed ancor di più lo sono i vari sistemi bancari e di
conseguenza, il fallimento di una grande banca così come quello di uno
stato scatenerebbe un effetto domino che coinvolgerebbe tutta l'Unione.
Ed infatti, dopo la grande paura del 2007 e 2008, i problemi si sono trasferiti dal settore privato a quello pubblico ed è in quel momento che la Ue è andata in affanno. La Germania ha cominciato progressivamente a disinteressarsi del destino dell'Europa, una svolta epocale per il paese architrave dell'Unione. Lo ha fatto per considerazioni domestiche, preferendo non pagare direttamente per il salvataggio prima della Grecia e poi di Irlanda e ora Portogallo. Ognuno per i fatti suoi, anche se in realtà i debiti pubblici degli stati europei sono largamente posseduti da investitori di altri stati, da cui appunto l'effetto domino. Un fondo comune è stato dunque approntanto, per risolvere le necessità dei paesi più piccoli e più in difficoltà. Ma più la crisi avanza, più si capisce che il piano di salvataggio è al più un palliativo e non una soluzione.
In tale contesto la Francia ha deciso di giocarsi la sua partita autonomamente. Appena ne ha avuto la possibilità, in Libia, si è lanciata in una avventura dal sapore neo-colonialista per riaffermare il suo potere nel bacino meditteraneo, rompendo la classica alleanza con la Germania che durava da un trentennio. Ha deciso di allearsi invece con la Gran Bretagna, la nazione più anti-europeista di tutti. Le reazioni non si sono fatte attendere, con Berlino platealmente irritata per l'intervento militare e con l'Italia che si è svegliata, come al solito, con colpevole ritardo. Di fatto Sarkozy sta cercando di fare le scarpe all'Italia, cacciando Gheddafi e rimpiazzando Eni con Total a Tripoli. Non soltanto. Le recenti vicissitudini industriali, con le imprese francesi scatenate nel fare shopping in Val Padana - e con la conseguente reazione irritata di Tremonti - segnalano che le tensioni tra Parigi e Roma sono ai massimi storici - come ribadito in queste ultime ore dallo scontro sugli immigrati. Ormai, appunto, si è arrivati al tutti contro tutti, Germania isolata, Francia contro Italia, Spagna abbandonata al suo destino, Irlanda, Grecia e Portogallo sottoposte a piani di ristrutturazione del debito umilianti mentre il francese Strauss Kahn, direttore del Fondo Monetario Internazionale, sostiene che i paesi europei più in difficoltà dovrebbero adeguarsi alla forza dell'economia tedesca, senza tenere in conto le specificità, ed anche le criticità, di quelle economie.
Quel che manca è una strategia di più ampio respiro. Sarkozy ama atteggiarsi a piccolo Napoleone ma quelle che conduce sono battaglie di piccolo cabotaggio, buone per la propaganda più che altro. Certo Sarkozy può lanciarsi alla conquista dell'Italia, paese senza una progettualità che vada al di là dei problemi giudiziari di Silvio Berlusconi. E può anche rilanciare la presenza di Parigi nel Meditteraneo e nella cosiddetta Africa francese, come la Costa d'Avorio. Ma non può eludere il fatto che la Francia, senza Europa, non ha futuro. Non lo ha neanche la ben più solida Germania che da un crollo della Ue può uscire rafforzata nel breve periodo ma destinata negli anni a trasformarsi al massimo in una Svizzera più ricca e solida.
Come era facile preventivare, la grande crisi finanziaria porta ad una generale ridistribuzione del potere sia economico che politico e l'Europa arriva a questo appuntamento in ordine sparso o, peggio, dilaniata da conflitti. Ignorando, per motivi di bassa bottega, che solo la sua unità potrebbe salvarla dal declino.
Ed infatti, dopo la grande paura del 2007 e 2008, i problemi si sono trasferiti dal settore privato a quello pubblico ed è in quel momento che la Ue è andata in affanno. La Germania ha cominciato progressivamente a disinteressarsi del destino dell'Europa, una svolta epocale per il paese architrave dell'Unione. Lo ha fatto per considerazioni domestiche, preferendo non pagare direttamente per il salvataggio prima della Grecia e poi di Irlanda e ora Portogallo. Ognuno per i fatti suoi, anche se in realtà i debiti pubblici degli stati europei sono largamente posseduti da investitori di altri stati, da cui appunto l'effetto domino. Un fondo comune è stato dunque approntanto, per risolvere le necessità dei paesi più piccoli e più in difficoltà. Ma più la crisi avanza, più si capisce che il piano di salvataggio è al più un palliativo e non una soluzione.
In tale contesto la Francia ha deciso di giocarsi la sua partita autonomamente. Appena ne ha avuto la possibilità, in Libia, si è lanciata in una avventura dal sapore neo-colonialista per riaffermare il suo potere nel bacino meditteraneo, rompendo la classica alleanza con la Germania che durava da un trentennio. Ha deciso di allearsi invece con la Gran Bretagna, la nazione più anti-europeista di tutti. Le reazioni non si sono fatte attendere, con Berlino platealmente irritata per l'intervento militare e con l'Italia che si è svegliata, come al solito, con colpevole ritardo. Di fatto Sarkozy sta cercando di fare le scarpe all'Italia, cacciando Gheddafi e rimpiazzando Eni con Total a Tripoli. Non soltanto. Le recenti vicissitudini industriali, con le imprese francesi scatenate nel fare shopping in Val Padana - e con la conseguente reazione irritata di Tremonti - segnalano che le tensioni tra Parigi e Roma sono ai massimi storici - come ribadito in queste ultime ore dallo scontro sugli immigrati. Ormai, appunto, si è arrivati al tutti contro tutti, Germania isolata, Francia contro Italia, Spagna abbandonata al suo destino, Irlanda, Grecia e Portogallo sottoposte a piani di ristrutturazione del debito umilianti mentre il francese Strauss Kahn, direttore del Fondo Monetario Internazionale, sostiene che i paesi europei più in difficoltà dovrebbero adeguarsi alla forza dell'economia tedesca, senza tenere in conto le specificità, ed anche le criticità, di quelle economie.
Quel che manca è una strategia di più ampio respiro. Sarkozy ama atteggiarsi a piccolo Napoleone ma quelle che conduce sono battaglie di piccolo cabotaggio, buone per la propaganda più che altro. Certo Sarkozy può lanciarsi alla conquista dell'Italia, paese senza una progettualità che vada al di là dei problemi giudiziari di Silvio Berlusconi. E può anche rilanciare la presenza di Parigi nel Meditteraneo e nella cosiddetta Africa francese, come la Costa d'Avorio. Ma non può eludere il fatto che la Francia, senza Europa, non ha futuro. Non lo ha neanche la ben più solida Germania che da un crollo della Ue può uscire rafforzata nel breve periodo ma destinata negli anni a trasformarsi al massimo in una Svizzera più ricca e solida.
Come era facile preventivare, la grande crisi finanziaria porta ad una generale ridistribuzione del potere sia economico che politico e l'Europa arriva a questo appuntamento in ordine sparso o, peggio, dilaniata da conflitti. Ignorando, per motivi di bassa bottega, che solo la sua unità potrebbe salvarla dal declino.
di Nicola Melloni
su Liberazione del 08/04/2011