lunedì 31 ottobre 2011

L'insostenibile leggerezza della libertà
Di Monica Bedana


Sono giorni che ho negli occhi questa foto. 
Lui è Antonio Basagoiti, 42 anni, il leader del Partito Popolare in Euskadi, nei Paesi Baschi. E' la prima volta in 14 anni anni che esce per strada solo, senza scorta; si siede sulla porta dell' ufficio e si accende un sigaro. Cosí è cambiato il suo mondo da quando l'ETA ha rinunciato alla lotta armata; nella boccata di fumo di quel sigaro acceso si materializza la sua libertà. 
E' la stessa libertà che invece si evapora per i quasi cinque milioni di disoccupati di nuovo sfiorati in questi giorni in Spagna, ed è esattemente la stessa che si  flessibilizza in Italia col nuovo decreto sviluppo, che vede nel lavoro soltanto un costo da abbattere mediante depennamento dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

Corrisponde ai poteri pubblici promuovere le condizioni affinché libertà e uguaglianza siano reali ed effettive; è l'articolo 9 della Costituzione spagnola, potrebbe essere il 3 di quella italiana. E' il fondamento di quello stato sociale che è sempre meno un diritto e sempre più una saltuaria concessione che dipende via via dalla fluttuazione dei mercati, dalle priorità dello spread, dalle inutili e continue ricapitalizzazioni delle banche. E se nella Grecia dimenticada dagli dei e dal FMI già scarseggiano da tempo le medicine, nella teoricamente florida e nobile Catalogna il consigliere alla sanità dichiara che “la salute è un bene privato, che dipende dal singolo cittadino e non dallo Stato”, giustificando cosí i sanguinosi tagli agli ospedali pubblici.

A che libertà possiamo aspirare, imbustati come siamo -Spagna, Italia ed il continente intero- dentro un sistema monetario talmente rigido da essere diventato una trappola mortale, senza lo spiraglio di un solo fattore chiaro che spinga a favore di una riattivazione dell'economia.
Alla nostra precaria libertà di cittadini il Sistema chiede, per nutrirsi, continui sacrifici; ed ecco che si snatura la Costituzione imponendole un tetto di spesa, che si convocano elezioni anticipate per calmare i mercati e che si fa affidamento allo “spirito di collaborazione” , nell'applicazione delle misure di austerità,  di coloro che ancora non sono stati eletti (e che hanno già dato, tutti, a priori, garanzie di totale disponibilità).
La nostra è, in realtà, una libertà pesantemente vigilata dalla scorta della troika. Siamo come Basagoiti prima di quel sigaro.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

Come non risanare l'Italia
di Nicola Melloni

su "Liberazione" del 28/10/2011

Di fronte alle inusitate ed inaccettabili pressioni europee, il governo italiano ha risposto con una lettera d'intenti che presenta un manifesto politico ed ideologico neoliberale ed un programma economico inutile e dannoso.
I cardini di questa svolta conservatrice sono la riforma previdenziale e quella del mercato del lavoro. Iniziamo dal primo intervento, l'aumento dell'età pensionabile a 67 anni e 7 mesi a partire dal 2027. I risparmi programmati con tale riforma sono assai pochi e comunque dilazionati nel tempo. Quindi, se l'obiettivo era trovare risorse per mettere in sicurezza i conti, si tratta di una riforma inutile. Pur tralasciando che il regime pensionistico italiano non è certo il più "lassista" d'Europa, i problemi dell'Inps non si risolvono con l'innalzamento dell'età pensionabile, dato che il sistema previdenziale ha i conti sostanzialmente in ordine, mentre è quello assistenziale a creare problemi di sostenibilità. In generale, il problema dell'invecchiamento della popolazione, che pure esiste, non si risolve certo innalzando l'età pensionabile. Il paese invecchia perchè, rubando il futuro ai giovani, disincentiva la natalità e dunque la potenziale espansione del mercato del lavoro. Inoltre, con un mercato del lavoro asfittico, due anni di lavoro in più per i padri vogliono semplicemente dire due anni di lavoro in meno per i figli, che devono aspettare il ritiro della generazione precedente per trovare lavoro. Non solo. Un aumento dell'età pensionabile peggiorerà inevitabilmente la produttività del lavoro. I lavoratori giovani, per mille evidenti ragioni, sono in media assai più produttivi di quelli più anziani, ormai usurati da 30 anni e passa d'impiego.

Si potrebbe obbiettare che il governo ha pensato anche a questo, cercando di rendere più mobile il mercato del lavoro con il licenziamento facile. Un'assurdità. Il mercato del lavoro è già divenuto estremamente flessibile con la deregolamentazione degli ultimi anni. Ma questa flessibilità estrema è divenuta precarietà e mai opportunità. Con dei costi economici e sociali abnormali. Uno lo abbiamo già visto: bassa natalità, figlia del basso reddito. E a ruota, ovviamente, basso consumo. Ma la precarietà ha soprattutto risvolti economici estremamente negativi. Flessibilità e precarietà vogliono soprattutto dire basso livello d'investimento in capitale umano in quanto solo l'azienda che assume a tempo indeterminato un lavoratore ha l'interesse a farlo progredire professionalmente. In questi anni si è insistito molto sulla bassa produttività del lavoro italiano, ma il problema nasce proprio dal ridotto livello degli investimenti, in tecnologia ed in capitale umano, dell'industria italiana. Ora si fornisce un ulteriore disincentivo alle imprese. Con la flessibilità, sostanzialmente, si chiede all'industria italiana di competere sul prezzo e non sulla qualità del prodotto, che è uno dei motivi fondamentali della crisi del nostro paese che risale a ben prima di quella finanziaria. I fautori della riforma sostengono che libertà di licenziare in realtà significa incentivi per assumere (e dunque anche per investire in formazione), ma in questi anni la flessibilità in entrata (che è poi tale anche in uscita, attraverso i contratti precari) si è semplicemente risolta in supersfruttamento e mediocre produttività. Licenziamento per motivi economici, unito alla fine della contrattazione nazionale, vuol dunque sostanzialmente dire licenziamento dei lavoratori che costano troppo e loro sostituzione con quelli a buon mercato. Con il rischio, nemmeno tanto velato, che il problema generazionale venga risolto col licenziamento dei lavoratori più anziani che così non raggiungerebbero più l'età pensionabile inopinatamente innalzata.

Nè, soprattutto, la riforma del mercato del lavoro accenna ad una necessaria ridefinizione del welfare, che in Italia non esiste, a parte la cassa integrazione. Se anche si volesse discutere seriamente di flexsecurity, si dovrebbe necessariamente partire dal reddito fisso per i disoccupati e dall'investimento pubblico (in quel caso) in capitale umano, con lo Stato che dovrebbe garantire l'aggiornamento ed il rinserimento nel mercato del lavoro, a pari salario e mansioni, come avviene nel Nord Europa. Non solo per una ragione di giustizia sociale, ma per evitare il deperimento dello stesso capitale umano e la sfiducia che porterebbe all'uscita definitiva dal mercato del lavoro.


Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

L'insostenibile inaffidabilità dei mercati
di Nicola Melloni

su "Liberazione"del 30/10/2011

Da quando la crisi è iniziata ed è entrata nella sua fase più acuta, ogni giorno siamo in attesa delle notizie che vengono dai mercati di tutto il mondo. La mattina appena alzati ci sono già le notizie che vengono dall'Asia, alle 9 aspettiamo con trepidazione l'apertura di Milano, che seguirà inevitabilmente il trend asiatico, ma il momento cruciale sarà comunque nel primissimo pomeriggio, quando inizieranno le contrattazioni a Wall Street che determineranno le chiusure in rialzo o i tonfi di giornata delle borse europee. E via che si ricomincia il giorno dopo. Giornate di panico e perdite colossali vengono seguite da incredibili rialzi ed euforia ed uno si potrebbe domandare cosa sia cambiato nel corso di ventiquattr'ore per passare dalla paura all'entusiasmo. Nulla, in effetti.
Ogni giorno ci affidiamo alle notizie che vengono dai mercati finanziari come se fossero un oracolo, se non proprio il giudizio universale pronunciato dalla divinità di questi tempi, il mercato. Come tutte le divinità, naturalmente, gode del dogma dell'infallibilità. Se il mercato così ha deciso, ci sarà una ragione, perchè, ci dicono gli economisti neoliberali, gli investitori sono razionali.

Ovviamente, non è così. Anzi, è l'esatto contrario. Bisognerebbe rileggersi Keynes e ricordarsi degli animal spirits. Gli investitori sono così razionali che agiscono con la logica del branco, se uno compra tutti comprano, se uno vende tutti vendono. D'altronde la storia degli ultimi 20 anni è davanti agli occhi di tutti. Il miracolo delle dot.com a cavallo della fine del secolo scorso sembrava il dischiudersi di una nuova era di ricchezza e benessere. Invece era solo una bolla speculativa. Tutti compravano, anche se non sapevano cosa stavano comprando. E poi tutti a vendere quando la bolla è scoppiata. Ed oggi è la stessa cosa. In preda al panico della crisi si vende a manbassa, a prescindere dal titolo che si possiede, salvo poi ricomprarlo il giorno dopo, a prezzo più basso per fare guadagni in conto capitale. E' la speculazione.

Ed ogni volta che in Tv o sui giornali si parla di speculazione, c'è sempre qualche economista o qualche "esperto" che ci spiega che la speculazione non è nè buona nè cattiva: è semplicemente una forza del mercato con cui fare i conti. Ma non è così. La speculazione non è una forza neutra come non lo sarebbe uno stato che decidesse di chiudere di imperio un'azienda per ragioni politiche, un'eventualità che quegli stessi economisti ed "esperti" considererebbero uno scandalo inaudito. Le borse storicamente esistono per dare la possibilità alle aziende di raccogliere i capitali necessari per gli investimenti. Nelle piazze affari di tutto il mondo gli investimenti dovrebbero valutare le potenzialità delle aziende, i loro piani di investimento, ed accordare loro fiducia nel caso siano convinti dalle prospettive di crescita. La fluttuazione del prezzo dei titoli dovrebbe dipendere dalla capacità delle aziende di generare profitti, cioè di pagare dividendi agli azionisti. Più profitti si fanno, più alto è il prezzo dell'azione.

Ora, è evidente che se i mercati fossero razionali, le imprese migliori crescerebbero in capitalizzazione, mentre quelle peggiori vedrebbero il prezzo delle loro azioni crollare. Ma non è così, lo abbiamo visto con l'esempio delle dot.com, lo intuiamo tutti i giorni quando la crescita del mercato asiatico fa salire il prezzo delle azioni di aziende italiane e quando, cinque ore dopo, l'apertura in calo di Wall Street fa crollare la stessa azione. In sostanza, l'andamento delle borse è ormai largamente slegato da quello dell'economia reale.

Da agosto in avanti, poi, oltre a controllare l'indice delle borse, siamo in costante fibrillazione per i movimenti dello spread, cioè la differenza tra il tasso di interesse italiano e quello tedesco. In questo caso, il giudizio che il mercato dà riguarda con più precisione gli stati e le loro politiche economiche. Se gli investitori non si fidano delle promesse e delle politiche dei governi, li puniscono vendendo titoli di stato. Seppure il mercato dei titoli di stato sia più legato a fondamentali macroeconomici che agli umori degli investitori dall'altra parte dell'oceano, rimane pur tuttavia un arbitro men che affidabile. Non c'è nessuna garanzia che il giudizio dato dai mercati sia corretto, e gli attacchi speculativi contro gli stati sono spesso dominati dai soliti animal spirit e non da aspettative razionali. Il punto è che la speculazione finisce per avere (quasi) sempre ragione ex post, perchè i suoi attacchi determinano una situazione di crisi anche se non ve ne era motivo. Con costi esorbitanti e non necessari.

L'andamento dei mercati finanziari è dunque inaffidabile, ed è assurdo che si continui ad attribuire a questi mercati il potere di giudizio sulle economie (e le politiche) degli Stati. Più che preoccuparsi del giudizio di un arbitro folle, sarebbe forse il caso di preoccuparsi di come metterlo sotto controllo e di limitare i danni della speculazione.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

giovedì 27 ottobre 2011

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale", 27 ottobre 2011

Serenissima:

"Riapre il Bolshoi, è di scena il potere"
Teatro del potere; la frase va presa in senso letterale quando si parla del Bolshoi.

Dopo sei anni di polemici restauri (costi lievitati e forte sospetto di corruzione), il prossimo 28 ottobre potremo finalmente assistere alla cerimonia inaugurale del nuovo Bolshoi, trasmessa in diretta via satellite nei cinema italiani...leggi tutto l'articolo

Rassegna Stampa:
(clicca sui titoli per leggere gli articoli)

- Intervista ad Emiliano Brancaccio, docente di Economia,
Università del Sannio
"Fondo salvastati, Berlino miope, cambino linea o qui salta tutto".


- Speciale Libia, con commenti curati da Simone Rossi e Francesca Congiu.

- Intervista a Jean-Paul Fitoussi sul "Messaggero"
"No agli ultimatum: ora Parigi e Berlino esagerano".

Ricordi di un'altra Fiat, di un altro secolo
Di 
Zavorka

Oggi, la politica di Marchionne è impostata su Roma, Menenio Agrippa e il monologo su patrizi e plebei, che non si può fare a meno degli uni e degli altri, almeno se i sacrifici li facessero entrambi sarebbe una politica condivisa...

La FIAT degli anni '60, degli operai che quando sono entrato io nel '78-79 erano grandi, raccontando di quando il capannone era pieno di fumo, e martellavano i numeri di serie a mano sui telai, quando avevano mal di denti non prendevano la mutua perchè stavano meglio sulla linea di montaggio, (o non sentivano il dolore o non stavano bene a casa, con la moglie intorno).

Il 23 o 24 dicembre la pausa cena è come la vigilia del cenone, con tutta la squadra, le donne gli anziani e noi giovani, ci siamo messi a mangiare insieme attorno a un tavolo in lastroferratura, la pausa più lunga di quanto ci tocca, certe mattine su Torino si riversa una coltre di neve così fitta che neanche i tram e gli autobus riescono a portare gli operai in fabbrica, e ci vai a piedi, a vedere il turno saltato, è una festa e un regalo del cielo, lui, l'avvocato, sarà pure venuto al lingotto, e noi a desiderare: magari passasse, saremmo felici di mostrargli come si lavora, come tutto funziona, ma a livello dei singoli la vita non funzionava, solitudine, insoddisfazioni, problemi muscolari e psicologici, chissà se oggi con internet è meglio di allora, al collaudo si lavora bene, le auto arrivano quasi tutte con qualche vite mancante, toccava chiamare la squadra volante: Vincenzo!!!! scatola guida! correttore di frenata!!!

Ogni giorno Vincenzo faceva il tè o l'infuso alla melissa, insomma una pacchia, meglio che montare un radiatore dalle viti minuscole, poi alle 5 rientrava al paese e lavorava extra nella officina, Carmelo invece era di Napoli, e sapeva tutte le canzoni meno conosciute, attaccava a fare i pezzi a cottimo nella pausa pranzo, lo sentivi battere il martello e cantare nel silenzio delle linee ferme, dice che a casa sua lafindanzata lo vedeva arrivare e diceva: meno male che sei arrivato, qui è un mortorio...

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

martedì 25 ottobre 2011

Il senso della guerra umanitaria e della democrazia
Di Simone Rossi

Nel corso degli ultimi giorni i quotidiani ed i periodici hanno fornito ampio spazio alla vicenda dell'uccisione di Gheddafi per mano di alcuni esponenti della milizia "ribelle", espressione del nuovo governo ufficiale. Reporter ed opinionisti hanno speso decine di righe a descrivere il contesto della morte e ad effettuare considerazioni su cosa sarebbe potuto emergere da un eventuale processo al despota libico.

Ciò che apparentemente nessuno sembra aver preso in considerazione è il fatto che tutta questa vicenda, inclusa la pietosa prima pagina del quotidiano britannico "The Sun", che non ha perso occasione per ricordarci che razza di immondizia sia, rappresenta un autogol colossale ed una smentita, qualora ce ne fosse bisogno, delle motivazioni umanitarie e democratiche alla base di questa come di altre guerre. Non serve il bambino della favola per mostrarci che il re nudo di fronte alla sguaiata ed ipocrita incoerenza dei governi occidentali, pronti a dispensare lezioni di democrazia al mondo intero ma che chiudono gli occhi o addirittura gioiscono di fronte al trattamento brutale di un uomo, i cui crimini andrebbero giudicati secondo il diritto internazionale, o comunque del Paese in cui egli è giudicato,e non sulla base della legge del taglione.

A differenza di quanto molti credono o preferiscono credere, non siamo di fronte ad un problema che riguarda quattro beduini ma ad una questione fondamentale anche per noi. Le circostanze della morte di Gheddafi mettono in mostra la brutalità e l'autoritarismo delle società in cui viviamo, casomai i continui esempi di repressione del dissenso o le frequenti morti di cittadini in custodia non fossero sufficienti. Recuperare il vero senso di parole come democrazia e diritti, in questo caso specifico quello ad un giusto processo, è fondamentale per la salvaguardia del modello democratico e per il progresso della società, anche quando si tratta di un dittatore accusato di crimini efferati. Ammettere eccezioni e deroghe sulla base di simpatie o dell'emotività mina l'idea stessa di diritti e della loro universalità, il che ci rende tutti e tutte vulnerabili ai soprusi del prepotente di turno.

La salvaguardia delle conquiste democratiche e sociali degli ultimi duecento anni non può che passare dalla riaffermazione di questa universalità. Purtroppo lo stato di apatia e di assuefazione con cui la maggior parte dei cittadini sembra aver reagito alla notizia non lascia ben sperare sulle sorti della democrazia che, a parole, difendiamo ed esportiamo con la guerra.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

lunedì 24 ottobre 2011

Eppure c'è poesia
ovvero: l'attualità associata alla letteratura
Di Monica Bedana

Medio Oriente:


“Morto a 83 anni l'erede al trono dell'Arabia Saudita”. 83 tenere primavere arabe, praticamente una speranza in erba per il Paese. L'ottantaquattresima di sicuro sarebbe stata quella decisiva. Peccato.
Il fanciullino, Giovanni Pascoli.

Dopo l'autopsia: “Gheddafi morto per ferita di arma da fuoco”. Stentiamo a crederci. Ed è comunque ora di passare ai Sepolcri, Ugo Foscolo.

Europa:


La politica economica italiana sotto esame in Europa; Berlusconi: “Io non sono mai stato bocciato in vita mia”. Lo smentisce con prontezza la maestrina dalla penna rossa, Angela Merkel.
Edmondo de Amicis, Cuore.

Berlusconi sostiene in sede europea la piena validità delle misure contenute nel decreto di sviluppo.
“Ho convinto la Merkel”. Ma lei smentisce di nuovo, facendo sfoggio di intimità con Sarkozy. Lui cinico seduttore che insiste, lei che pare si innamori di un altro ma alla fine tutti finiscono a letto con tutti nell'alcova dell'eurozona. Chordelos de Laclos, Le relazioni pericolose.

Italia:


Confindustria critica il Governo invitandolo a non lasciarsi commissariare ulteriormente dall'Unione Europea. Berlusconi: “Non rispondo a ragazzotti”. Marcegaglia come donzelletta che vien dalla campagna, Galli e Kraus fanciulli gridando sulla piazzola in frotta.
Il sabato del villagggio, Giacomo Leopardi.

Ancora Berlusconi, nel nuovo libro di Bruno Vespa: “Non ho usato nessun cellulare panamense, Lavitola chiamava ripetutamente Alfredo”. Un maggiordomo tuttofare. Frottole raccontate come pura verità. Intrighi a non finire. La commedia dell'arte. Il servitore di due padroni, Carlo Goldoni.

Colucci a Lavitola su Giulia Bongiorno, presidente della commissione di giustizia alla Camera: “Comanda tutto lei, è una stronza che non finisce mai, una bisbetica”. Se lei tuona, è inevitabile che piova (sulle intercettazioni). Scontrosa e litigiosa, sempre piena d'ira e di menate tipicamente femminili. Vuoi mettere il buon Paniz...
“Socrate e Santippe", Noctes atticae, Aulo Gellio

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale", 24 ottobre 2011

"The City of London":
"C'è poco da ridere"
Il sarcasmo e l'ilarità del duo Sarkozy-Merkel sono davvero fuori luogo. Lungi da me, chiaramente, difendere il grottesco Berlusconi, impresentabile in Europa almeno tanto quanto lo dovrebbe essere in Italia, e preoccupato più di donnine che di conti pubblici...leggi tutto l'articolo.

"Rassegna stampa":
Bersani a "El País": "Bisogna ricostruire l'Italia"
Pier Luigi Bersani usa a menudo el verbo “reconstruir” cuando habla de su proyecto político para Italia. El concepto evoca la idea de un país dejado en ruinas por la era berlusconiana, aunque el líder del progresista Partido Democrático (PD) no llegue a explicitarlo...Leggi tutto l'articolo ed il commento

Europa, vengono al pettini i nodi di una politica senza rotta
Di Nicola Melloni da
"Liberazione" del 23/10/2011

 Il vertice europeo in corso in queste ore sta, finalmente, portando al pettine i nodi provocati dalla crisi. Nel corso dell’ultimo anno la situazione economica è deteriorata, come noi e tanti altri avevamo previsto e come la UE si era sempre rifiutata di riconoscere. La Grecia non è più in grado di pagare il proprio debito ed è sull’orlo della bancarotta e del disastro sociale. Il contagio si è allargato ad altri paesi fino a toccare l’Italia, mettendo dunque a rischio la sopravvivenza di tutta l’unione monetaria. La colpa è soprattutto dei vertici europei che non sono riusciti a fronteggiare seriamente la crisi, divisi da reciproci egoismi, e condizionati da una guerra diplomatica che ora divide anche Francia e Germania. Anche oggi, sull’orlo del baratro, non si riesce ad avere una visione politica d’insieme, ci si aggrappa al particolarismo, all’insegna di una politica meschina e suicida.

Per un anno e mezzo ci si è barcamenati con toppe che creavano altri buchi. Non si è mai messo l’interesse ed il futuro dell’Unione al centro del dibattito europeo. Quel che importava ai governanti europei era vincere le elezioni locali o difendere le banche in difficoltà, ma non risolvere la crisi, non rilanciare l’Europa. Tant’è che ora, per molti paesi è ormai diventato più conveniente uscire dall’unione monetaria. Anche oggi, le liti tra Germania e Francia sono di piccola bottega. La Francia non vuole l’haircut sui titoli greci perchè a pagare sarebbero soprattutto le banche francesi che sono molto più esposte di quelle tedesche sul mercato greco. La Germania invece non vuole aumentare il fondo salva stati (che sarebbe meglio definire salva banche) perchè sarebbero i contribuenti tedeschi a dover contribuire maggiormente. Sempre questione di vil denaro. Che potrebbe anche essere un buon motivo, non fosse che i soldi risparmiati oggi diventeranno perdite assai più pesanti una volta che la Grecia, e poi l’Italia salteranno in aria.

A Berlino poi si continua a difendere la struttura istituzionale e la governance della Banca Centrale Europea per ragioni a dir poco ridicole. Mentre tutte le banche centrali del mondo, a cominciare dalla FED americana, aiutano gli stati ad uscire dalla crisi, la Germania continua a volere una BCE che si occupi solo di inflazione e stabilità bancaria. Legati ancora ai fantasmi degli anni ‘20 e ’30, la politica tedesca teme ancora l’iperinflazione, come se un pericolo del genere fosse all’orizzonte.
Mentre invece un moderato aumento dell’inflazione ridurrebbe in maniera consistente gli interessi che pagano gli stati europei. Ed un aumento, altrettanto modesto, dell’inflazione tedesca contribuirrebbe a rilanciare la competitività degli stati europei in difficoltà, bloccati da un tasso di cambio che fa comodo solo alla Germania e all’Europa del Nord ed ha penalizzato irragionevolmente le economie degli stati mediterranei. Invece a Berlino si continua a spingere per misure di austerità di tutte le economie in difficoltà, incapaci di capire che proprio questa austerità ha peggiorato la crisi e portato Atene sull’orlo della rivolta sociale. Soprattutto si fa finta di ignorare che l’austerità porta dritti al fallimento e dunque al collasso dell’intero sistema bancario europeo.

Sicuramente rifornire di munizioni il fondo l’Efsf, coinvolgere la BCE e finalmente emettere euro-bond sarebbe la mossa giusta in questo momento perchè darebbe una copertura di livello europeo al debito greco, rassicurando i mercati e calmando momentaneamente le furie speculative. Si tratta però di una misura ormai tardiva. Fosse stata messa in atto un anno fa, immediatamente dopo i primi segnali della crisi greca, ora l’Europa navigherebbe in acque ben più tranquille. Invece si è aspettato che la crisi crescesse ed arrivasse a travolgere economie ben più difficili da salvare come la Spagna e soprattutto l’Italia, il cui bail out sarebbe impossibile anche per la BCE.

Soprattutto il compito dell’Efsf dovrebbe essere di salvare veramente gli stati, di provvedere liquidità per rilanciare l’economia e non per pagare i debiti contratti con le banche. Quel che davvero si stenta a capire è perchè fondi così ingenti debbano essere usati per perpetuare il potere delle banche e per salvarle dal fallimento e non, invece per salvare l’economia reale. Se davvero vale il principio che chi sbaglia paga, allora non si capisce perchè debbano essere solo i lavoratori greci a pagare e non le banche francesi o tedesche.


Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

Grecia: democrazia "non" rappresentativa, la cartolina perfetta dell'Europa
Di Nicola Melloni da
"Liberazione" del 21/10/2011

Da oltre un anno e mezzo, la UE e la Banca Centrale Europea lanciano piani di salvataggio e rassicurano i mercati dicendo che tutto è a posto. Illudono i cittadini greci facendo credere che le nuove misure salveranno la penisola ellenica. Ed intanto, in cambio, chiedono nuovi tagli e nuova austherity. Peccato che non sia mai abbastanza. Dopo aver strangolato l’economia greca, ora la trojka chiede un nuovo salasso in cambio dell’erogazione del prestito di 8 miliardi di euro, una cifra fondamentalmente inutile per risolvere la crisi greca ma indispensabile per evitare la bancarotta tecnica del governo di Atene che ha bisogno di liquidità per pagare salari e pensioni.

Dopo un anno e mezzo di sbagli e politiche criminali si continua a persistere negli stessi errori che hanno portato il paese alla catastrofe. Questa volta non solo si tagliano gli stipendi di oltre 30 mila dipendenti pubblici, ma si abolisce per legge la contrattazione nazionale nel settore privato, così da poter aggredire i salari anche nell’industria – come se questo avesse una incidenza positiva sui conti dello stato. Misure che umiliano i lavoratori a tal punto che anche un paio di deputati del PASOK si erano inizialmente detti disposti a votare contro. Ma la ragion di stato deve prevalere. Il ministro delle finanze Venizelos ha subito fatto sentire la sua voce: la legge deve essere approvata, o sarà la catastrofe. Ma non è forse già questa una catastrofe? Non conta che le piazze di tutta la Grecia siano piene di manifestanti. Non conta che la stragrande maggioranza della popolazione greca sia nettamente contraria ai nuovi piani di salvataggio. Non conta che negli ospedali manchino le medicine e che nelle scuole non ci siano più i libri. Non conta perchè il Parlamento di piazza Syntagma non risponde più all’elettorato greco ma è ricattato da istituzioni sovranazionali non elette. Non conta perchè in tutto l’Occidente le politiche economiche le dettano i mercati e le istituzioni rappresentative devono solo mettere il loro timbro su decisioni prese da altri.

La piazza di Atene non ci sta. Non solo contesta le misure anti-crisi, non solo reclama una vita più dignitosa, ma chiede il ritorno ad una vera democrazia. E’ quello che chiedono milioni di indignados in tutto il mondo. Chiedono di uscire dalla logica di Venizelos che copia la Thatcher e sostiene che non c’è alternativa. Ma che democrazia è quella in cui c’è solo una scelta possibile? Serve votare se alla fine decide sempre qualcun’altro? Per questo, nuovamente, i veri centri della democrazia non sono più i palazzi sordi dell’establishment, ma le piazze. Perchè come sostengono i manifestanti in piazza Syntagma, il voto del Parlamento greco non è illegale, no, ma è illegittimo. Illegittimo perchè un Parlamento deve difendere gli interessi del popolo che lo ha eletto e non di cricche finanziarie e burocratiche, non del capitale transnazionale.

L’unica soluzione è di mettere il tema della democrazia al centro dell’agenda politica. Questo vorrebbe dire rilanciare soprattutto la rappresentatività delle istituzioni europee, che vanno cambiate radicalmente con un vero governo eletto e giudicato dal popolo, con una Banca Centrale che risponda non solo ai mercati finanziari delle sue azioni. I palazzi del potere, invece, continuano a vivere sotto vetro, in una realtà parallela. Mario Draghi, novello drago ribelle pure lui, solidarizza con la piazza del 15 Ottobre, ma quando dirigeva il Financial Stability Board non ha fatto nulla per evitare la crisi greca e riformare il sistema bancario, e come Banchiere Centrale Europeo in pectore si preoccupa unicamente di difendere la grande finanza e non si cura certo di ascoltare le proteste e le proposte di Piazza Syntagma o degli indignados di tutta Europa. La BCE continua a ricapitalizzare la banche senza chiedere nessun intervento strutturale sulla loro governance, ma si rifiuta di salvare gli stati e i cittadini che invece devono pagare per colpe non loro.

Viviamo, per farla breve, in una democrazia non rappresentativa. I lavoratori greci che scioperano per due giorni e che assediano il Parlamento vogliono semplicemente che siano ascoltate le loro voci. I loro cosiddetti rappresentanti se ne stanno asserragliati nel loro Palazzo, difesi solo dalla polizia, ad approvare una legge che nessuno vuole. Mentre fuori Atene brucia. La cartolina perfetta della democrazia europea.

.Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

venerdì 21 ottobre 2011

Gora Euskadi Askatuta. Viva Euskadi libera.
Finalmente libera dall'ETA.
Di Monica Bedana



E' tempo di guardare al futuro con speranza. E' anche tempo di agire con responsabilità e valore.
Per tutto ciò,
ETA ha deciso la cessazione definitiva della sua attività armata*.


Il primo comunicato interamente intellegibile dell'ETA da quando vivo in questo Paese mi invade per radio, mentre sto al volante. Ci si sperava da giorni, anche se nessuno osava confessarlo. Devo fermarmi a riprendere fiato, un caffè, accendere il pc, leggere con avidità le prime reazioni. Ci sarà un tempo infinito per le analisi e le interpretazioni; ora il mio primo pensiero va a Miguel Ángel, a lui e a tutte le vittime, alle loro famiglie. A quell'incubo di estate in cui ci dipingemmo le mani di bianco e da cui sembrava impossibile poter svegliarsi.

Il secondo pensiero va a chi vive da una vita sotto scorta e a chi la scorta la fa, al loro poter finalmente consumare le suole delle scarpe all'aperto, per strada, come ogni cittadino ha diritto di fare.

Il terzo, a tutta la società spagnola, a quella sua temperanza che amo e che sempre, anche nelle situazioni estreme, mi da la misura della sua maturità; alla sua fermezza, guidata dal punto di riferimento sicuro dello stato di diritto, unico modello possibile di convivenza**. Lo ricordava un emozionato Zapatero che, piaccia o no, di questa porta aperta sulla pace in Euskadi è uno dei grandi artefici istituzionali, con Rubalcaba, Alonso e tutte le forze dell'ordine.

La preoccupazione degli spagnoli per la crisi sicuramente appanna questo momento storico. In tempi di violenta esasperazione di buona parte del tessuto sociale del primo mondo non posso non considerare quel ruolo di cerniera tra politica e lotta armata svolto dalla sinistra radicale basca senza soluzione di continuità dagli anni '60 ad oggi. Con moltissime ombre, alcune senza dubbio pesantissime ed incancellabili, ma anche senza esitazioni, balbettamenti, scollamenti, frammentazioni, personalismi. Tanto da arrivare oggi ad essere la forza politica attraverso cui buona parte della società basca esprimerà in un futuro prossimo la sua definitiva catarsi. E mi chiedo come sarebbe l'Italia di oggi, quella di sabato scorso a Roma, se in Parlamento sedesse una vera sinistra radicale capace di farsi interprete onesta delle rivendicazioni anche estreme della piazza.

La scommessa è senz'altro per un futuro senza terrorismo, ma non senza memoria**.

*La parte essenziale del comunicato dell'ETA, la cui traduzione integrale ho pubblicato QUI
** Dal breve discorso del Presidente Zapatero sul comunicato dell'ETA
Il titolo di questo post (e l'emozione), rubati a Iñaki .


Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

giovedì 20 ottobre 2011

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale" del 20 ottobre 2011

"The City of London":
"Post-democrazia"
Le reazioni scomposte del dopo 15 Ottobre sembrano confermare una tendenza ormai consolidata, la riduzione dei diritti democratici. In Italia, lo sappiamo, la FIAT cerca di ledere il diritto di sciopero. Ora il sindaco di Roma ed il governo tentano di ridurre il diritto di manifestare. Addirittura Maroni lo fa' con una proposta odiosa e classista, solo i ricchi possono manifestare presentando adeguate fidejussioni...leggi tutto l'articolo.

"Rassegna stampa"

E dopo il 15 ottobre?
- De Magistris: Serve un partito che dia voce agli indignati

- Parlato: Temo una coda degli ultimi scontri

- Rossanda: Indignatevi con calma

- Mucchetti: Gli indignados non sono untori, la politica riparta dall'uguaglianza

I quattro articoli, disponibili cliccando QUI

Inoltre:

- Stefano Rodotà: La democrazia non ha prezzi

- Loris Campetti: Vietato vietare

I due articoli, disponibili cliccando QUI

Un anno in più, tanti diritti in meno


Esattamente un anno fa, Fiom e CGIL portarono in piazza a Roma centinaia di migliaia di (pacifiche) persone a reclamare il lavoro come bene comune. Maroni invocò il morto, seguendo un copione che l'irresponsabilità e l'ignoranza di questo governo e di parte dell'opposizione stanno evidentemente scrivendo da tempo. Un anno dopo siamo tutti più precari, sul lavoro e, soprattutto, in democrazia: la manifestazione della Fiom di domani viene ghettizzata a Piazza del Popolo dopo una lunga serie di trattative con la Questura di Roma.
Perché dover negoziare con lo Stato per esercitare un diritto sancito dalla Costituzione non è democrazia. E mentre Governo e opposizione trattano i cittadini come hooligans, sulla Val di Susa si addensano neri presagi. In questo precario contesto, non dovrebbe sfuggirci la violenza delle parole di Marchionne, quando dichiara che protestare è inutile . La sua sí è una nuova forma di terrorismo, totalmente priva di urbanità. Parafrasando Maroni.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

mercoledì 19 ottobre 2011

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale", 19 ottobre 2011

"Serenissima"
"La Venere di Botticelli si può toccare"

Con un'idea che solletica il mio spirito rinascimentale, Lerner ha definito gli scontri del 15 ottobre nella capitale romana come un nuovo sacco di Roma. E da quel giorno la cecità politica, istituzionale e perfino informativa stende un penoso -affatto pietoso- e spesso velo, ad occultare le ferite mortali di quel campo di battaglia abbandonato ai capitani di ventura che è la società italiana.
Se il Rinascimento morale della nazione non arriva, affidiamoci a quello artistico, a quello totalmente privo di ipocriti veli di Botticelli...leggi tutto l'articolo


"Rassegna Stampa":
(clicca sule parole in grassetto per leggere gli articoli)
Le cazzate di Repubblica su Centri Sociali e Black Bloc

Gli italiani, mai più liberi di scendere in piazza?
Selezione di articoli di De Magistris, Viroli, Colombo, Flores d'Arcais, M.Fini, Gaetani Azzariti, Rocco Di Michele, Maurizio Landini. Per leggerli clicca qui

"No Tav e violenza"

Cosa accadde a Roma il 15 ottobre 2011? Il dibattito continua, leggi qui gli articoli selezionati

martedì 18 ottobre 2011

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale", 18 ottobre 2011

The City of London
"Democrazia, protesta e violenza":
Oggi mi permetto una digressione, ma neanche tanto chè si parla pur sempre di economia politica. Il tema del giorno rimane sempre la violenza di Sabato. Premetto che non mi piacciono gli spaccavetrine, anche se penso che i problemi veri siano altrove e che la violenza in questi casi abbia, comunque, sempre un connotato politico, anche se rozzo, e che quindi non ci si possa limitare alla condanna. Nel vasto dibattito che ne è seguito mi è stato fatto notare da un amico che la violenza non può essere mai giustificata quando si dispone, come in Italia, del diritto di voto e di sciopero...leggi tutto l'articolo

"Rassegna stampa"
clicca sui titoli per leggere gli articoli
""Valentino Parlato vs Luca Telese, due articoli a confronto sulla violenza del 15 ottobre a Roma

"La difesa in numeri", di Marco Mostallino da "Lettera 43"

lunedì 17 ottobre 2011

Non è più sufficiente indignarsi
Di Monica Bedana

Ci sarebbe senz'altro piaciuto poter guardare il mondo con occhi diversi, il 16 ottobre. Credere che la dimensione globale delle proteste del 15O avesse immediatamente cambiato qualcosa, anche solo una piccola cosa. Invece la straordinarietà di questo movimento rimarrà nella storia solo per il potere di convocazione, l'unico che gli indignados hanno dimostrato in questi mesi di saper esercitare in modo convincente.
In Spagna, dove l'indignazione è nata, il Movimento svolgerà senz'altro un'azione efficace nei quartieri delle grandi città, il luogo in cui prese forma e dove chi vi partecipa fa penetrare l'informazione tra chi normalmente non può accedervi, organizza cooperative in cui si riuniscono i disoccupati che si sono conosciuti nelle piazze o impedisce fisicamente l'esecuzione degli sfratti. Un'azione sociale eccellente, ma priva di quell'effettiva influenza globale a cui dovrebbe aspirare.

Il radunarsi non può essere in eterno fine a sé stesso, occorre plasmare l'idea intorno a cui il movimento è nato in una concreta azione politica; solo cosí si può aspirare a rinnovare la democrazia, a riempirla nuovamente di tutti quei contenuti di cui un potere senza volto l'ha depredata in questi anni. Un potere totalmente opaco, di cui non conosciamo che gli effetti collaterali, perché l'unico dato di fatto è che nessuno conosce lo stato reale della banca. Sappiamo solo che ci governa nell'invisibilità e che riduce la politica a farne da tramite, diventando cosí il sacrosanto bersaglio della nostra indignazione quotidiana.

L'idea che fu del 15M e che ora non dovrebbe diluirsi nel 15O è, in fondo, il cuore di ogni sentire di sinistra: l'uguaglianza. Uguaglianza tra i cittadini e libertà nell'esercizio di tale uguaglianza. Due parole che, per quanto consunte dagli abusi, non smettono mai di essere valori. E che torneranno ad essere segni d'identità di una sinistra forte solo quando diverranno nuovamente pratica; in quella sinistra, forse, il Movimento si potrà finalmente identificare. Se questa sinistra non c'è o non c'e`più, bisognerà cercarne caparbiamente l'alternativa o crearla ex novo. Perché non è più tollerabile che la sinistra europea di oggi non si senta nemmeno un po' scomoda al sentirsi reclamare dalla piazza democrazia reale in un momento in cui a tutta la classe politica basta solo che sia credibile.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

La piazza, la violenza e la politica
Di Nicola Melloni

Gli incidenti di Sabato sono stati stigmatizzati in tutte le salse e certamente rimangono un brutto contorno ad una giornata altrimenti di grande mobilitazione, anche al di sopra delle aspettative. Ma se da una parte è giusto e imprescindibile partire proprio dal successo del corteo e dal numero imponente di indignados che lo hanno composto, dall’altro bisogna anche domandarsi come mai, dieci anni dopo Genova, siamo ancora nelle stesse condizioni di ordine pubblico.

Ovviamente una parte della risposta và cercata nella gestione dilettantesca (o forse, pure troppo professionale...) della piazza da parte delle forze dell’ordine. Che polizia e carabinieri abbiano lasciato sfogare i black block ad uso telecamere, come nel 2001, o che si siano fatti semplicemente trovare impreparati (come a Dicembre dello scorso anno), in realtà, poco importa. Il problema da mettere a fuoco, come tentava di fare Calabresi sulla Stampa di ieri, è la relazione tra politica e violenza. Politica vera, quella con la P maiuscola, non quella rinchiusa nei palazzi, quella fatta da centinaia di migliaia di persone in piazza sabato, quella che parla dei problemi del reale, che non sono le alleanze o le leggi elettorali, e nemmeno le intercettazioni e le escort. Ecco, quella politica, bella, nasconde anche un volto oscuro, fatto di violenza? Inutile negarlo, a mio parere, una vicinanza, pure nella distinzione, esiste.

Questo non ci deve soprendere nè scandalizzare. La violenza è grandissima parte della società in cui viviamo oggi. Sbaglia infatti Calabresi quando parla di anomalia italiana. La violenza, proprio in stile black block, esiste in tutto il mondo occidentale. E’ iniziata a Los Angeles dopo Rodney King, è passata per le banlieues di Parigi e quest’estate ha sconvolto Londra. Possiamo forse pensare che sia violenza diversa perchè non avviene nel contesto di manifestazioni organizzate? A mio parere assolutamente no. Si tratta, in tutti questi casi, di violenza “politica” perchè esprime un forte disagio politico. E qui la seconda parte della risposta data da Calabresi è più pregnante.
Parliamo di generazioni “perse”, senza speranza nel futuro e, soprattutto, senza rappresentanza politica. L’impossibilità di dare voce a questo disagio, porta inevitabilmente all’uscita dal sistema –basterebbe ricordare e riadattare Hirschman, se qualcuno da noi lo avesse letto. L’uscita dal sistema vuol dire la rottura delle regole di questo mondo, innanzittutto quindi, la violenza, l’atto con più evidenza appariscente di rottura.

Ma la politica, in Italia come in Inghilterra o in Francia, non si pone nessuna domanda riguardo a questo fenomeno, pensa solo a condannare. Soprattutto la sinistra, o meglio, quella che una volta era tale, non ha la capacità di capire e la volontà di rappresentare i movimenti della società. E’ una sinistra, ovunque, interessata alle poltrone, composta da uomini modesti e mediocri, che non hanno capito quello che invece i manifestanti di sabato, tutti, violenti e non, hanno invece compreso: il capitalismo occidentale è in crisi, la crisi, se non risolta, porta al conflitto.

L’incapacità di dare voce ed organizzazione a questo disagio porta diritti ad una piazza incontrollabile. Incontrollabile perchè frustrata, incontrollabile perchè disorganizzata. Non è una giustificazione, piuttosto un atto di accusa. Come d’altronde si può definire di sinistra dei partiti che non stanno in piazza con gli oppressi e gli sconfitti della società? E che magari sta a giocare a scopone con i grandi capitalisti (vedi Chiamaparino), che si interessa di scalate bancarie e di privatizzazioni, ma non si cura della ragione sociale della sinistra – eguaglianza vuol dire star dalla parte dei meno uguali, non dei più forti. Questo, per quanto riguarda i vari PD, Labour, etc..mentre

Il resto della sinistra, non solo in Italia,è diviso in dispute personalistiche e di lana caprina. La piazzaè lasciata a sè stessa. E poi ci soprendiamo della violenza. Forse ha ragione Calabresi, una anomalia italiana c’è. Ed è nella maturità politica di un movimento che sceglie, in stragrande maggioranza, la non-violenza.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale", 17 ottobre 2011

The City of London:
"Drago ribelle"
La sorpresa di Sabato, a poche ore dalla manifestazione degli "indignados" è stato l'intervento del governatore uscente della Banca d'Italia nonchè governatore in pectore della BCE, Mario Draghi. Dimostrando grande sprezzo del ridicolo, Draghi ha espresso la sua solidarietà verso i manifestanti. I giovani hanno ragione ad essere indignati, ha sostenuto, anche lui un drago ribelle...leggi tutto l'articolo

Rassegna stampa:
Clicca sui titoli per leggere gli articoli:
D'Alema: puntare al 60% con un nuovo centrosinistra, con commento di Nicola Melloni

"La planète des indignés manifeste dans plus de 700 villes"

venerdì 14 ottobre 2011

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale", 14 ottobre 2011

The City of London:
"Qualcuno aveva già capito tutto"
Mi hanno segnalato un bel video, da Quinto Potere, che risale a 35 anni fa e che risponde ad alcune delle domande che avevo posto ieri...leggi tutto l'articolo.

Rassegna Stampa:
Tutti gli aggiornamenti del dossier sugli indignati, QUI

Inoltre (clicca sui titoli per leggere gli articoli):
"La diseguaglianza insopportabile", di Nadia Urbinati da "Repubblica"

"La speranza di un new deal", di Chiara Saraceno da Repubblica.

Proposta: vietiamo il condono per essere più credibili in Europa
Di Nicola Melloni 

Da "Liberazione" del 12/10/2011

Ogni autunno, quando le foglie cominciano a cadere, ci tocca risentire la stessa vecchia storia. Ogni autunno, la destra italiana torna alla carica con il condono. E' una antica malattia italiana, il condono. Risale alla prima Repubblica, quando la Dc prima ed il Pentapartito poi ne facevano largo uso per accattivarsi le simpatie di commercianti e piccola impresa, un sussidio indiretto ai milioni di evasori fiscali, ed ovviamente una redistribuzione di reddito contro il lavoro dipendente che le tasse non le ha mai evase. Pian piano al condono fiscale si è aggiunto anche il condono edilizio che favoriva costruttori che non rispettavano il piano regolatore ed inquilini che decidevano di ignorare le regole. Da un punto di vista morale il condono è quanto di più indegno si possa immaginare: lo stato premia ex post coloro che infrangono la legge, sana il furto e l'abuso, premia i delinquenti contro i cittadini onesti. Il condono edilizio, inoltre, ha portato al saccheggio del territorio: città rovinate, coste deturpate, mentre creste di montagna smottano, argini cedono e caseggiati crollano.

Da un punto di vista economico, il condono, se possibile, ha effetti ancora più devastanti. In questi ultimi dieci anni, i vari governi Berlusconi hanno fatto abbondantissimo uso di qualsiasi genere di condono sempre con la scusa che c'era bisogno di reperire risorse. A maggior ragione, sostiene ora la maggioranza, c'è bisogno di far cassa in questo momento di crisi per ridare fiducia ai mercati. Si tratta di una emerita idiozia. Il ricorso ai condoni è uno dei maggiori problemi di economia pubblica italiana. Il condono crea un sistema di incentivi che perdura e si rigenera nel tempo in quanto, premiando l'evasione, alimenta l'evasione stessa nel futuro. Dunque, per ogni euro in più incassato oggi col ricorso al condono, ne avremo dieci o cento in meno domani. La logica del condono è che l'evasore trova ovviamente conveniente pagare una piccola multa (quando effettivamente lo paga) per sanare la propria posizione fiscale e dunque in questa maniera si aumentano le entrate. Allo stesso tempo, però, sapendo che il governo, prima o poi, ricorrerrà nuovamente al condono, l'evasore sarà incentivato a sanare la propria posizione oggi, ma a non pagare le tasse domani, aspettando che gli venga ancora una volta proposto di mettersi in regola nel futuro a prezzi scontatissimi. Chi non ha pagato la prima volta ed ha ottenuto lo sconto successivamente non ha dunque motivo per cambiare il proprio comportamento, in quanto ha visto che la sua azione (delinquenziale) paga. Chi invece ha pagato tutte le tasse e ha visto il suo concorrente evadere e venire premiato, troverà conveniente cominciare ad evadere lui stesso. Non solo. Dato che il condono aumenta l'evasione, il governo sarà costretto ad altri condoni nel futuro. Infatti il gettito fiscale diminuirà e l'esecutivo, per far cassa, dovrà nuovamente ricorrere alla sanatoria, giustificando in tal maniera l'incentivo a non pagare.

In questo modo in Italia si è alimentato il circolo vizioso dell'evasione che oggi vale circa tra il 18% ed il 22% del PIL - senza contare l'economia criminale. La base imponibile sottratta ai controlli fiscali è compresa tra i 200 ed i 300 milardi di euro. Detto in parole povere: se le tasse venissero pagate da tutti non ci sarebbe stato bisogno di alcuna manovra bis e tris questa estate. Ed il debito sarebbe rimesso in ordine nel giro di pochi anni. Non è finita qui. Il condono dovrebbe essere percepito come fumo negli occhi da tutti quelli che sostengono che la tassazione in Italia è troppo alta e che le tasse andrebbero ridotte, in quanto solo pagando tutte le imposte si potrà finalmente ridurle.

Per concludere, il condono alimenta l'evasione, ha contribuito a creare i dissesti di bilancio che ora paghiamo sui mercati internazionali, alimenta la concorrenza sleale e ci costringe ad adottare tasse più alte. Basterebbe essere, dunque, dei seri liberali per rifiutarsi anche solo di prendere in considerazione tale opzione. E sarebbe soprattutto opportuno che, invece di imporre il pareggio di bilancio in Costituzione, si decidesse di mettere nella nostra Carta il divieto del condono. Questo sì una garanzia di serietà per i partener europei, per i mercati finanziari e soprattutto per i cittadini italiani.


Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

giovedì 13 ottobre 2011

15 ottobre, uniti per un cambiamento globale


Dalla Puerta del Sol ai cinque continenti
Di Monica Bedana

Cinque mesi dopo, le tende che furono di Madrid si sono disseminate per mezzo mondo.
Eduardo Galeano la scorsa primavera da sotto quelle tende disse: “Questo movimento è la prova che il mondo non è abitato solo da persone indegne e rassegnate. Sono sempre di più le persone indignate: il sale della terra”.
I motivi dell' indignazione di Madrid allora, sono gli stessi, adesso, di altre 662 città sparse in 79 Paesi e ne sono bersaglio quattro grandi poteri: finanziario, politico, militare e mediatico. Adesso in Spagna sappiamo (lo ha confermato uno studio post-elettorale del Centro di Ricerche Sociologiche) che il Movimento 15M ha influito sulle scelte degli elettori nelle elezioni municipali e regionali dello scorso 22 maggio. 
Le elezioni generali sono dietro l'angolo e su di esse pesano lo spettro dei quasi cinque milioni di disoccupati di fine inverno, la sanità e l'educazione obbrobriosamente mutilate, le immagini quotidiane dei violenti sfratti di chi non può più pagare il mutuo per la casa, l'abbandono delle persone che hanno bisogno di assistenza, i tagli drastici negli aiuti allo sviluppo, cosí come quelli per le borse di studio e la ricerca. E sul prossimo appuntamento con le urne peserà ulteriormente, c'è da scommetterci,  questo “basta” che viene dal basso, che non è né di destra né di sinistra e che tende a colpire chi sta in alto.

CLICCA QUI per vedere la mappa mondiale delle manifestazioni del 15 ottobre


La rivoluzione del 15M in quindici frasi per il 15O *
- I nostri sogni nelle vostre urne non ci stanno
- Questa storia la cambiamo noi
- Politici, siamo i vostri capi e vi stiamo mettendo in cassa integrazione
- Violenza è uno stipendio di 600 euro
- L'ignoranza del cittadino da la vittoria ai tiranni
- Sto cercando i miei diritti. Qualcuno li ha visti?
- Non stiamo bussando alla porta, la stiamo buttando giù
- Loro sono il capitano, noi siamo il mare
- E questi, chi cazzo li ha votati? (cartello con i logotipi delle maggiori banche e delle più potenti lobbies finanziarie spagnole)
- Se tu paghi il loro debito, che loro paghino il tuo mutuo
- Democrazia non è plutocrazia. E' il potere del popolo, non dei ricchi
- Questa crisi non la paghiamo
- La barricata chiude la strada, ma apre il cammino
- Senza casa, senza lavoro, senza pensione, senza paura
- Spain is different, not indifferent
* dal libro "No nos representan", di Pilar Velasco, edizioni "Temas de hoy"

Gli indignati di Dublino
Di Genny Carraro

“Occupy Dame Street” (Occupiamo Dame Street) e’ una delle tante cellule che sono andate sviluppandosi sull’idea di Occupy Wall Street e ancor prima dal movimento 15 M. Questo e’ un movimento apartitico, fatto di persone e per le persone; non ci sono leaders ed include persone di diverse nazionalita’, estrazione culturale/sociale, sesso, visione politica, etc. E’ un movimento che si basa sulla non violenza, un nuovo tipo di resistenza che ha gia’ provato la sua efficacia con la “primavera araba”.

E’ il dovere di tutti, di noi che viviamo nel mondo capitalista di ribellarci all’ingordigia dei banchieri, dell’elites finanziarie e politiche che hanno creato tanti problemi e disastri non solo a casa nostra, ma in tutto il mondo. Chris Hedges riassume in questo paragrafo cio’ che vale non solo per gli USA, ma per tutti noi: “non ci sono piu’ scuse rimaste; o partecipi alla rivolta contro Wall Street e le altre istituzioni finanziarie in diverse citta’, o stai con la parte errata della storia. O blocchi con l’unico mezzo che ci e’ rimasto: LA DISOBBEDIENZA CIVILE il saccheggio perpetrato dalla classe criminale a Wall Street e l’accelerata distruzione del sistema ecologico che sostiene la specie umana, o passivamente autorizzi la crescita di un mostruoso diavolo.O assapori, senti e odori l’intossicazione di liberta’ e rivolta, o affondi nelladisperazione e nell’apatia. O sei un ribelle o sei uno schiavo.”

La domanda degli irlandesi e’ che L’IMF e la EBC stiano fuori dagli affari interni del paese; che non impongano ulteriori misure di austerita’ (privatizzazione di acqua, gas, elettricita’ che farebbero regredire il paese agli anni 30); che le banche private siano quelle a pagare per gli assurdi investimenti, per i debiti, per il disastro che hanno creato. Gli irlandesi non vogliono pagare un debito che non hanno contratto; non vogliono segnare la vita dei loro figli e dei figli dei loro figli con il debito dei banchieri che nel frattempo si arricchiscono e continuano a giocare con la vita delle persone.
Gli irlandesi chiedono una democrazia partecipativa, dove l’interesse delle persone sia al primo posto, dove sia la gente a decidere cio’ che deve succedere.

I nostri articoli di questi mesi sugli indignados:
(clicca sui titoli per leggere)

Indignati, i nuovi resistenti

In piazza, i figli della globalizzazione dicono basta alla politica-ingegneria

Sulle tracce del 15M

The first democracy on the world

Benedetto, 1- Indignados, 0

Gli indignados occupano la Borsa di Madrid (ma non troppo)

Video degli indignati a Bologna, scontro tra manifestanti e polizia

Oggi il nostro speciale della rassegna stampa sul 15Ottobre cliccando QUI .

Questi gli articoli che contiene:

"Panic of the Plutocrats", di Paul Krugman
"Gli indignados americani di Occupy Wall Street", di Federico Rampini
"Proteste in Banca d'Italia", di A. Cori e I. Venturi
"With kiss-ins and dances, young chileans push for reform", di Alexei Barrionuevo
"Antipolitica.La rivolta contro il potere e le tentazioni populiste", di Carlo Galli, da Repubblica
"Dal Cile, la leader degli indignados: fuori dal Paese gli uomini di Pinochet", da "Il fatto Quotidiano"
"En Grèce, la révolte inaboutie de la jeunesse", di Pierre Daum
"¡Qué vivan los estudiantes!La lezione cilena", di Marco Consolo
"I draghi ribelli scrivono a Napolitano: Basta alla dittatura delle banche, adesso si riparta dai giovani"
"Occupy "x" arrives in Ireland with Occupy Dame Street", di Andrew Flood
"La sinistra necessaria. Indignati a Manhattan". Di Robert Reich

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale"

The City of London:
"Alcune semplici domande"
Ovunque si continua a parlare di ricapitalizzazione delle banche europee per evitare una nuova crisi bancaria a seguito del default greco (che avverra').
Sicuramente in questo momento e' il minore dei mali, ma la domanda rimane: perche' bisogna dare soldi pubblici alle banche a rischio fallimento e non alle imprese? ...Leggi tutto l'articolo

Rassegna Stampa
"Dossier: Gli indignati nel mondo". Per leggerlo, clicca qui

mercoledì 12 ottobre 2011

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale", 12 ottobre 2011

Rassegna stampa:

Dove va Nichi Vendola?
Di Emilio Carnevali, da Micromega

Nel variegato mondo dell'opposizione antiberlusconiana gli ultimi giorni hanno visto succedersi diversi fatti rilevanti. Due sono i fuochi attorno ai quali si sono addensati gli eventi. Il primo è limitrofo al mondo berlusconiano stesso: il rinnovato attivismo delle...leggi tutto l'articolo

En Grèce, la révolte inaboutie de la jeunesse
Di Pierre Daum
Après la mort d’un adolescent tué par deux policiers dans le quartier athénien d’Exarchia le 6 décembre 2008, la jeunesse grecque s’était enflammée. Aujourd’hui, alors que la crise financière a fait passer le pays sous les fourches Caudines du Fonds monétaire international, la gauche est parvenue à se maintenir au pouvoir... leggi tutto l'articolo

Sanatoria truffa
Di Simone Rossi

Circa due settimane fa abbiamo riportato la notizia di due lavoratori di origine straniera arrampicatisi su una ciminiera in zona San Siro, Milano, dove sono rimasti sino al 2 ottobre. Come molti altri nella loro situazione, i due uomini protestavano per la mancata concessione del permesso di soggiorno a coloro che avevano aderito alla sanatoria per colf e badanti del 2009. Come dichiarato dal sindacato CUB di Milano all'inizio di questa forma di presidio, la sanatoria ha rappresentato una truffa, che ha giocato sulla disperazione di chi é disposto a tutto per ottenere la regolarizzazione della propria presenza in Italia, a tutto vantaggio dello Stato, che ha riscosso i contributi previdenziali per l'emersione dal "nero", e delle organizzazioni che hanno funto da intermediarie nella presentazione delle domande di sanatoria.

A seguito della richiesta di alcuni lettori che hanno voluto chiarimenti sulle modalità con cui si e configurata la truffa, segnaliamo il rapporto pubblicato dall'associazione Naga, che promuove e tutela i diritti di tutti i cittadini stranieri, rom e sinti, in collaborazione con ARCI, Comitato Inquilini Molise Calvairate Ponti e Immigrati Autorganizzati. Il rapporto é il risultato di un'indagine su un campione di 438 cittadini stranieri che inoltrarono richiesta di sanatoria nel 2009 e che ancora oggi, dopo aver speso mediamente €3000 per la richiesta di regolarizzazione, a distanza di due anni attendono ancora una risposta.
Il rapporto, o un riassunto, può esser reperito all'indirizzo: http://www.naga.it/index.php/notizie-naga/items/truffasi.1304.html

Come spiega Pietro Massarotto, presidente del Naga, nella sua introduzione, la questione della sanatoria-truffa é rivelatrice di un'impostazione errata del sistema di regolazione dei flussi migratori, che non prevede forme strutturate e chiare di regolarizzazione di chi già risiede nel Paese. Un'impostazione che ad oggi nessuno dei partiti con rappresentanti nel Parlamento ha dichiarato di voler modificare, per renderla più coerente alla realtà dell'immigrazione e dei processi che sottendono ad essa.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

martedì 11 ottobre 2011

Gli aggiornamenti delle rubriche di "Resistenza Internazionale"

The City of London:
"Vietare il condono in Costituzione"
Questa estate la trojka europea ha deciso che i paesi poco affidabili (!) del continente debbano impegnarsi solennemente e legislativamente (in Costituzione!) a mantenere il pareggio di bilancio. L'idea è balzana e fondamentalmente inapplicabile - e trasformerebbe la Corte dei Conti in Corte Costituzionale - ma mi ha ispirato un proposta simile. Vietare in Costituzione il ricorso al condono. ... leggi tutto l'articolo

Serenissima
"Il lato rosa del Nobel"
Il Nobel della Pace, quest'anno, ha di nuovo volto femminile, addirittura moltiplicato per tre. In realtà le donne su cui è ricaduto questo premio, da quando è stato creato ad oggi, sono meno del 5% del totale dei premiati...leggi tutto l'articolo

Rassegna stampa
"Negli anni 80 facemmo lo stesso errore".
La svolta economica del Governo brasiliano in un articolo segnalatoci da Simone Rossi.
leggi tutto l'articolo

lunedì 10 ottobre 2011

In piazza i figli della globalizzazione dicono basta alla politica-ingegneria


La crisi del capitalismo occidentale, e non solo, ripropone con forza il tema del disagio sociale, della protesta, della rivolta. Gli indignados spagnoli hanno acceso la miccia di un movimento che ormai dilaga: in Grecia è sciopero generale, in Cile una marea di studenti è in lotta contro il governo, ora anche in America si scende in piazza, da Wall Street fino alla California. 
L'establishment politico ed economico, ovviamente, già parla di anti-politica. Cittadini che protestano, indignati, appunto, e ce l'hanno con tutto e con tutti. Qualunquisti, forse. Potenziali criminali, addirittura, se dobbiamo basarci sulle feroci repressioni dei governi. Tutte descrizioni di comodo per evitare di fronteggiare la realtà. Il movimento degli indignados non è anti-politico, è, anzi, intrinsecamente politico. Anti-politica, come suggerisce Carlo Galli dalle colonne di Repubblica, è la tecnocrazia degli organismi sovranazionali, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Centrale Europea, della Ue. Anti-politica è quel modo di concepire l'arte di governare come tecne, tecnica e competenza, la politica intesa come scienza. E quindi una politica che non è mai scelta tra due o più opzioni, ma piuttosto un processo meccanico di scelte obbligate. E' la TINA - There Is No Alternative, non ci sono alternative - di Margaret Thatcher, il motto sacro del neo-liberismo che svuota la democrazia del suo potere decisionale. La politica diventa amministrazione e l'economia politica sparisce, rimpiazzata, anche in questo caso, dalla scienza, la scienza economica, quella che faceva dire a Larry Summers (già ministro del Tesoro con Clinton e consigliere di Obama): «Le leggi dell'economia sono come le leggi dell'ingegneria. Funzionano ovunque». In fondo, sono i numeri a governare l'economia, e i numeri non sono opinioni. 
Anti-politica, soprattutto, è dunque il capitalismo liberale, quello che non dà scelta: c'è la crisi, bisogna salvare le banche. C'è la crisi, dovete pagarla voi. C'è la globalizzazione, dovete diventare flessibili. C'è la Cina, i salari devono essere abbassati. Fino ai piani di salvataggio imposti a governi e parlamenti da oscure istituzioni che non rispondono a nessuno, se non ai mercati. La verità, naturalmente, è tutt'altra. Dietro la tecnica, i numeri, le scelte obbligate si nascondono rapporti di forza, rapporti di produzione. Non esiste una politica neutra, non esiste una economia neutra; tutto, come direbbe Marx, è economia politica. E dunque c'è sempre una diversa scelta possibile. Solo che, in questi trent'anni, si sono ostinati a negarla. 
Proprio contro questa anti-politica, questa impossibilità di scegliere, si sono ribellati gli indignados. Giovani, studenti, lavoratori, che vogliono semplicemente riprendersi il loro futuro. Le proteste a Wall Street, dunque, c'entrano in pieno il cuore del problema, ed hanno identificato perfettamente l'obiettivo: non Washington e la Casa Bianca, ma New York e Wall Street, il centro dell'impero dell'anti-politica, quel mercato che non vuole bastoni tra le ruote ma che controlla con morsa d'acciaio presidenti e parlamenti. No, gli indignados di Wall Street non sono assimilabili alle proteste anti-stato dei Tea Party, come invece prova a spiegare Zucconi. Sono l'esatto contrario, chiedono più politica e non meno politica. Chiedono una politica nuova che se ancora non è rivoluzionaria e palingenetica è comunque di rottura, di cambiamento epocale. E' il risveglio del lavoro, del fattore umano mortificato al rango di merce dal capitalismo, ma che merce non è, perché ha una sua soggettività ed una sua coscienza. 
Sono proprio le contraddizioni del capitalismo a far riemergere questa soggettività, per decenni sopita. Una soggettività vecchia di secoli ma al tempo stesso nuova, figlia proprio della globalizzazione neo-liberale. E dunque, in questa globalizzazione, ci troviamo di fronte ad un movimento globale, internazionalista nel suo senso più puro perché la crisi attuale è la crisi di tutto l'Occidente capitalista, di tutto un sistema di produzione che non ha confini. Già Marx, centocinquanta anni fa, parlava di proletari di tutto il mondo. Poi le Guerre Mondiali e la crisi del '29 avevano portato alla formazione di economie nazionali con problemi e dinamiche non sempre convergenti, superate però oramai dall'emergere della globalizzazione capitalista. Ed è in questo nuovo scenario che la sinistra deve trovare il suo campo di battaglia, pensando a forme nuove di organizzazione e collegamento tra movimenti che, fondamentalmente, chiedono tutti il superamento dell'anti-politica liberista.

Nicola Melloni (Liberazione 07/10/2011)




Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

Insolite figure retoriche
Di Monica Bedana

Non stupirsi di nulla è quasi l'unica cosa che possa farci e mantenerci beati*.

La Santanché, sublime ed inconsapevole filologa: "Forza Gnocca è un'idea del cazzo" perfetta endiadi, figura retorica che esprime un solo concetto mediante due termini coordinati.

Gli indignati spagnoli che partirono in luglio alla volta di Bruxelles per chiedere conto anche al Parlamento Europeo, sono arrivati a destinazione ieri e in 50 hanno già conosciuto l'accogliente austerità delle celle dei commissariati di Polizia del Belgio. Tutto per un sordo brusío in un parco pubblico dopo le dieci di sera. Ossímoro, unisce termini paradossalmente antitetici.
Spagnoli, casinisti per natura sono, e sempre senza orari.

La banca Dexia in luglio superò a pieni voti la prova di resistenza posta dall'EBA, l'autorità bancaria europea. Meno di tre mesi dopo la stessa banca rischia di non sopravvivere senza un secondo riscatto da parte di quelle stesse autorità bancarie che, dopo averla promossa, ora la bocciano inesorabilmente. Poco importa che la prova d'esame avesse un grave difetto di forma quasi gelminiano, non tenesse conto del deterioramento del portafoglio del debito greco (o di qualsiasi altro debito sovrano). Solida solvenza, ricapitoliamo ricapitalizzando. Allitterazione.

Gli esperti della troika (e qui la Santanché non c'entra, trattasi di FMI, BCE e Commissione Europea) che stanno analizzando la situazione economica della Grecia per vedere se merita o no di ricevere ulteriori aiuti finanziari ed evitare cosí la bancarotta, criticano la mancanza di determinazione del Governo greco nell'applicare i tagli ed esigono misure molto più severe di quelle applicate finora. Gli ultimi 30.000 funzionari cassaintegrati in un solo colpo erano evidentemente acqua di rose. Esageriamo, ce ne vogliono altri 30.000, subito. Iperbole.

* Lo diceva Orazio, quello del carpe diem.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

venerdì 7 ottobre 2011

Colpo di Stato
Di Simone Rossi


Nell'orizzonte politico italiano il colpo di Stato è sempre rientrato nella rosa delle possibilità. Nella nostra storia repubblicana ci furono tre casi di tentato sovvertimento dell'ordine costituzionale; non giunsero ad esecuzione, ma per parecchio tempo l'aria di golpe si respirò nel Paese. Secondo la generazione dei miei genitori, esso avrebbe preso forma con l'occupazione delle strade e l'assedio ai palazzi delle istituzioni democratiche da parte delle forze armate; per la mia avrebbe assunto verosimilmente le forme di uno stato di polizia, con incarcerazione e tortura degli oppositori politici sul modello di quanto visto alle scuole Diaz e Pertini o alla caserma di Bolzaneto.

Ci sbagliavamo. I golpisti sono giunti in giacca e cravatta, con l'aspetto elegante e sobrio dei banchieri e le loro ricette economiche ammantate dell'aura del dogma. Questo possiamo desumere dalla lettera inviata all'Esecutivo italiano da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, presidenti rispettivamente uscente ed entrante della Banca Centrale Europea (BCE). Con questa missiva, inviata il 5 agosto ma il cui contenuto é stato svelato solo la scorsa settimana, la sovranitá nazionale è stata scippata al popolo italiano ed al suo massimo organo di rappresentanza istituzionale, il Parlamento. Siamo tutti ben consci che nel corso degli ultimi tre decenni il ruolo dei rappresentanti dei cittadini sia andato via via riducendosi a quelli di esecutori di decisioni prese altrove, tuttavia un qualche margine di manovra all'interno dei dogmi della idelogia, o religione, neoliberista era ancora garantito, seppur ogni anno piú ridotto. Come accaduto precedentemente in Grecia, dal 5 agosto il giá malconcio Esecutivo ed il Parlamento italiano sono definitivamente commissariati, trasformati in burattini, in una facciata che fornisce una parvenza di democrazia ad un sistema che nei fatti è un'Oligarchia.

L'aspetto peggiore e ben più grave di tutta questa vicenda, però, è il grado di passività con cui i cittadini e le organizzazioni della cosiddetta società civile accolgono questo ulteriore passo verso qualcosa che non è più la democrazia in cui abbiamo vissuto per oltre sessant'anni. Non ci sono state reazioni popolari, di massa, per reclamare la difesa della democrazia, né abbiamo assistito a reazioni anche spontanee di cittadini indignati, come talvolta in passato. Sembrerebbe che la distanza fisica e psicologica della BCE e l'indiscussa e religiosa autorevolezza di cui gli economisti godono nell'immaginario collettivo inducano arrendevolezza anche nei cittadini piu attivi e coscienti. Ma non a ragione. Quella imposta dalla Banca Centrale è un'agenda neoliberista, della stessa qualità di quelle perseguite negli ultimi trenta anni e che hanno portato allo scoppio della crisi nel 2008, non un verbo divino. Esiste un'alternativa a questo modello economico e di sviluppo, ne abbiamo esempi in altri continenti e nella storia europea; lo hanno affermato 26 milioni di elettori lo scorso giugno, nella consultazione referendaria che ha messo nero su bianco che i cittadini non sono disponibili a vedere i beni comuni trasformati in merce.

Si superino gli indugi e le divisioni di bottega e si prenda un'iniziativa collettiva nell'interesse generale e nel nome della democrazia popolare. Diamo una scossa a questa società in narcosi, per il lfuturo nostro e delle generazioni a venire.

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete