venerdì 17 febbraio 2012

Il Manifesto lo legge lui...e noi no?







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Le liberalizzazioni di Resistenza Internazionale
Di Resistenza Internazionale 

Con l'avvento del Governo guidato da Mario Monti la questione delle liberalizzazioni è tornata di attualità, dal momento che l'Esecutivo ed i partiti che lo sostengono le ritiene fondamentali per il rilancio dell'Italia. Basate sul presupposto per cui la libera concorrenza dei privati nella gestione di beni pubblici e nella fornitura di servizi produca efficienza e benefici per i consumatori, le liberalizzazioni sono il cavallo di battaglia dei neoliberisti e la bestia nera di chi vorrebbe una società centrata sull'essere umano e non sul profitto.
A partire da oggi dedicheremo al tema approfondimenti settimanali, per fornire ai nostri lettori una base concreta che consenta di andare oltre la cortina di slogan che spesso corredano questo tema. Abbiamo chiesto a collaboratori e ad amici che vivono fuori dall'Italia di raccontarci la loro esperienza quotidiana delle liberalizzazioni.
Cominciamo con un racconto di Simone Rossi sulle infrastrutture stradali nel Regno Unito.
Buona lettura.

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LE LIBERALIZZAZIONI DI RI - Le strade di Albione
Di Simone Rossi 


A partire dagli anni '80 l'economia britannica ha conosciuto un progressivo processo di liberalizzazione, con dismissione delle partecipazioni statali ed apertura di molti settori ai privati, in un'ottica per cui la concorrenza tra soggetti privati produce efficienza e benefici per i consumatori.Anche nel settore delle infrastrutture per il trasporto su gomma si sono introdotte riforme che hanno consentito l'ingresso dei privati, nonostante la rete viaria sia rimasta formalmente pubblica . Non esistendo strade con pagamento del pedaggio, salvo per alcuni ponti, non si è assistito alla svendita di concessioni come accaduto per le autostrade italiane alla fine del secolo scorso. Invece, in seguito ad una riorganizzazione del Dipartimento dei Trasporti, organismo equiparabile ad un nostro ministero, la gestione della rete stradale è stata affidata in parte agli enti locali, per quanto concerne la viabilità "comunale", ed a quattro agenzie regionali create nel 1994, cui spetta l'amministrazione della rete di livello nazionale. A questa suddivisione delle competenze si è affiancata una progressiva privatizzazione delle attività di progettazione, costruzione e manutenzione della rete, trasformando di fatto le autorità pubbliche in organi di indirizzo strategico e di supervisione, con funzione di stazione appaltante nella distribuzione dei fondi destinati al mantenimento ed al miglioramento delle infrastrutture.In Inghilterra, ad esempio, l'organismo che sovrintende alla rete viaria ha suddiviso il territorio di propria competenza in quattordici aree che sono affidate a grandi aziende di progettazione e di costruzione tramite gara di appalto, con contratti della durata di sei anni durante cui gli appaltatori sono sottoposti a frequenti valutazioni e devono mostrare di rispettare requisiti minimi di qualità fissati dall'ente pubblico. Per quanto concerne gli enti locali, invece, l'esternalizzazione ha assunto la forma di appalti o del PFI, corrispondente al modello italiano del project financing, che prevede l'affidamento delle infrastrutture e la loro gestione ad aziende private per un determinato periodo fissato dal contratto ed in cambio di un finanziamento pubblico che solitamente risulta molto vantaggioso per il privato. Mentre il ricorso ai PFI è relativamente recente in questo settore, in altri campi dove è prassi consolidata, come la sanità e l'istruzione, svariati studi ed indagini hanno mostrato che il costo complessivo dell'opera o del servizio al termine del contratto risulta maggiore dell'investimento richiesto in un sistema completamente pubblico.Nelle intenzioni dei fautori del libero mercato il modello appena descritto introduce una maggior efficienza, stimolando i privati a concorrere sulla qualità per aggiudicarsi gli appalti. Efficienza che, in realtà, il più delle volte è stata ottenuta a scapito delle competenze accumulate nel corso degli anni dalla pubblica amministrazione; difatti molto del personale con maggior anzianità ed esperienza impiegato in questo settore proviene dagli enti pubblici ed è stato assorbito dalle imprese private nel momento in cui si è esternalizzato. Non di rado, tale personale passa da un'impresa all'altra al rinnovo degli appalti, ragion per cui non è chiaro quale sia il reale valore aggiunto apportato dai privati, tolto estrarre un profitto dagli appalti. Oltre a ciò la dimensione e la tipologia degli appalti, aperti in taluni casi solo ad aziende accreditate dopo un lungo processo di valutazione, privilegia le imprese più grandi e da più tempo presenti sul mercato, creando nel medio e lungo termine oligopoli, in contraddizione con il principio della libera concorrenza. Inoltre, non sempre la concorrenza si vince sulla qualità, come si è visto in Italia in questi primi quindici anni di liberalizzazione di alcuni settori. Nell'autunno del 2011, ad esempio, proprio alcune delle grandi aziende accreditate hanno lanciato una offensiva per ridurre il costo del lavoro in cantiere, proponendo ai propri operai salari al di sotto del valore minimo fissato per legge. E là dove il costo della manodopera non offre possibilità di incrementare i margini di profitto, intervengono piccole forme di boicottaggio per ridurre la possibilità che il concorrente si veda aggiudicato nuovamente l'appalto al bando successivo o in gare per altre aree. Ad esempio, capita che parte degli archivi e delle base dati elettroniche pervengono in forma incompleta alle aziende aggiudicatesi i nuovi appalti, con notevole danno alla qualità del progetto e con discontinuità nella gestione delle infrastrutture.In aggiunta alle considerazioni di cui sopra ci sono altri aspetti che andrebbero presi in considerazione e che sfuggono al cittadino/utente delle infrastrutture viarie. Le stazioni appaltanti, svuotate di ruoli e competenze tecniche, hanno implementato strumenti di controllo della qualità e di verifica che tendono a privilegiare il rispetto di procedure amministrative e di buone pratiche non necessariamente relative alle infrastrutture di rete, come, in taluni casi estremi, il mantenimento degli uffici in ordine e la compilazione di un gran quantitativo di formulari volti alla registrazione di ogni attività. Tale predominanza dell'aspetto amministrativo e burocratico sulla progettazione e sulla manutenzione delle strade trova un corrispettivo all'interno delle aziende appaltatrici, dove la necessità di monitorare costantemente le performance interne, di sub-appaltare alcune tipologie di lavoro quando previsto dai contratti e di non incorrere nelle ire dell'opinione pubblica in seguito a eventuali disservizi comportano una duplicazione delle figure professionali non strettamente correlate alle attività propriamente di gestione. Tutto ciò non può Yche comportare una distrazione di fondi da quello che dovrebbe essere il cuore di questi appalti verso l'ambito amministrativo e dirigenziale.Come scritto precedentemente, le implicazioni di questo modello di gestione delle infrastrutture non appare evidente ai noi addetti ai lavori dal momento che il comune cittadino non ha gli strumenti per valutare il rapporto costi-benefici del sistema, a differenza di quanto accade con il trasporto pubblico collettivo o con le utenze domestiche, dove la tariffa pagata rappresenta un metro chiaro di valutazione della qualità del servizio. Paradossalmente, qualora l'Esecutivo britannico, sostenuto da una coalizione parlamentare tra i Liberal Democratici ed i Conservatori, dovesse introdurre il pagamento del pedaggio per alcune strade come ventilato recentemente, i sudditi di Sua Maestà potrebbero finalmente ponderare l'effettivo rapporto qualità-prezzo e, molto probabilmente, lamentarsi della sproporzione tra tariffa e qualità. Ma quando i buoi sono scappati, si ha un bel chiudere il recinto.

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Solidarietà al "Manifesto"

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