di Nicola Melloni
da Liberazione
La mossa è stata sicuramente ad effetto. Il governo degli Stati Uniti
cita in giudizio nientemeno che la regina delle società di rating
Standard&Poor’s. L’accusa è gravissima, aver causato la crisi
finanziaria sovrastimando volutamente il giudizio su quelle obbligazioni
tossiche che fecero saltare per aria il sistema finanziario nel
2007-08. E per questo viene chiesto un risarcimento di ben 5 miliardi di
dollari.
Mica male. Obama inizia il secondo mandato con grinta e decide di
mettere Wall Street sotto accusa. Ma è veramente così? La mossa ha un
sapore vagamente propagandistico ed anche un po’ vendicativo, in quanto
S&P's era l’agenzia di rating che aveva declassato il debito
americano. Le altre due grandi agenzie, che sono altrettanto invischiate
nella crisi dei subprime, Moody’s e Fitch, al momento non sono state
toccate. Questo, sia chiaro, non vuol dire che la decisione di Obama di
muovere guerra a S&P's sia sbagliata, anche se non sarà facile
provare che ci fu dolo nelle azioni delle agenzie di rating. Ma questa
causa legale, per essere veramente significativa, deve essere solo un
primo passo in una strategia ben più ampia. Sarebbe infatti abbastanza
inutile ed addirittura dannoso fare di S&P's un capro espiatorio.
Vorrebbe dire non aver compreso bene la dinamica della crisi, né aver
capito a pieno gli errori, che non sono certo stati solo di S&P’s.
Anzi.
Le agenzie di rating hanno sempre avuto un gigantesco problema di
conflitto di interessi, vengono pagate dalle compagnie su cui emettono
le loro valutazioni, e questa, fondamentalmente, è la base per le accuse
mosse dalla Casa Bianca a S&P’s. Ma la regolazione di questi
conflitti di interesse deve essere fatta dalla politica e dagli organi
di sorveglianza. Perché non è stato fatto? Questo conflitto di interessi
genera, per la sua stessa natura, un sistema di incentivi che rischia
di drogare il mercato. Non c’era bisogno della crisi per saperlo e
dunque le autorità americane dovrebbero risponderne almeno quanto le
agenzie di rating, che sono state lasciate libere di fare il bello e il
cattivo tempo sui mercati finanziari. Si potrebbe dire: vero, ma meglio
tardi che mai. Obama si è reso conto del problema e, con l’azione contro
S&P’s manda un segnale chiaro e limpido a quel sistema: non saranno
più tollerate operazioni e valutazioni meno che trasparenti. Ma non è
certo questo il modo di portare avanti una azione politica. La causa
avrebbe avuto molto più senso se fosse stata accompagnata da una riforma
istituzionale che impedisse, a monte, il ripetersi di queste azioni. Ma
nulla di lontanamente significativo in questo senso è stato fatto. Le
agenzie di rating, nel 2013, hanno ancora lo stesso potere che avevano
nel 2007 e non si può certo regolare un tema così complesso a forza di
cause.
Se si volesse davvero prendere il toro per le corna bisognerebbe
discutere della stessa esistenza delle agenzie di rating, istituzioni
private che hanno però un ruolo pubblico, cioè quello di supervisione
dei mercati finanziari. Non dimentichiamo che per molti investitori
istituzionali il giudizio delle agenzie di rating non è semplicemente
una guida per orientarsi all’interno del complicato mondo dei prodotti
finanziari: questi investitori sono obbligati a seguire le indicazioni
che provengono da S&P’s e dalle altre agenzie. Lasciare in mano ai
privati una funzione così essenziale è di per sé assurdo, a meno che
ancora non si creda alla bella favoletta dell’autoregolamentazione dei
mercati.
Anche facendo questo saremmo solo all’inizio. La regolamentazione dei
derivati e dei mercati Otc non è stata fatta e viene tuttora osteggiata
da larga parte dell’establishment, compreso quello democratico. La
nomina del nuovo Segretario al Tesoro, Lew, non è un segnale
incoraggiante in questo senso. E le grandi banche di Wall Street,
intanto, si sono rafforzate, diventando ancora più grandi (e quindi too
big to fail) di quanto fossero un lustro fa.
Insomma, Obama ha schierato i cannoni contro S&P’s (e che qualcuno
cominci a pagare per i propri sbagli è positivo), ma non sembra esserci
nessuna guerra contro Wall Street. Almeno per ora.
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