lunedì 6 maggio 2013

L'Italia di Andreotti

da http://vauro.globalist.it/

Non dovrebbe davvero piangerlo nessuno. Una sentenza della magistratura lo ha giudicato mafioso, ma solo fino al 1980, come se dalla mafia si guarisse. Non condannato, perché prescritto, come se la mafia si prescrivesse.
Ma la verità giudiziaria, per quanto importante, non è certo tutto. In un giorno come questo bisognerebbe dare un giudizio politico. Certo, Andreotti amico degli arabi, certo Andreotti che teneva testa agli americani, certo Andreotti rispettato in Europa. Ma era lo stesso Andreotti che coltivava il potere per il potere, lo stesso Andreotti che raccoglieva voti a Roma trafficando con palazzinari e para-fascisti, che mieteva consensi in Sicilia arruolando mafiosi e amici di mafiosi.
Dicono, demonizzato dalla sinistra. Ma la storia, non il rancore, racconta  di quella DC che ha governato l'isola per 50 anni, grazie alla mafia. Era la DC di Andreotti quella del sacco di Palermo, era quella delle clientele e dei rapporti coi fratelli Salvo. Quella dei voti comprati.
E non ci si ferma in Sicilia. C'è lo zampino di Andreotti in quasi tutte le vicende più squallide della Prima Repubblica. Lasciando stare la melassa del processo Pecorelli, Andreotti era l'uomo degli omissis sul Golpe Borghese, dei rapporti oscuri con Gelli, era l'amico di Sindona, era quel caritevole cristiano che di Ambrosoli, ucciso da una combutta dei suoi amici affaristi, faccendieri, mafiosi, disse che se l'era cercata.
In effetti, nell'Italia di Andreotti chi lottava per la legalità, per un paese meno marcio e più giusto, per una vita pubblica pulita se l'andava proprio cercando e spesso ci lasciava le penne. In quell'Italia la mafia dilagava, si mettevano le bombe nelle stazioni e nei treni, i servizi segreti, italiani ed esteri, facevano un pò quello che volevano, ammazzando, istigando ad ammazzare o coprendo assassini. Era l'Italia di Andreotti.

La democrazia ai tempi della crisi


Proponiamo di seguito un articolo di Donatella Della Porta apparso su Sbilanciamoci.info che spiega con precisione perché la presenza del dissenso, anche e soprattutto radicale, sia il vero metro della qualità della democrazia. Un concetto da tenere bene a mente mentre gli organi di informazione tentano di incolpare il M5S per il fatto di sangue di Roma mentre qualsiasi opposizione alla grande coalizione (come già ai tempi di Monti) viene additata come anti-italiana.


Il diritto al dissenso in tempi di grande coalizione


di Donatella Della Porta
da Sbilanciamoci.info 

Quattro ragioni per difendere il diritto di critica del Movimento Cinque Stelle di fronte a una politica chiusa in se stessa. È l’assenza di dissenso politico, non la sua presenza, a portare a gesti di disperazione individuale
Dopo il ferimento di due carabinieri davanti a Palazzo Chigi, è partito un violento e multilaterale tentativo di criminalizzazione del Movimento 5 Stelle. Se questo attacco è certamente prevedibile da parte di esponenti del centrodestra, fa specie eticamente, e appare molto poco lungimirante strategicamente, quando l’accusa di avere fomentato il clima di rabbia viene rivolto a un Movimento del tutto pacifico da parte di esponenti del centrosinistra, direttamente e attraverso i loro, sempre più partigiani, organi di informazione, da TG3 a Repubblica.
Ci sono infatti almeno quattro buone ragioni per le quali la sinistra e, persino il centro sinistra, dovrebbero difendere con grande vigore il diritto al dissenso non violento del movimento.
In primo luogo, come scriveva Rosa Luxemburg, la libertà e sempre la libertà di chi pensa diversamente. In un momento di governo di grande coalizione, quando domina un pensiero unico, arrogante e intollerante rispetto a ogni voce dissenziente, è ancora più importante difendere il diritto al dissenso. Come dimostrano i (per fortuna lontani) anni di piombo, una repressione indiscriminata, una chiusura degli spazi di critica portano infatti a un’escalation dei conflitti.
In secondo luogo, è proprio la presenza di un’opposizione politica, quale i 5 stelle sono, a scoraggiare le proteste individuali autodistruttive e, quelle sì, anti politiche. Come aveva ben capito, ad esempio, il comandante della polizia islandese che, in una intervista, mi ha detto: "meno male che quando scoppiò la grande crisi del 2008 ci furono le proteste politiche, invece che gli sfoghi individuali e violenti che temevamo". È l’assenza di dissenso politico, non la sua presenza, a portare ai gesti anomici di disperazione.
Il terzo luogo, gli esponenti del movimento 5 stelle hanno detto una verità – scomoda, ma pur sempre verità – quando hanno osservato che il grande problema del momento attuale è segnalato da una reazione diffusa a quei ferimenti: non un sostegno al gesto violento, ma un'attribuzione di responsabilità per esso alle istituzioni della democrazia rappresentativa, che appaiono avvitate in una spirale di auto-delegittimazione. Chiunque sia passato da un luogo di incontro pubblico in questi giorni avrà sentito, commenti come quello sentito da me, in un bar della rossa Firenze: “Fanno pena i carabinieri feriti, ma cosa vogliono i politici: la gente è disoccupata e loro fanno gli inciuci". Nel momento in cui quei partiti, che in campagna elettorale avevano fatto appello alla società civile, ora si rinchiudono sprezzantemente nel palazzo, il tentativo di scaricare le colpe del loro isolamento su chi quell'isolamento denuncia equivale a accusare di comportamento sovversivo il bambino che dice “il re è nudo”.
In quarto luogo, a sinistra (incluso centrosinistra) la difesa del movimento 5 stelle dagli attacchi di chi li addita come responsabili del gesto di un individuo a loro del tutto estraneo dovrebbe ricordare i tempi non lontani in cui Sergio Cofferati e la Cgil venivano denunciati dalla destra come mandanti morale dell’omicidio del giuslavorista Biagi. E dovrebbe ricordare anche le tante volte in cui leggi restrittive dei diritti democratici al dissenso sono state inizialmente giustificate come dirette a controllare i gruppi meno popolari, come gli anarchici o gli ultras del calcio, ma poi rapidamente utilizzate nella repressione di movimenti di massa (Val di Susa docet), incluse le proteste dei lavoratori.

SEL e la sinistra dopo il PD

Tra pochi giorni ci sarà il primo appuntamento pubblico di parte della sinistra post-governissimo, organizzato da SEL ed intitolato la Cosa Giusta. Un primo passo, ancora carico di dubbi ma anche di speranze per ricominciare, per l'ennesima volta ad organizzare la sinistra. Sperando di essere usciti dall'equivoco PD-sinistra.
Qui di seguito riportiamo parte dell'intervento di Giulio Cavalli (attore, regista, e politico di SEL), dal suo blog:

Il PD non ha mantenuto le promesse in campagna elettorale e questo è un fatto. SEL si era presa la responsabilità di garantire un PD che non scivolasse nelle sue antiche e perverse pulsioni centriste e inciuciste e non c’è riuscita: questo è un altro fatto (che in pochi stanno analizzando). Senza remore, inibizioni o balbettamenti dovremmo raccontare che comunque il voto dato a SEL era un voto di “condizionamento” di sinistra di governo che non è accadutoI voti per una sinistra radicale di opposizione non sono qui, per dire[......]

Poi c’è la Cosa Giusta dell’11 maggio (che fa un po’ sorridere nel titolo pensando alla Cosa Seria che in tanti non abbiamo mica abbandonato) e la domanda (è sempre quella, sempre) è capire quali sono i passaggi, le discussioni e le opinioni che ci porteranno lì. Perché  non c’è bisogno di piazza ma di politica.
C’è la sinistra nella Cosa Giusta o c’è l’attesa (ormai diventata beckettiana) che si rompa il PD (che non si romperà a breve)? Chi sono i soggetti del cantiere (a parte lo sventolio di Rodotà)? I soggetti che componevano Rivoluzione Civile ci fanno tutti schifo? Peggio sempre Ferrero di Fioroni, come mi disse una volta qualcuno?
Scrivevamo qualche mese fa:
Nella Cosa Seria sappiamo che la parola “sinistra” nel Paese ha ancora un senso diffuso che non appartiene a ceti politici né a gruppi dirigenti. È un sentimento, un modo di stare al mondo, un’appartenenza ideale e concreta che richiede coerenza e che non può ridursi in piccoli e particolari interessi di bottega, antiche inimicizie e gelosie d’appartenenza.
Per questo chiediamo che Sinistra Ecologia e Libertà e una parte consistente del Partito Democratico siano il motore di una coalizione che sia una Cosa Seria. Che guardi a Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, ALBA, Verdi e tutti coloro che si riconoscono in un manifesto di posizioni chiare e realmente governabili, oltre che di governo. Perché non ci piace la strategia dell’inerzia per capitalizzare il consenso trascinandosi alle prossime elezioni, ma preferiamo la semplicità e la chiarezza delle idee da valorizzare insieme. Soluzioni collettive per risolvere i problemi, insieme: politica presa come una Cosa Seria.
Basta mediazioni. Per chi mi chiede: io sono qui.