La mitologia del nucleare e lo sfruttamento capitalista
Di Nicola Melloni, Londra, da "Liberazione"
I tragici fatti del Giappone cui abbiamo assistito in questi giorni hanno avuto una forte eco anche
in Italia. Non erano passate che poche ore dal terremoto che già l’establishment nuclearista era sul piede di guerra. I suoi esponenti più illustri, a partire dall’ineffabile Chicco Testa, si sono precipitati in tv, tentando di spiegare, senza paura del ridicolo, che la centrale di Fukushima era completamente sicura. Dopo questi primi folli interventi, immediatamente smentiti dai fatti, si sono susseguiti commenti di esperti, opinionisti e politici che invitavano alla calma e alla ragionevolezza rilanciando una serie impressionante di luoghi comuni che hanno l’unico obiettivo di nascondere la vera natura del problema legato al nucleare.
Il mantra più ricorrente di questi giorni è che non si può agire in base all’emotività e che bisogna
mantenere la razionalità anche davanti alle più grandi tragedie – cioè che l’apocalisse giapponese
non deve cambiare le nostre opinioni sul nucleare. Ma si tratta di una mistificazione: sostenere,
come si è fatto fino a Giovedì, il sì al nucleare contando su 25 anni senza incidenti non vuol
dire essere razionali, ma semplicemente cercar di far dimenticare i rischi che l’energia nucleare
comporta. Si tratta di due emozioni diverse – l’apatia contro lo sgomento – ma nessuna delle due può essere considerata più ragionevole dell’altra. Non solo: in realtà l’incidente di Fukushima, nella sua drammaticità, ci fornisce nuove informazioni, bene preziosissimo se si vuole che l’elettorato scelga “usando la testa” e non “la pancia”. E cosa ci dicono gli eventi di questi giorni? Che il pericolo di incidente esiste sempre, al contrario da quanto propagandato dal partito pronucleare tramite anche delle pubblicità fuorvianti.
Il secondo tema su cui gli amici del nucleare insistono è che l’Italia non è il Giappone e quindi non
corriamo rischi di sorta. Ma chi lo dice? Anche i Giapponesi, ben abituati ai terremoti, erano sicuri, fino a giovedì scorso che un evento così cataclismatico fosse impossibile. Ma l’unica cosa veramente impossibile è prevedere la natura. Vogliamo rischiare giocando sulle probabilità, come fossimo al casinò? Questo sì pare davvero insensato. Ed allora ci dicono che i rischi sono comunque minimi e che il nucleare è più sicuro delle altre fonti energetiche, anzi per Panebianco, sul Corriere della Sera, è la modernità stessa a portare sicurezza. Ma sicurezza per chi? Le scorie continuano ad essere radioattive per secoli, a volte per millenni, e quindi in effetti stiamo ponendo le basi per la riduzione della sicurezza del mondo non solo nel presente ma anche nel futuro – una maniera bizzarra di sfruttare i benefici della modernità.
I rischi, dunque, ci sono ma questo non ferma i nostri convinti nuclearisti. Le centrali nucleari,
dicono, esistono in vicinanza dei nostri confini (in Francia, Svizzera, Slovenia) e dunque, in caso di incidenti in quei paesi, saremmo a rischio anche noi. Tanto vale, allora, costruire le centrali anche al di quà dei nostri confini, il rischio rimarrebbe immutato ma almeno potremmo godere dei benefici della produzione di energia atomica. Un argomento inquietante soprattutto quando sostenuto da chi pretende di essere razionale e riflessivo: se gli altri sbagliano, dovremmo farlo anche noi giusto per unirci al gregge? Senza neanche tenere in conto il dato oggettivo che smentisce la base, irrazionale, di tale ragionamento: il rischio per la popolazione dipende dalla prossimità all’incidente, come dimostra il fatto che a Fukushima è stata evacuata un area del raggio di 30 km dall’esplosione, non di 100 o 200 km (la distanza che ci separa dalle centrali d’oltralpe).
Ma il vero cuore del problema è un altro, il fabbisogno energetico. Si dice che siamo dipendenti
dagli sceicchi e da Putin per l’approvvigionamento di petrolio e che il ricorso al nucleare ci darebbe indipendenza energetica; ma anche in questo caso si tratta di mistificazione. L’Italia non produce uranio o plutonio e quindi sempre dall’estero sarebbe dipendente! Inoltre il petrolio continuerebbe a rimanere fondamentale nella nostra vita quotidiana, come dimostra il caso fracese dove il consumo di petrolio procapite è superiore al nostro. Si dice anche che il nucleare costa meno, ma non è vero neppure questo, anzi secondo le ultime stime il nucleare è l’energia più cara. Certo, esiste una questione energetica, questo non possiamo nascondercelo. Ma proprio l’incidente di Fukushima potrebbe essere un’ottima occasione per ripensare in toto non solo la nostra politica energetica ma il nostro intero modello di sviluppo. Il nucleare in ogni caso non è una soluzione di lungo periodo, si tratta di una energia non rinnovabile, destinata a finire, nè più nè meno che il petrolio. E le rinnovabili, al momento, non garantiscono i livelli di consumo energetico che abbiamo avuto finora, soprattutto se estesi alle nuove economie del sud del mondo che avanzano impetuosamente. Il problema energetico è dunque il problema del capitalismo, un sistema economico basato sullo sfruttamento. Sfruttamento del lavoro, come già insegnava Marx, e sfruttamento delle risorse produttive, con la differenza fondamentale che non tutte queste risorse sono infinite, anzi. Rivedere i consumi, e quindi il processo fondamentale di accumulazione capitalista, lo scambio, non vuol dire affidarsi ad una retorica pauperista, di certo i comunisti sono sempre stati dalla parte del progresso e per migliorare le condizioni di vita degli sfruttati. Significa però, già a partire dal brevissimo periodo, rivedere le nostre priorità, ridurre gli sprechi energetici, ridiscutere il sistema dei trasporti, abbandonando le quattro ruote e rilanciando i trasporti pubblici, dimenticare la logica degli status symbol derivanti dal consumismo dilagante. Rendersi conto che modernità non vuol dire comodità ma responsabilità. Si tratta essenzialmente di pianificare il nostro sviluppo in base non solo alle
esigenze di profitto ma di sostenibilità. Non è certo con il palliativo nucleare che si risolveranno
problemi che sono, invece, di natura sistemica.
I tragici fatti del Giappone cui abbiamo assistito in questi giorni hanno avuto una forte eco anche
in Italia. Non erano passate che poche ore dal terremoto che già l’establishment nuclearista era sul piede di guerra. I suoi esponenti più illustri, a partire dall’ineffabile Chicco Testa, si sono precipitati in tv, tentando di spiegare, senza paura del ridicolo, che la centrale di Fukushima era completamente sicura. Dopo questi primi folli interventi, immediatamente smentiti dai fatti, si sono susseguiti commenti di esperti, opinionisti e politici che invitavano alla calma e alla ragionevolezza rilanciando una serie impressionante di luoghi comuni che hanno l’unico obiettivo di nascondere la vera natura del problema legato al nucleare.
Il mantra più ricorrente di questi giorni è che non si può agire in base all’emotività e che bisogna
mantenere la razionalità anche davanti alle più grandi tragedie – cioè che l’apocalisse giapponese
non deve cambiare le nostre opinioni sul nucleare. Ma si tratta di una mistificazione: sostenere,
come si è fatto fino a Giovedì, il sì al nucleare contando su 25 anni senza incidenti non vuol
dire essere razionali, ma semplicemente cercar di far dimenticare i rischi che l’energia nucleare
comporta. Si tratta di due emozioni diverse – l’apatia contro lo sgomento – ma nessuna delle due può essere considerata più ragionevole dell’altra. Non solo: in realtà l’incidente di Fukushima, nella sua drammaticità, ci fornisce nuove informazioni, bene preziosissimo se si vuole che l’elettorato scelga “usando la testa” e non “la pancia”. E cosa ci dicono gli eventi di questi giorni? Che il pericolo di incidente esiste sempre, al contrario da quanto propagandato dal partito pronucleare tramite anche delle pubblicità fuorvianti.
Il secondo tema su cui gli amici del nucleare insistono è che l’Italia non è il Giappone e quindi non
corriamo rischi di sorta. Ma chi lo dice? Anche i Giapponesi, ben abituati ai terremoti, erano sicuri, fino a giovedì scorso che un evento così cataclismatico fosse impossibile. Ma l’unica cosa veramente impossibile è prevedere la natura. Vogliamo rischiare giocando sulle probabilità, come fossimo al casinò? Questo sì pare davvero insensato. Ed allora ci dicono che i rischi sono comunque minimi e che il nucleare è più sicuro delle altre fonti energetiche, anzi per Panebianco, sul Corriere della Sera, è la modernità stessa a portare sicurezza. Ma sicurezza per chi? Le scorie continuano ad essere radioattive per secoli, a volte per millenni, e quindi in effetti stiamo ponendo le basi per la riduzione della sicurezza del mondo non solo nel presente ma anche nel futuro – una maniera bizzarra di sfruttare i benefici della modernità.
I rischi, dunque, ci sono ma questo non ferma i nostri convinti nuclearisti. Le centrali nucleari,
dicono, esistono in vicinanza dei nostri confini (in Francia, Svizzera, Slovenia) e dunque, in caso di incidenti in quei paesi, saremmo a rischio anche noi. Tanto vale, allora, costruire le centrali anche al di quà dei nostri confini, il rischio rimarrebbe immutato ma almeno potremmo godere dei benefici della produzione di energia atomica. Un argomento inquietante soprattutto quando sostenuto da chi pretende di essere razionale e riflessivo: se gli altri sbagliano, dovremmo farlo anche noi giusto per unirci al gregge? Senza neanche tenere in conto il dato oggettivo che smentisce la base, irrazionale, di tale ragionamento: il rischio per la popolazione dipende dalla prossimità all’incidente, come dimostra il fatto che a Fukushima è stata evacuata un area del raggio di 30 km dall’esplosione, non di 100 o 200 km (la distanza che ci separa dalle centrali d’oltralpe).
Ma il vero cuore del problema è un altro, il fabbisogno energetico. Si dice che siamo dipendenti
dagli sceicchi e da Putin per l’approvvigionamento di petrolio e che il ricorso al nucleare ci darebbe indipendenza energetica; ma anche in questo caso si tratta di mistificazione. L’Italia non produce uranio o plutonio e quindi sempre dall’estero sarebbe dipendente! Inoltre il petrolio continuerebbe a rimanere fondamentale nella nostra vita quotidiana, come dimostra il caso fracese dove il consumo di petrolio procapite è superiore al nostro. Si dice anche che il nucleare costa meno, ma non è vero neppure questo, anzi secondo le ultime stime il nucleare è l’energia più cara. Certo, esiste una questione energetica, questo non possiamo nascondercelo. Ma proprio l’incidente di Fukushima potrebbe essere un’ottima occasione per ripensare in toto non solo la nostra politica energetica ma il nostro intero modello di sviluppo. Il nucleare in ogni caso non è una soluzione di lungo periodo, si tratta di una energia non rinnovabile, destinata a finire, nè più nè meno che il petrolio. E le rinnovabili, al momento, non garantiscono i livelli di consumo energetico che abbiamo avuto finora, soprattutto se estesi alle nuove economie del sud del mondo che avanzano impetuosamente. Il problema energetico è dunque il problema del capitalismo, un sistema economico basato sullo sfruttamento. Sfruttamento del lavoro, come già insegnava Marx, e sfruttamento delle risorse produttive, con la differenza fondamentale che non tutte queste risorse sono infinite, anzi. Rivedere i consumi, e quindi il processo fondamentale di accumulazione capitalista, lo scambio, non vuol dire affidarsi ad una retorica pauperista, di certo i comunisti sono sempre stati dalla parte del progresso e per migliorare le condizioni di vita degli sfruttati. Significa però, già a partire dal brevissimo periodo, rivedere le nostre priorità, ridurre gli sprechi energetici, ridiscutere il sistema dei trasporti, abbandonando le quattro ruote e rilanciando i trasporti pubblici, dimenticare la logica degli status symbol derivanti dal consumismo dilagante. Rendersi conto che modernità non vuol dire comodità ma responsabilità. Si tratta essenzialmente di pianificare il nostro sviluppo in base non solo alle
esigenze di profitto ma di sostenibilità. Non è certo con il palliativo nucleare che si risolveranno
problemi che sono, invece, di natura sistemica.
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C'è un'italiana all'estero, Serena Bertozzi, di 21 anni , a 250 chilometri da Fukushima. Puoi leggere la sua testimonianza cliccando QUI .
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Brevi appunti sul nucleare in Spagna
Di Monica Bedana, SalamancaIn Spagna ci sono sei centrali nucleari attive, che contribuiscono in un 20% a soddisfare il fabbisogno nazionale di elettricità. Sono centrali sorte principalmente negli anni ottanta; la più vecchia ha 41 anni ed è situata a circa 250 chilometri da dove io vivo, in provincia di Burgos, più a nord di Salamanca. La vita utile stabilita per le centrali spagnole è di 40 anni; nel caso della centrale di Burgos il Governo di Zapatero ha concesso una proroga per il suo sfruttamento fino al 2013, giacché il Consiglio di Sicurezza Nucleare (CSN) ha considerato che la centrale continua a possedere tutti i requisiti di sicurezza che esige la normativa internazionale. La protesta degli ecologisti e degli anti-nucleari si è fatta sentire subito e si è ravvivata in questi giorni, perché pareva possibile un’ulteriore proroga fino al 2019, questo almeno fino al giorno del terremoto in Giappone. Ora per Zapatero anche la posizione sull’energia nucleare è una questione delicata in vista delle prossime elezioni e della caduta a picco, nei sondaggi, della popolarità del Governo e del suo Presidente in questi due anni di profonda crisi economica.
Il ministro dell’ambiente, Rosa Aguilar ha dichiarato che prima di affrontare un dibattito sulla convenienza o meno dello smantellamento delle centrali nucleari è necessario attendere le conclusioni del Consiglio di Sicurezza Nucleare, che sta sviluppando un piano per rafforzarne la sicurezza. Uno dei maggiori sindacati spagnoli, “Comisiones Obreras” (CCOO), ha denunciato da tempo che il CSN realizza un controllo insufficiente della sicurezza negli impianti nucleari spagnoli, dovuto ai tagli attuati sui fondi concessi a questo ente negli ultimi due anni.
Anche il partito dell’opposizione è a favore dell’aumento della sicurezza nelle centrali, condizione indispensabile per mantenerle in funzione. Infine, secondo la Confindustria spagnola (CEOE) un abbandono del nucleare in questo momento di grande incertezza internazionale per ciò che concerne l’approvvigionamento di energia dall’estero (la rivolta in Libia ha provocato che il Governo emanasse un decreto lo scorso 7 marzo che ha abbassato il limite di velocità in autostrade ed autovie da 120 a 110 km/h) provocherebbe un aumento insostenibile del costo dell’elettricità , un “tsunami nelle imprese ed un ulteriore aumento della disoccupazione”. La posizione di Confindustria in fatto di energia è favorevole ad un mix di energie rinnovabili, la cui produzione integri la sostenibilità per l’ambiente, la garanzia dell’erogazione e la sostenibilità economica. Detto cosí, verrebbe da crederci...in realtà temo che come negli anni ottanta la popolazione delle zone che ospitano le centrali si rassegnò al nucleare in buona parte per fronteggiare la tremenda disoccupazione di quegli anni, di nuovo sarà lo spettro della possibile perdita di altri posti di lavoro a spazzare via i dubbi sulla sicurezza e la sostenibilità.
E mentre questa settimana il Governo ha incrementato fino a 1200 milioni di euro la responsabilità dei gestori di centrali nucleari in caso di incidente, “Izquierda Unida”, l’unico vero partito di sinistra rimane la sola voce nel deserto a chiedere, ad aver chiesto da sempre, un calendario per lo smantellamento definitivo del nucleare in Spagna.
Il cittadino spagnolo da qualche giorno può trovare sul sito del Governo le “FAQ” del nucleare, in cui viene spiegato ai cittadini che le centrali spagnole non corrono -in teoria- rischio di tsunami in quanto sono situate tutte (eccetto una, sulla costa del Mediterraneo ma elevata rispetto al livello del mare) all’interno del Paese, che non è zona di forte attività sismica. Si spiega anche che in caso di allarme nucleare sono previsti Piani di Emergenza pubblicati nel “B.O.E.”, la Gazzetta Ufficiale dello Stato, quindi a disposizione di chi li voglia consultare. Dalle “FAQ” apprendiamo anche che il Ministero della Sanità ed il CSN hanno elaborato un protocollo per tenere sotto osservazione le persone che stanno rientrando dal Giappone; si spiegano le diverse forma a cui ci si espone alle radiazioni ed i livelli in cui possono essere mortali. Apprendo perfino che la Spagna ha una scorta di oltre 850.000 tavolette di ioduro di potassio, che frena l’assorbimento dello iodio radiottivo che potrebbe emanarsi da un incidente nucleare e che buona parte di queste tavolette sono custodite nei pressi delle centrali.
Nel frattempo è scattato il piano del Governo per rimpatriare gli spagnoli che vogliono lasciare il Giappone. Non ho trovato nessuna indicazione simile alle “FAQ” spagnole sul sito del Governo italiano.
Il cittadino spagnolo da qualche giorno può trovare sul sito del Governo le “FAQ” del nucleare, in cui viene spiegato ai cittadini che le centrali spagnole non corrono -in teoria- rischio di tsunami in quanto sono situate tutte (eccetto una, sulla costa del Mediterraneo ma elevata rispetto al livello del mare) all’interno del Paese, che non è zona di forte attività sismica. Si spiega anche che in caso di allarme nucleare sono previsti Piani di Emergenza pubblicati nel “B.O.E.”, la Gazzetta Ufficiale dello Stato, quindi a disposizione di chi li voglia consultare. Dalle “FAQ” apprendiamo anche che il Ministero della Sanità ed il CSN hanno elaborato un protocollo per tenere sotto osservazione le persone che stanno rientrando dal Giappone; si spiegano le diverse forma a cui ci si espone alle radiazioni ed i livelli in cui possono essere mortali. Apprendo perfino che la Spagna ha una scorta di oltre 850.000 tavolette di ioduro di potassio, che frena l’assorbimento dello iodio radiottivo che potrebbe emanarsi da un incidente nucleare e che buona parte di queste tavolette sono custodite nei pressi delle centrali.
Nel frattempo è scattato il piano del Governo per rimpatriare gli spagnoli che vogliono lasciare il Giappone. Non ho trovato nessuna indicazione simile alle “FAQ” spagnole sul sito del Governo italiano.
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Ci è piaciuto questo video di Beppe Grillo sul nucleare in Italia.
Carla Gagliardini da Londra ci ha segnalato questa lettera di Adriano Celentano al "Corriere" sul pericolo nucleare e le sue conseguenze. E sempre Carla, ha scritto questa lettera per un'amica giapponese e per tutta la popolazionedi quel paese.
Ciao Norie,
chissa' dove sei, chissa' se appartieni al numero delle vittime dello tsunami che si e' abbattuto sulle coste del tuo paese o se sei al salvo con la tua famiglia da qualche parte, magari cercando di capire cosa fare per scampare al possibile disastro nucleare che non si esclude affatto.
Ho provato a mandarti delle e-mails per sapere ma ancora non mi hai risposto. Questo silenzio mi preoccupa ma capisco che nella concitazione magari avrai delle altre priorita' che non quella di scrivere a un'allegra compagna di corso conosciuta in Inghilterra.
Il mio pensiero va a tuo figlio, cosi' educato, cosi' a modo. A quella giovane vita che non avrebbe dovuto conoscere la tensione e le paure che i mostri creati dagli uomini sviluppano e alimentano. Se lo tsunami non lo puoi fermare quelle maledette centrali, invece, si potevano non costruire.
Mi sono sempre domandata come mai il tuo paese investisse sulle centrali nucleari sapendo di farlo su un terreno altamente sismico. Certo ho le mie risposte e tanta rabbia in corpo. Ma oggi questi vengono in secondo piano perche' ora e' piu' forte il dolore difronte a un popolo traumatizzato. Oggi le lacrime scendono non sapendo dove sei, se sei viva, se la tua famiglia e' viva.
Non riesco a togliermi dalla mente il tuo sorriso e quella allegria che ha certamento dato sollievo ai grigiori delle giornate inglesi. La tua partenza, il tuo ritorno in Giappone con tuo marito e tuo figlio dopo cinque anni in Inghilterra, a me davano tristezza perche' tu non eri felice di quella scelta imposta da una compagnia che decide dove vivrai e per quanto, e perche' io perdevo una persona con la quale ragionare.
Mi trasmette terrore l'idea che quei reattori 3 e 4 possano saltare in aria, mi distrugge emotivamente dover affrontare le conseguenze di quello che sarebbe. Ci si sente cosi' impotenti verso la natura ma ci si sente totalmente schifati quando i "nostri politici" a fronte di un tale pericolo e disastro si ostinano a fare il loro percorso fregandosene delle conseguenze sulla popolazione che loro stessi sono chiamati a rappresentera e tutelare. Come e' avvenuto in Giappone e come qui, a casa nostra, vorrebbe che avvenisse l'attuale governo, che infischiandosene degli allarmi lanciati sulle conseguenze che avrebbe un esplosione nucleare ha sfoggiato il consueto cattivo gusto e l'arroganza alla quale, tuttavia, mi sforzo di non abituarmi.
Spero avremo occasione di parlare di queste cose e cosi' immaginero' che sorriderai come facevi quando ti raccontavo le mie idee politiche, la mia passione per le rivoluzioni popolari, il mio grande desiderio che fossero davvero le masse un giorno a governarsi e a decidere cosa fare, cosa volere per se stesse.
Il tuo sorriso mi e' rimasto stampato nel cuore e ora provo un dolore profondo.
Buona fortuna Norie, a te e alla tua famiglia e, se puoi, dimmi che state tutti bene.
Besos
Carla
chissa' dove sei, chissa' se appartieni al numero delle vittime dello tsunami che si e' abbattuto sulle coste del tuo paese o se sei al salvo con la tua famiglia da qualche parte, magari cercando di capire cosa fare per scampare al possibile disastro nucleare che non si esclude affatto.
Ho provato a mandarti delle e-mails per sapere ma ancora non mi hai risposto. Questo silenzio mi preoccupa ma capisco che nella concitazione magari avrai delle altre priorita' che non quella di scrivere a un'allegra compagna di corso conosciuta in Inghilterra.
Il mio pensiero va a tuo figlio, cosi' educato, cosi' a modo. A quella giovane vita che non avrebbe dovuto conoscere la tensione e le paure che i mostri creati dagli uomini sviluppano e alimentano. Se lo tsunami non lo puoi fermare quelle maledette centrali, invece, si potevano non costruire.
Mi sono sempre domandata come mai il tuo paese investisse sulle centrali nucleari sapendo di farlo su un terreno altamente sismico. Certo ho le mie risposte e tanta rabbia in corpo. Ma oggi questi vengono in secondo piano perche' ora e' piu' forte il dolore difronte a un popolo traumatizzato. Oggi le lacrime scendono non sapendo dove sei, se sei viva, se la tua famiglia e' viva.
Non riesco a togliermi dalla mente il tuo sorriso e quella allegria che ha certamento dato sollievo ai grigiori delle giornate inglesi. La tua partenza, il tuo ritorno in Giappone con tuo marito e tuo figlio dopo cinque anni in Inghilterra, a me davano tristezza perche' tu non eri felice di quella scelta imposta da una compagnia che decide dove vivrai e per quanto, e perche' io perdevo una persona con la quale ragionare.
Mi trasmette terrore l'idea che quei reattori 3 e 4 possano saltare in aria, mi distrugge emotivamente dover affrontare le conseguenze di quello che sarebbe. Ci si sente cosi' impotenti verso la natura ma ci si sente totalmente schifati quando i "nostri politici" a fronte di un tale pericolo e disastro si ostinano a fare il loro percorso fregandosene delle conseguenze sulla popolazione che loro stessi sono chiamati a rappresentera e tutelare. Come e' avvenuto in Giappone e come qui, a casa nostra, vorrebbe che avvenisse l'attuale governo, che infischiandosene degli allarmi lanciati sulle conseguenze che avrebbe un esplosione nucleare ha sfoggiato il consueto cattivo gusto e l'arroganza alla quale, tuttavia, mi sforzo di non abituarmi.
Spero avremo occasione di parlare di queste cose e cosi' immaginero' che sorriderai come facevi quando ti raccontavo le mie idee politiche, la mia passione per le rivoluzioni popolari, il mio grande desiderio che fossero davvero le masse un giorno a governarsi e a decidere cosa fare, cosa volere per se stesse.
Il tuo sorriso mi e' rimasto stampato nel cuore e ora provo un dolore profondo.
Buona fortuna Norie, a te e alla tua famiglia e, se puoi, dimmi che state tutti bene.
Besos
Carla
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Il rovello dello scienziato
Di Francesca Congiu, Leeds
Di fronte a quello che Veronesi non definisce un "dietrofront", nel suo articolo odierno per Repubblica (leggi la lettera QUI), ma solo “l’esito di una riflessione”, chiamandosi fuori dalla polemica con esili puntigli linguistici, non possiamo non sottolineare l’irresponsabilità di chi, fino a ieri strenuo difensore del ricorso al nucleare, oggi ci informa così candidamente dei suoi dubbi. Cosa ha fatto in questo periodo il Professor Veronesi? Si è chiuso in un bunker e ha ignorato il dibattito in corso in Italia? Il suo nuovo trend ha infatti la lacca di un lusso che non possiamo permetterci. Sia perché dal suo scrupolo di coscienza dipende una linea politica che trae forza dalla sua autorità scientifica (ma, ribadiamolo, non sul nucleare) e fa discendere da questa stessa credibilità il consenso di tutto l’elettorato schierato ideologicamente con il centro-destra. Sia perché suona tremendamente cinico e insopportabile: dobbiamo forse attendere che si scateni un’apocalisse (errore umano, errore tecnico, qui la distinzione che fa Veronesi poco conta) perché il responsabile dell’agenzia per la sicurezza sul nucleare non incappi in un errore questa volta sì “umano”?
Nella sua lettera-articolo Veronesi inaugura la nuova linea della sua battaglia per il nucleare, come un “pensare più a fondo”, perché questo è il compito dello scienziato quale lui è, come si picca di ricordarci, senza ombra di dubbio. Forse, credo, farebbe meglio a ricordarlo a se stesso: invece che metterci al corrente del suo pendolarismo scientifico (pro, contro, ancora non so), dei suoi tardivi rovelli amletici, dei suoi esami di coscienza post eventum, rispolveri l’abbecedario del metodo scientifico il cui primo tassello è quella “raccolta delle informazioni” che, nel nostro caso, sono le voci del dibattito in corso da mesi in Italia, voci che devono essere tutte, obiettivamente e non pregiudizialmente, censite.
Il problema del nucleare, come le battaglie per i diritti civili, non dovrebbe essere ostaggio di ideologie di sorta, ma raccogliere obiezioni o consensi trasversalmente all’interno dello spettro politico nazionale. Agli “scienziati” in odore di mea culpa mi sento di dire che spesso la storia ci ha insegnato che la scienza usata come totem manifesta la stessa ottusità di un’ortodossia religiosa. I dati sull’ insufficienza delle fonti rinnovabili di energia come alternativa al nucleare,
spesso offerti come “incontrovertibili”, rivelano lo scarso coraggio della politica nell’affrontare decisioni scabrose e inattuali, nel rompere con il giogo di interessi economici consolidati, nel programmare seriamente in funzione dello sviluppo responsabile e della sostenibilità.
La posizione di Veronesi somiglia pericolosamente a quella dei consiglieri fraudolenti, categoria che, a guardare con attenzione la cosmologia dantesca, non si riscatta facilmente: il rischio della malafede in questo caso si profila non solo contro “chi non si fida” (che di fronte a ciò che sta accadendo continuerà a sorvegliare su facili entusiasmi nucleari), ma anche contro “chi si fida”. Per chi ragiona laicamente e si affida alle leggi e alla democrazia, la condanna ultraterrena
dantesca si traduce nella destituzione di responsabilità, nella critica all’autorità quando questa si dimostra incapace di gestire la cosa pubblica. E ancora, nella possibilità di esprimere la propria voce (forte, libera e responsabile) a difesa del futuro della nazione e contro coloro che, usando irresponsabilmente le etichette della scienza rischiano, questa volta senza aggiustamenti allegorici, la marca che definisce i fraudolenti danteschi: quella, fra gli altri, di traditori della patria.
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