di Nicola Melloni
da Liberazione
Secondo John Maynard Keynes le idee degli economisti, sia quando sono
corrette che quando sono sbagliate, sono più potenti di quanto si pensi
comunemente. Indubbiamente, trent’anni di neo-liberismo hanno visto
l’importanza della “scienza” economica crescere enormemente. Le
politiche economiche, che una volta venivano prese per ragioni sociali,
politiche o di sviluppo, sono state soppiantate dalla nuova ortodossia
che vedeva nel mercato e nella sua più completa libertà l’unico
paradigma. Gli economisti hanno così rimpiazzato i politici,
trasformando la democrazia in tecnocrazia. Con i risultati che abbiamo
visto.
In realtà si potrebbe fare anche il discorso inverso. Cantori di una
ideologia dominante, un impressionante numero di economisti hanno
fabbricato tesi su tesi, articoli su articoli, libri su libri con lo
scopo di compiacere e rafforzare il sistema dominante, quello che, dopo
tutto, li pagava. Si è trattato di un cortocircuito generale, in cui i
politici eletti basavano le loro scelte sui suggerimenti degli
economisti e gli economisti elaboravano i loro suggerimenti per
compiacere una certa politica. Un mondo costellato di conflitti di
interessi, di riduzione degli spazi democratici, di politiche
ideologiche, per altro clamorosamente sbagliate.
La grande crisi del 2007 ha sollevato il velo su diversi di questi
problemi ed avrebbe dovuto portare ad un ripensamento della disciplina
economica ed anche della politica. Invece le cose sono addirittura
peggiorate.
La maggior parte dei governi occidentali ha adottato politiche di austerity
che sono la quintessenza dell’ideologismo. Da una parte, nessuna teoria
economica degna di questo nome può spiegare come politiche restrittive
in tempo di crisi dovrebbero far aumentare la crescita. Dall’altra, i
risultati che vediamo, giorno per giorno, nelle nostre economie,
confermano che l’austerity non funziona e che peggiora le cose.
Eppure dalla Merkel a Osborne alla destra americana si continua a
ripetere il mantra della riduzione del deficit e del debito come stella
polare della politica economica, come unica maniera per rilanciare la
crescita. Supportati in questo, dal solito codazzo di economisti
prezzolati.
Avevano iniziato Alesina e Ardagna con il loro famoso lavoro sull’austerity
che genera crescita. Un tentativo così maldestro da essere fatto a
pezzi dagli economisti del Fondo Monetario Internazionale che hanno
trovato la metodologia e la scelta dei dati così discutibile da rendere
fondamentalmente invalidi i risultati dei due autori, che col loro
lavoro avevano dato una ottima copertura “scientifica” (si fa per dire…)
alle politiche economiche europee. Alesina, per altro, rimane fermo
nelle sue convinzioni, nonostante i risultati tutt’altro che brillanti
delle politiche che propone. Ha perfino sostenuto che la recente
crescita della Borsa americana dopo i tagli di bilancio sia la prova
della fondatezza delle sue tesi. Deve essere uno degli ultimi economisti
rimasti a pensare che l’andamento della Borsa abbia qualcosa a che fare
con l’economia reale.
L’altra ricerca usata per dare credibilità all’austerity di
questi anni è quella di Reinhart e Rogoff che in un famoso articolo
sostenevano che in presenza di un debito pubblico superiore al 90% del
Pil la crescita diventa negativa. Ne consegue che i paesi affetti da
alto debito devono immediatamente ridurre il debito per poter tornare a
crescere, giustificando dunque tutti i tagli di bilancio che abbiamo
visto in questo ultimo periodo. Peccato che anche i risultati proposti
da Reinhart e Rogoff siano lungi dall’essere perfetti e credibili. Non
solo, nuovamente, i dati sono stati selezionati accuratamente,
escludendo quelli che erano più scomodi per i risultati che si volevano
ottenere. Non solo la metodologia usata è a dir poco questionabile. Ma
addirittura è stato trovato un macroscopico errore di calcolo, che
ipotizziamo fino a prova contraria casuale, ma che altrettanto
casualmente modifica in maniera sostanziale i risultati. Infatti, senza
quell’errore, la crescita economica per i paesi con debito maggiore del
90% del Pil si trasforma magicamente da negativa in positiva.
Ancora una volta teorie economiche sbagliate se non proprio artefatte
sono state prese come giustificazione di scelte politiche, trasformate
in strumenti di lotta di classe sotto le mentite spoglie di obiettività
scientifica. Ancora una volta un’ideologia viene spacciata come
necessità senza che questo porti ad un totale ripensamento della
relazione tra politica ed economia.