Riprendiamo oggi il bellissimo articolo di Wu Ming 4 su Giap in cui si racconta di un tema sconosciuto ai più, il finanziamento da parte del Comune di Bologna delle scuole materne private e del referendum richiesto dai cittadini per bloccare questa palese violazione costituzionale. Referendum che si farà ma, guarda un po', non in concomitanza con le elezioni politiche - troppa confusione sotto il sole, un po' come diceva il Governo Berlusconi a proposito del referendum sul nucleare. Mezzucci ed espedienti di una classe politica alla frutta che usa delle technicalities per cercare di bloccare la partecipazione politica. Un bell'esempio della "democraticità" del PD. Ed un bell'esempio anche di quello che ci attende col prossimo governo, che continuerà a demolire la scuola pubblica dando soldi alle private. E d'altronde il trend fu iniziato negli anni 90 proprio dalla giunta dell'Emilia-Romagna con allora a capo un tal Bersani......
Su
Giap non ci occupiamo spesso degli affari bolognesi,
perché diamo per scontato che interessino a una fetta piuttosto
ristretta dei giapster. A volte però ci sono questioni locali sulle
quali è difficile non prendere parola. E
Giap è la nostra presa
di parola pubblica. In questo caso, poi, la faccenda ci sembra
emblematica di qualcosa che travalica i confini cittadini e regionali.
Ed è per questo che ce ne occupiamo e non smetteremo di farlo.
Si tratta del referendum sul finanziamento comunale alle scuole paritarie private.
Per chi si fosse persa la puntata precedente, indispensabile per capire pregresso e contesto, è
QUESTA.
Eccoci ad aggiornare sugli sviluppi e a ribadire un punto di vista.
1. Update
«Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per i
soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che
demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione
del sapere hanno solo da perdere».
I. Calvino, “La Repubblica”, 15 marzo 1980
Il 5 dicembre scorso, il
Comitato Articolo 33
ha depositato in Comune 13.000 firme a favore dell’indizione del
referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie private. I numeri
dunque ci sono.
Da quel giorno il comitato promotore ha iniziato un
pressing
sul Sindaco chiedendogli di accorpare il referendum alle elezioni
politiche del prossimo febbraio, al fine di sfruttare la massima
affluenza possibile dei cittadini alle urne.
Il Sindaco si è trincerato dietro lo statuto comunale: «C’è uno statuto
che impedisce l’election day e sarà il consiglio comunale a valutare se
sarà opportuno cambiarlo. Per me è inopportuno».
A quel punto il Comitato ha pubblicato a proprie spese
un’inserzione su “La Repubblica” di Bologna
per marcare stretta l’amministrazione comunale che tergiversava sulla
data. Inserzione alla quale il partito di maggioranza ha risposto con un
dépliant sul quale campeggiava lo slogan «Facciamo scuola non
propaganda», accusando indirettamente i referendari di essere appunto
dei propagandisti (di cosa? E per conto di chi? Il sospetto prima di
tutto, ché si sa, l’avversario non può mica essere in buona fede…).
Infine, proprio due giorni fa, il Consiglio Comunale ha votato contro
l’ipotesi di modifica dello statuto, bocciando l’accorpamento. Il
Sindaco ha suggellato il tutto indicendo il referendum per il 26 maggio.
E’ interessante prendere in esame le argomentazioni del sindaco di
Bologna e del suo partito, perché ci sembrano rivelatrici di una certa
insofferenza per ciò che si muove ai piani bassi e di un certo
nervosismo del manovratore.
2. Ragione di statuto
«Questo matrimonio non s’ha da fare».
A. Manzoni, I promessi sposi (1842)
A fare notare che lo statuto comunale non era un grande appiglio
contro l’opportunità dell’accorpamento tra referendum ed elezioni
politiche sono stati i giuristi che affiancano il Comitato Art. 33.
In effetti lo statuto del Comune di Bologna, all’articolo 7, vieta
l’accorpamento dei referendum cittadini con altre operazioni di voto,
recependo così una legge dello stato: art. 6 della legge 142, 1990.
Senonché nel 1999 la suddetta legge è stata modificata e da quella data
si è reso possibile l’accorpamento dei referendum alle elezioni
politiche nazionali. Il Testo Unico per gli Enti Locali (TUEL) ha in
seguito recepito e confermato questo indirizzo di legge, tant’è che
diversi comuni hanno provveduto da tempo ad adeguare i loro statuti
(vedi Milano).
Del resto, secondo i giuristi summenzionati, il TUEL ha prevalenza sullo
statuto comunale ed è una mancanza del Comune di Bologna che da allora
non si sia proceduto ad adeguare quest’ultimo alla normativa vigente.
Quale migliore occasione per farlo se non l’indizione del prossimo
referendum cittadino?
Ci ha pensato un consigliere del Movimento 5 Stelle a chiedere la
modifica dello Statuto in Consiglio Comunale, ovvero il suo adeguamento
alla norma di legge nazionale. In effetti il Consiglio Comunale è
l’unico organo che possa farlo. Il Sindaco avrebbe potuto farsi
promotore della cosa, ma aveva già espresso chiaramente il suo dissenso
(vedi sopra) e quindi se n’è tirato fuori, anzi,
ha ribattuto con toni pesanti ai referendari che lo chiamavano in causa.
Secondo i tecnici del Comune sollecitati dal M5S a fare un po’ di
conteggi, l’accorpamento non comporterebbe un risparmio per le casse
comunali,
ma per quelle statali invece sì.
Va da sé quindi che i motivi per cui si è deciso di evitare il risparmio
e di non sfruttare l’affluenza alle elezioni di febbraio è tutto
politico. Come del resto si evince dalla risposta cristallina che il
suddetto consigliere grillino ha avuto dal collega del PD:
«L’accorpamento del referendum cittadino con tornate
elettorali amministrative o politiche, avrebbe un effetto negativo. Chi
si presenta alle elezioni per guidare un paese o una regione o una
città, si presenta con una visione programmatica che è risultato di un
percorso condiviso ampio, con cittadini, interlocutori, limato con
alleati di coalizione. Ed è dovere del candidato alla guida di un paese
mettere in campo una proposta organica programmatica e realizzabile.
Unire nella stessa tornata elettorale anche la chiamata al referendum,
creerebbe un cortocircuito perché con il referendum i cittadini vogliono
testare se la maggioranza tiene rispetto a un tema. Inoltre non si
devono confondere gli strumenti della democrazia rappresentativa con
quelli della democrazia diretta. Pensate ad un’elezione amministrativa
in cui ci sono 3-4 proposte di governo che hanno una sintesi
programmatica. Nello stesso tempo i cittadini devono votare su 1…10
quesiti referendari. Si perderebbe la sintesi di un progetto di
governo.»
[
qui il verbale della seduta del Consiglio]
In sostanza: siccome tocca tenere aperto il ponte con i centristi
cattolici, e siccome sulla faccenda dei finanziamenti alle scuole
paritarie private ci sono svariati dissidenti dentro lo stesso PD, non
si può votare per le politiche e contemporaneamente fare il referendum,
perché si rischierebbe di perdere la «sintesi di un progetto di
governo». Questo si chiama parlare chiaro.
Così la votazione ha visto trionfare i contrari all’accorpamento per 24 voti contro 8. Amen.
3. Parole
«Go ahead, make my day».
C. Eastwood, Sudden Impact (1983)
«Noi siamo uno degli esempi più alti in Italia su come
vengono gestite le scuole per l’infanzia, un esempio di standard di
qualità, e di metodo educativo. Io ho un obiettivo unico, importante e
decisivo: far sì che ogni mattina che un papà e una mamma si svegliano
per andare al lavoro sappiano che le scuole di Bologna siano in grado di
accogliere i loro bambini. Mantenere alti i nostri standard e mantenere
un metodo condiviso di educazione indipendentemente che le scuole
siano comunali, statali o paritarie, è la nostra priorità, a Bologna
come in tutte le altre città della nostra regione. Tutto il resto sono
ossessioni ideologiche».
Ipse dixit. Il Sindaco. Io sono il Bene, questo è il migliore dei
mondi possibili, e chi non la pensa così ha ossessioni ideologiche.
Interessante esempio di dialettica e confronto tra il primo cittadino e
13.000 suoi concittadini. Pare proprio che dover fare fronte a questa
rogna che giunge dai piani bassi provochi una certa insofferenza in cima
alle scale. Viene in mente la recente gag di quel comico famoso: «Se
qualcuno pensa che ci sia un problema di democrazia, va fuori dalle
palle!».
Pare comunque che il referendum si farà. Il 26 maggio.
Nel frattempo vale la pena soffermarsi ancora un po’ sulle illuminanti
parole del Sindaco, dalle quali si evince chiaramente che per lui non
c’è alcuna distinzione tra scuole comunali, statali o paritarie (e se
qualcuno lo nega è ossessionato dall’ideologia, sia chiaro).
Il punto nodale è precisamente questo: non è vero che le scuole
paritarie private sono uguali alle altre. Non lo sono perché per
accedervi si pagano rette salate e perché la stragrande maggioranza di
esse ha un orientamento confessionale (pare che l’ideologia faccia male,
mentre la confessionalità vada benissimo…). Va da sé che, in una
società sempre più laica, sempre più multireligiosa, e sempre più
povera, l’accesso delle famiglie non cattoliche e non abbienti a tali
scuole è fortemente limitato, se non precluso. Dunque
le
scuole paritarie private non sono scuole di tutti, ma di parte, e non
possono essere considerate uguali a quelle pubbliche, dove vige un
principio diverso: libero accesso gratuito, laicità, pluralità. E dove
il personale è selezionato in base alle graduatorie, non in base alla
sua conformità a un progetto pedagogico o all’altro.
Ne consegue che se davvero la preoccupazione del Sindaco è quella che i
papà e le mamme «sappiano che le scuole di Bologna siano in grado di
accogliere i loro bambini», allora dovrebbe dare la precedenza alla
scuola pubblica, uguale per tutti, e ad essa riservare le risorse
comunali. Per altro, al netto delle sue preoccupazioni, va detto che il
decantato modello emiliano di scuola per l’infanzia, almeno a Bologna,
sta scricchiolando parecchio, e comincia a mostrare falle più o meno
grandi. Altrimenti le preoccupazioni dei referendari non sarebbero
nemmeno sorte, probabilmente.
Ancora più significativo di un certo stile retorico e di una certa visione dell’istruzione, è
il dépliant di partito segnalato all’inizio di questo post. Vale la pena di analizzarlo dettagliatamente.
4. Il Milione
- Poco fa io ho teso le dita della mano verso di te. E tu hai veduto cinque dita. Ricordi?
- Sì.
O’Brien tese le dita della mano sinistra, tenendo nascosto il pollice.
- Ci sono cinque dita. Vedi cinque dita?
- Sì.
G. Orwell, 1984 (1949)
Prima di tutto il concept. Nel dépliant si mette a disposizione una
finestra bianca, dove è possibile scrivere «idee e suggerimenti» sulla
scuola, perché è necessario mostrarsi aperti e democratici. Il partito
raccoglie queste idee dalla base, ma in realtà ha già deciso cosa la
base stessa deve pensare dell’intera faccenda e blinda lo spazio bianco
con messaggi lapidari.
«Un sistema integrato per garantire l’istruzione a tutti i bambini».
Non un accenno al fatto che tale sistema da almeno un paio d’anni a
questa parte non sta più garantendo tutti, gli esuberi si contano a
centinaia e il Comune deve correre ai ripari alla meno peggio,
aumentando il numero di alunni per sezione, aprendo nuove sezioni a
mezza giornata, sollecitando lo Stato centrale a intervenire, etc. (a
dimostrazione che non è poi così vero che ha le mani legate…).
Viene inoltre detto che le convenzioni «NON SONO uno strumento per
finanziare la scuola privata». Questa è nuova. Ma allora di cosa stiamo
parlando? Forse che il milione di euro stanziato dal Comune per le
scuole paritarie non è un finanziamento? E cos’è allora, di grazia? Un
regalo?
La risposta è appena una riga sopra: «Le CONVENZIONI sono uno strumento
per realizzare: PIU’ QUALITA’; PIU’ EQUITA’ e PIU’ INTEGRAZIONE CON LA
SCUOLA COMUNALE».
Più qualità… Forse per la scuola privata paritaria, perché
invece quella pubblica sta mostrando la corda in più punti. Genitori che
portano a scuola la carta igienica, la carta da disegno, o che versano
oboli “volontari” autotassandosi, sono sempre meno rari. Recentemente
ad autotassarsi sono stati gli alunni stessi per comprare cinque computer alla loro scuola.
Più equità… Se nelle scuole paritarie private si paga per ottenere un’istruzione, di quale equità si sta parlando?
Integrazione con la scuola comunale… In che senso? Quanto è
garantita nella scuola paritaria privata la libertà confessionale,
culturale, o d’insegnamento? E l’accesso ai disabili o agli stranieri?
Tanto quanto nella scuola pubblica? Le percentuali dicono il contrario.
Anche qui viene da chiedersi cosa s’intenda per integrazione.
Al netto delle licenze lessicali, il nocciolo duro dell’argomentazione esposta nel dépliant sono i conti della spesa.
La spesa comunale per la scuola pubblica è di poco più di 35 milioni di euro. Cioè circa cinquemila euro a bambino annui.
Contro i circa seicento euro a bambino spesi nel finanziamento della
scuola paritaria privata. Quasi un decimo! Un affarone. E tanto basta.
Il dépliant si premura di specificare che
«destinare i fondi delle convenzioni alle scuole
comunali, come chiedono i referendari, non permetterebbe di aumentare
l’offerta della scuola comunale, perché oggi non è possibile assumere
nuovo personale e se anche fosse possibile, i fondi stornati potrebbero
garantire la scuola dell’infanzia a non più di 150 bambini.»
Il peccato qui è di omissione, evidentemente. Ci si dimentica di
considerare che con il milione di euro delle nostre tasse attualmente
destinato alla scuola privata, il comune potrebbe chiudere non poche
falle aperte nelle scuole comunali: carenza di personale, di materiali,
di servizi, etc., invece di cedere a un progressivo sbilanciamento verso
l’integrazione e la sussidiarietà del privato. Sarebbe in sostanza
possibile dare un segnale in controtendenza rispetto alla rassegnazione
che si respira in Italia intorno alla scuola, chiedendo che si torni a
investire nell’istruzione pubblica a tutti i livelli. Ed ecco che dai
duri conti si è già tornati a bomba sul piano delle scelte politiche e
d’indirizzo. Che poi sono quelle su cui vorrebbe intervenire il
referendum.
La natura politica del problema è rivelata anche da un’altra ipocrita omissione nel medesimo depliant:
«Il Comune di Bologna vuole da sempre garantire il
diritto delle bambine e dei bambini a un’educazione e una formazione di
qualità, questo significa non occuparsi solo delle proprie scuole, ma
contribuire con proprie risorse a qualificare tutte le scuole, comprese
quelle dello Stato».
D’un tratto le scuole private sono sparite, sostituite da quelle
dello Stato, alle quali il comune dà poco più della metà dei soldi che
stanzia per le paritarie private. Il trucchetto si commenta da sé.
La responsabile al welfare del PD
– ripresa a più voci dagli esponenti di giunta – sostiene che se si
togliesse quel milione di euro comunale alle scuole private, queste si
vedrebbero costrette ad aumentare le rette in misura tale da provocare
un esodo verso la scuola pubblica, con conseguente aggravio degli oneri
per le casse comunali.
Così si grida all’allarme: i referendari vogliono farci spendere di più! Occhio alla borsa, cittadini!
A conti fatti questa è l’unica vera argomentazione di chi contrasta il referendum. E si basa su una premessa non dimostrata.
Le scuole paritarie, oltre ai fondi comunali, possono attingere e
attingono a fondi statali, regionali, privati, ecclesiastici, etc.
Questi istituti hanno molte altre vie per reperire finanziamenti e
continuano a chiederne infatti, a partire dalla
sezione bolognese della Federazione Italiana Scuole Materne
(paritarie). Per altro, la linea degli ultimi governi nazionali è
andata precisamente nella direzione auspicata da questa associazione di
ispirazione confessionale.
Inoltre, non è dato sapere di quale portata sarebbe l’esodo dalla scuola
privata prodotto dall’eventuale innalzamento delle rette. Nessuno
finora ha offerto calcoli o sondaggi prospettici in proposito. Ma al
netto di queste considerazioni, resta il fatto che in base alla
Costituzione il diritto da salvaguardare dovrebbe essere quello a
un’istruzione pubblica universale. Pensare che, se i posti alla scuola
pubblica scarseggiano, a qualcuno tocchi per forza andare nelle scuole
private perché il sistema è stato così pensato da vent’anni a questa
parte, be’, questo sì è rassegnarsi a una forzatura ideologica. Perché
oggi si cerca di farla passare come conseguenza della crisi, ma
vent’anni fa la crisi non c’era, le vacche erano belle grasse, ed è
proprio allora che questo “gioiellino” di sistema integrato è stato
concepito e in Emilia-Romagna ha mosso i primi passi. Passi che si sono
fatti sempre più lunghi ad ogni nuova manovra finanziaria.
Quello che si sta profilando per la scuola pubblica italiana è molto
chiaro, lo dicono le notizie di ogni giorno. Uno degli ultimi
provvedimenti inclusi nella Legge di Stabilità del governo uscente – che
ha ulteriormente tagliato i fondi alla scuola pubblica e aumentato
quelli per la privata – prevede il finanziamento alle scuole non in base
alle necessità, bensì
in base al merito, e senza nemmeno premunirsi di specificare con quali parametri sia possibile fare la valutazione.
Ma è affermare il principio che conta: bando all’eguaglianza di diritti e di trattamento.
Torniamo allora alla domanda che già ci ponevamo nell’anno vecchio.
Se il sistema è questo e può soltanto essere questo, se tutto ciò che è
reale è razionale e viceversa, dov’è il margine della politica? Dov’è la
scelta dei cittadini? Gli esseri umani che vivono in questo Paese e,
nella fattispecie, in questa città, hanno ancora la possibilità di
optare per un destino diverso o possono solo essere conculcati e guidati
verso l’ineluttabile futuro che li aspetta?
Chissà. Per ora, tredicimila abitanti di Bologna hanno detto che no, non
vedono cinque dita. Dev’essere per questo che gli O’Brien nostrani
masticano così amaro. E almeno un po’ tentennano, come dimostra la
notizia dell’ultima ora sul fatto che il Sindaco, dopo averne dette di
tutti i colori ai referendari, ha deciso di concedere loro un incontro.
Chi vivrà vedrà.
fonte: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=10774
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