lunedì 12 novembre 2012

Presidenziali USA, ora l'Europa batta un colpo

di Nicola Melloni
da Ombre Rosse

La vittoria bis di Obama è sicuramente una buona notizia, quantomeno guardando a quale sarebbe stata l’alternativa. Una buona notizia per l’America, ma sicuramente anche per il resto del mondo. 
Lo stile di Obama lo conosciamo. Di certo non è un rivoluzionario, è un moderato abituato al compromesso. Questo è spesso un limite in politica interna, ma può essere un vantaggio (per noi) in politica estera. La diplomazia di Obama è stata, per quattro anni, e anche grazie alla Clinton, che ha deciso però ora di ritirarsi, all’insegna dei piccoli passi e del multilateralismo, una decisa sterzata rispetto agli otto anni di Bush. Obama non ama le avventure, tantomeno unilaterali. In Medio-Oriente l’America ha fortemente smussato la sua politica neo-imperiale. La nuova presidenza è stata trascinata nella guerra libica dall’avventurismo militare britannico e francese, e lo ha fatto, con tutta evidenza, controvoglia. In Siria ha temporeggiato, per fortuna.  E ha fatto ben capire a Israele che gli Usa non avrebbero assolutamente assecondato i progetti bellicosi del governo di Gerusalemme, scatenando le ire di Netanyahu, che fino all’ultimo ha sperato nella vittoria di Romney.
Con la Cina i toni sono stati relativamente tranquilli. Pur protestando per la presunta manipolazione della valuta cinese, alla fine i conflitti diplomatici sono stati ridotti al minimo. Stessa cosa si può dire per quel che riguarda la Russia.
In generale quindi si può dire che la prima presidenza di Obama è stata moderata, alla ricerca di partner affidabili ed in grado di prendersi le sue responsabilità su scala globale. In questo senso è stata la presidenza meno “imperialista” dai tempi di Carter. A questo, come detto, ha certo contribuito l’attitudine al compromesso di Obama. Ma senza dubbio esistono dei limiti oggettivi che anche una presidenza più aggressiva avrebbe avuto difficoltà a superare. I limiti sono chiaramente di natura economica. Per quanto l’economia americana sia al momento in una situazione migliore di quella del 2008, non ci sono certo soldi in cassa per continuare a fare i poliziotti del mondo, e questo l’ha capito quasi tutto l’establishment americano. La differenza tra Obama e Romney è che probabilmente quest’ultimo avrebbe preferito una sorta di isolazionismo aggressivo al multilateralismo pacifico del Presidente. La linea Obama è quella del dialogo con gli altri Stati, conscio del fatto che l’America e soprattutto la sua economia hanno al giorno d’oggi bisogno di cooperazione e non di conflitti.
Una presidenza di questo genere sarebbe dunque, sotto molti aspetti, una grande opportunità per l’Europa. Ma per una volta i problemi vengono dal Vecchio Continente più che dall’America. E’ chiaro a tutti che parlare di Europa, nel 2012, è assurdo. Non esiste una politica comune, non esiste un interesse comune che unisca gli Stati della Ue, tutti impegnati nella ricerca del proprio vantaggio privato, capaci solo di piccolo cabotaggio a livello diplomatico.
Obama è conscio del fatto che il Vecchio Continente, per quanto in ginocchio, rappresenta ancora, almeno potenzialmente, un partner in declino ma strategico. Ed il mercato più grande del mondo, almeno per ora. Ma non ha trovato interlocutori all’altezza della situazione. Inoltre le politiche economiche europee vanno in direzione contraria a quelle americane ed il Presidente non ha mancato di far sapere la sua contrarietà all’austerity di marca tedesca che sta affondando l’economia europea ma che rallenta anche la ripresa americana. Mentre Obama spendeva soldi per il suo piano di stimolo economico, che indirettamente favoriva anche le economie europee, a Bruxelles si lanciavano tagli su tagli. E mentre Bernanke iniettava liquidità a non finire nella flebile economia reale americana, Trichet alzava i tassi di interesse, seguito da un Draghi meno conservatore ma interessato quasi solamente a ricapitalizzare le banche.
Invece di coordinare gli sforzi per salvare le economie occidentali, l’Europa ha lasciato gli Usa da soli, preferendo occuparsi delle sue beghe interne, con la Merkel tutta occupata ad affondare la Grecia pur di cercare di vincere le elezioni regionali. E questo in America non l’hanno apprezzato – non a caso l’Europa è stato il grande assente della campagna elettorale Usa.
Ciò nonostante la vittoria di Obama rappresenta ancora una speranza per la Ue. Romney e i Repubblicani si apprestavano a riprendere una linea fiscalmente molto dura che avrebbe seriamente danneggiato l’economia mondiale. Ed ora il fiscal cliff di gennaio rischia di essere una mannaia per l’economia americana. Se tagli e tasse entreranno effettivamente tutti in vigore come per ora programmato a causa del compromesso, assurdo, tra Repubblicani e Democratici, l’America sprofonderà in recessione, trascinandosi dietro l’Europa che a quel punto, nel mezzo di un nuovo panico finanziario, potrebbe davvero esplodere. La speranza è che Obama riesca a convincere un Congresso ancora in mano al Great Old Party che il burrone fiscale sarebbe un suicidio. E questo potrebbe dare ancora un po’ di respiro all’Europa. A patto che lei stessa cominci a prendersi le sue responsabilità.

fonte: http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2012/11/10/28142-finestra-internazionale-presidenziali-usa-ora-leuropa-batta/

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