venerdì 29 giugno 2012

Responsabilità sociale e fette di salame

Di Simone Rossi

Lo scorso settembre demmo voce alla protesta messa in atto dai lavoratori delle pulizie presso il Guildhall, l'ente che amministra il municipio della City di Londra (http://resistenzainternazionale.blogspot.co.uk/2011/09/il-pane-e-le-rose-di-simone-rossi.html). 
Allora i dipendenti chiedevano un adeguamento del proprio salario, al di sotto dei livelli di povertà fissati dalla GLA l'amministrazione metropolitana di Londra, al livello minimo indicato dalla GLA. Oltre alla fine degli atteggiamenti antisindacali e vessatori dei propri superiori.

Le proteste dei lavoratori di questo settore procedono da oltre due anni, per lo più coordinate dal sindacato autonomo IWW, visto il disinteresse mostrato dalle sigle che potremmo definire confederali verso la condizione di questi lavoratori per lo più immigrati. Sino a pochi mesi fa le rivendicazioni salariali hanno riguardato le imprese di pulizie che prestano servizio presso le banche e le aziende della City.

Da alcune settimane sono in agitazione i dipendenti dell'azienda ICM che subappalta per il punto vendita in Oxford Street di John Lewis, una storica catena di grandi magazzini la cui peculiarità è di esser controllata dai propri settantamila dipendenti, che possono fornire il proprio parere sulla gestione dell'azienda e godono di quote dei profitti. Oltre a ricevere meno del London Living Wage, pari al minimo necessario per sopravvivere nella città, i lavoratori della ICM hanno visto licenziamenti e la riduzione dell'orario di lavoro. Questo non perché il punto vendita sia stato ridimensionato o lo standard di pulizia ridotto. Semplicemente, con la scusa della crisi John Lewis ha spinto per una gara al ribasso tra subappaltanti, nonostante i profitti dichiarati lo scorso anno ed il gran numero di personale assunto.

Al pari di Ponzio Pilato, la catena di grandi magazzini ed i lavoratori che ne hanno le quote azionarie fa ricadere la responsabilità della situazione sulla azienda fornitrice del servizio di manutenzione che ha sua volta subappalta ad ICM.
Mentre prosegue la vertenza tra le parti, IWW ha programmato una serie di presidi all'esterno del punto vendita che si terranno il sabato nei prossimi fine settimana per sensibilizzare consumatori e dipendenti di John Lewis, nell'auspicio che si assuma la propria responsabilità.
Della vicenda ha trattato il quotidiano The Independent

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SOS Monti: vengono prima i terremotati dei partiti!

Segnalato da Francesca Fondi

Cari amici,

E' una vergogna: nonostante la promessa di trasferire i loro contributi pubblici alle vittime del terremoto, i partiti se li intascheranno tutti il 1° luglio! Solo Monti può accendere i riflettori su questo scandalo e garantire che l'aiuto concreto vada a quelli che ne hanno più bisogno, ma solo se oggi saremo in tanti ad appellarci a lui.

I partiti hanno promesso di destinare i 91 milioni di euro della prossima tranche di finanziamento pubblico alla ricostruzione in Emilia e a L'Aquila, ma per far sì che questi fondi vadano alle vittime del terremoto devono adottare una legge entro il 1° luglio, giorno in cui riceveranno i soldi. I partiti però hanno deliberatamente perso tempo in Parlamento così da affossare la legge e intascarsi i milioni di euro. Alcuni senatori si sono rivolti a Monti per chiedere di adottare una legge d'emergenza per fermare questa presa in giro, e un appello accorato da tutti gli italiani potrebbe convincerlo a farlo.

Monti deve sentirci forte e chiaro prima della scadenza fra un paio di giorni. Aggiungi il tuo nome per chiedergli di dirottare i 91 milioni di euro alle vittime del terremoto, e la senatrice Poretti leggerà la nostra petizione in Parlamento non appena raggiungeremo le 40.000 firme. Firma la petizione e dillo a tutti!

http://www.avaaz.org/it/italy_monti_party_money_to_earthquake/?tta

I membri italiani di Avaaz hanno combattuto duramente per tagliare il finanziamento pubblico ai partiti e per dirottare il conseguente risparmio alle vittime del terremoto, inviando oltre 60.000 messaggi ai leader di partito e sottoscrivendo una petizione forte di 120.000 firme, ripresa dai giornali e appoggiata da politici come Antonio Di Pietro. Nonostante questa ondata di sostegno per le popolazioni terremotate, i partiti stanno facendo di tutto per non mollare i soldi che avevano promesso solo qualche settimana fa.

I partiti negli anni hanno ricevuto una quantità esagerata di finanziamento pubblico, ma la Camera dei deputati ha approvato solo tagli modesti che comprendono i 91 milioni di euro da dirottare alle aree terremotate. Il 1° luglio i partiti riceveranno l'ultima tranche dei rimborsi elettorali del 2008 e i 91 milioni di euro vengono proprio da quel fondo. Ma il Senato ha perso tempo così da superare la scadenza e permettere ai partiti d'intascarsi i soldi destinati alle vittime del terremoto. Alcuni parlamentari hanno chiesto a Monti, che è l'unico che può adottare una legge di emergenza in Consiglio dei ministri, di fermare questa avidità senza cuore.

Insieme possiamo costringere i partiti a rispettare le loro promesse e dare così l'aiuto necessario alle vittime del terremoto per la ricostruzione. Firma l'appello urgente a Monti e dillo a tutti:

http://www.avaaz.org/it/italy_monti_party_money_to_earthquake/?tta

La comunità di Avaaz in Italia ha combattuto giorno dopo giorno contro la corruzione e per la responsabilità in politica. Uniamoci oggi per ripulire il nostro sistema e garantire che migliaia di famiglie sofferenti ricevano l'aiuto necessario per ricostruire le loro vite.

Con speranza e determinazione,

Stephanie, Giulia, Luca, Ian, Luis, Alice, Ricken, Pascal e tutto il team di Avaaz

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giovedì 28 giugno 2012

Germany is only...

...a first class passanger on the euro Titanic.

A noi PIGS invece, ogni tanto spuntano le ali.

Bedana e Giovetti augurano buona visione.

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Virtuosi...una cippa!

A cura di Simone Rossi

Riporto un articolo sul debito pubblico nel Regno Unito apparso sull'edizione online di The Guardian il 26 giugno. Un articolo che risulta istruttivo di come "predicare bene e razzolare male" non sia un difetto solamente italiano.
Nel peloso linguaggio politico degli ultimi anni i Paesi i cui governi applicano politiche di riduzione indiscriminata della spesa pubblica e di controllo del deficit sono definiti virtuosi. In opposizione a quelle nazioni in cui il ruolo dello stato in economia e nella società è ancora consistente, che, sempre nella vulgata attuale, meritano lo stato di crisi in cui versano.
Il Regno Unito rientra a buon titolo tra i virtuosi, avendo ossequiosamente applicato le venefiche ricette neoliberista dai primi anni dei governi Thatcher ad oggi. Dal 2010, inoltre, sono al governo i primi della classe, giovani politici conservatori e liberal democratici che diligentemente si impegnano a distruggere ciò che rimane dello stato sociale: previdenza, sanità, istruzione, università ed assistenza sociale. Tutto rigorosamente nel nome del rigore nei bilanci e della crescita che quando arriverà porterà nettare ed ambrosia per tutti.
Intanto questi campioni hanno abbattuto quel poco di crescita del prodotto interno lordo che si era visto in seguito ai timidi investimenti effettuati dal loro predecessore, il laburista Brown, e, udite udite, hanno incrementato l'indebitamento dello Stato. Come prevedibile ed effettivamente previsto da molti economisti rimasti inascoltati, le politiche basate semplicemente sul taglio della spesa pubblica senza investimenti per incentivare la ripresa hanno impoverito la cittadinanza e conseguentemente l'ammontare delle imposte sul reddito riscosse dallo Stato, calate del 7.3% secondo l'economista James Knightley della banca ING . Secondo quanto affermato dall'istituto nazionale di statistica ONS il governo ha presi in prestito quantitativi sempre maggiori di denaro dalle banche (+£15 miliardi nel maggio 2012 rispetto ad un anno prima) e che il debito pubblico è cresciuto. Questi dati sono stati confermati da analisti finanziari e smentiscono i dati forniti dal Ministero del Tesoro, che indicavano una consistente riduzione del debito.
Una tendenza, quella di fare il trucco ai bilanci dello stato, di cui Tremonti fu maestro e che ha spinto la Grecia sull'orlo del baratro. Ma quelli di sa, sono cicale del sud, non virtuosi nordici.

http://www.guardian.co.uk/business/2012/jun/26/uk-government-borrowing-higher-expected

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mercoledì 27 giugno 2012

Una china pericolosa

Di Simone Rossi

Quando un paio di anni fa Ed Miliband fu eletto segretario del Labour Party fummo in molti a sperare in una svolta nel partito dopo tre lustri di sbornia liberista. Le sue credenziali rosa, quasi socialdemocratiche perfino, fecero sperare in un cambio nel linguaggio e nella proposta; un cambio che sinora non è avvenuto, limitando la critica alle politiche anti-popolari del governo in carica al semplice fatto che i laburisti taglierebbero la spesa pubblica con più compassione, più umanamente.

In questo vuoto di ideali e di idee, la ricerca perenne del consenso elettorale può esser di cattivo consiglio. Ed ecco che Miliband pochi giorni fa si è avventurato nel terreno minato dell'immigrazione, probabilmente cercando di sedurre gli strati più disagiati sul campo della guerra tra poveri, non avendo alcunché da offrire loro in termini di politiche sociali e di emancipazione. Egli ha asserito di voler porre un freno al ricorso alla manodopera straniera, a basso costo, introducendo politiche che disincentivino l'assunzione di dipendenti non britannici. A suo dire questo porrebbe un termine al dumping sociale, cioè la corsa al ribasso dei salari, e aprirebbe nuove possibilità di impiego per i sudditi britannici.

Prendendo la scorciatoia delle risposte semplicistiche a problemi banalizzati, il segretario laburista non si assume la responsabilità di una franca autocritica all'interno del partito. La nascita del New Labour successiva alla sconfitta elettorale del 1992 ha comportato un'adesione alle politiche ed all'immaginario conservatore, improntato sull'idolatria della finanza e dell'imprenditoria. Il partito ha preso per buono l'assunto per cui l'arricchimento dei più ricchi avrebbe avuto ricadute sul resto della società, spostando l'attenzione della propria azione politica dal lavoro al capitale. Ne consegue che il problema del dumping sociale è ridotto ad una questione di immigrazione e non di rapporti di forza nel mondo del lavoro e che la dirigenza laburista fatichi a riconoscere che in assenza di una rappresentanza sindacale ampia il potere contrattuale dei lavoratori è ridotto. E con esso il potere d'acquisto.

Al netto delle successive ritrattazioni e puntualizzazioni, la dichiarazione di Miliband ha riaffermato la chiacchiera che mira a stigmatizzare l'immigrato, già ampiamente diffusa dai media popolari, orientati prevalentemente a destra, ed ha gettato un seme che in un contesto di prolungata crisi economica potrebbe facilmente germogliare nel giardino dell'estrema destra e del populismo conservatore.

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martedì 26 giugno 2012

Sbatti il mostro in prima pagina
Di Simone Giovetti

La cineteca politica di RI


Sbatti il mostro in prima pagina è un film del 1972  diretto da Marco Bellocchio ed interpretato da Gian Maria Volonté. 
Il film mette in evidenza gli stretti legami fra stampa, politica e forze dell'ordine. Racconta come un importante giornale possa manipolare l'informazione pubblica e lo svolgersi stesso delle vicende, per cercare di indurre una precisa reazione nell'elettorato.

Alla fine le cose non sembrano essere troppo cambiate al giorno d'oggi. Il dibattito spinoso sulla libertà di stampa e sul suo finanziamento hanno il merito di farci riflettere sulla questione.
Nel film la decisione ultima di sbattere il mostro, non quello vero, in prima pagina viene dall’editore.

I contributi pubblici per l'editoria dovevano sostenere i giornali di partito, ma sono andati, per la maggior parte, agli editori privati. Dietro a questi giornali ci sono gli interessi economici di persone e di gruppi privati. Tali interessi sono direttamente legati alla politica, quella con la p minuscola.

Dove si dovrebbe garantire l’imparzialità dell’informazione se ne favorisce invece un utilizzo parziale e criminoso, trasformandola in informazione di regime.

Siamo davanti dunque ad un bivio. La democrazia dovrebbe sostenere una stampa libera finanziandola. Se non lo facesse solo i grandi gruppi con potenti mezzi economici a disposizione avrebbero il controllo totale dell’informazione e dunque dell’opinione.  D’altro lato se, con i soldi della collettività, finiamo per finanziare proprio quegli stessi gruppi, non si capisce quale sia la differenza.

Una cosa è certa, per il momento: il taglio ai finanziamenti dei giornali ha colpito e annientato proprio quei giornali che, per la chiarezza dei loro obiettivi e posizioni partigiane, proponevano paradossalmente un’informazione diversa e alternativa. La stampa italiana oggi è dunque ancora meno libera di prima. Più parziale e superficiale.

Guardate o riguardatevi il film!!!!

Simone Giovetti

PS, attenzione : noterete il grande leader che parla nella prima scena del film. Un vero democratico che ancora oggi abbiamo la fortuna di ascoltare, seguire, amare….
Dotatevi di un sacchetto di cartone, in caso di improvviso conato di vomito.


 ciascuno deve stare al proprio posto...




 la redazione...




facciamo il giro...





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lunedì 25 giugno 2012

Le ricette di Resistenza Internazionale:
La torta co' bìscheri di Matteo Renzi

Di Monica Bedana

Matteo Renzi, l'amante dei revival delle piccole cose di pessimo gusto, ha la stessa faccia di Pupo quando cantava "Gelato al cioccolato". E nel weekend ha cucinato per il PD il suo dolce preferito, la torta co' bìscheri, la vera specialità dei rottamatori.

Alla base, che è senz'altro frolla, ci ha messo abbondante mancanza di umiltà, mescolata a populismo zuccherato (non candidiamo un io ma un noi).
Nel ripieno, il riso amaro di chi vorrebbe capire con esattezza se all'ennesimo tentativo di dinamitare del tutto un partito già di per sé sbriciolato, corrisponda uno sforzo preciso per ricostruirlo con ingredienti migliori.
L'uva passa che è Bersani forse dispone per le fantomatiche primarie di quella delicatessen che si chiama programma di partito strutturato, che è ciò che in Renzi ancora non vediamo.
O si fa il sindaco, o si fa il nuovo leader del centrosinistra: entrambe le cose son latte versato. Che poi si secca e non si scrosta più.
L'eccesso di canditi, zucchero e pinoli stomaca, non può piacere a tutti, a destra e a sinistra indifferentemente; si spera che siano nettamente più definiti i gusti politici di quei cosiddetti "italiani normali" al cui voto il bìschero Matteo aspira. 
Cosa significhi bollire tutti nello stesso calderone ideologico, appoggiando senza sé e senza ma un Governo che puzza di bruciato lo vediamo, penosamente, ogni giorno in Parlamento.
Gli italiani "normali"  vogliono la ricetta di un piano di sviluppo industriale che consenta al Paese di tornare a lievitare, per esempio. Di una riforma del lavoro che non ci privi anche di quel pizzico di sale dei diritti finora conquistati e ci condanni al precariato a vita e al lavoro nero come normale amministrazione. Che la pressione fiscale non coli come bollente cioccolato fuso solo sul lavoro lavoro dipendente; che si inforni finalmente questa patrimoniale equosolidale.
Insomma, la prova del cuoco non si passa cucinando aria fritta.

La ricetta della torta co' bìscheri:

dentro una base di frolla cuocere un ripieno fatto con 70 grammi di riso cotti in mezzo litro di latte, 100 grammi di zucchero, pinoli, uvetta, canditi a piacere, un pizzico di sale, due uova, un po' di cacao in polvere, 50 grammi di cioccolato fondente fuso, un bicchierino di liquore Strega, eventualmente un goccio di latte se l'impasto dovesse risultare troppo denso. In forno a 180º per circa 35 minuti.


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sabato 23 giugno 2012

evviva, come mi piace schiacciare i più debolucci





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venerdì 22 giugno 2012

Forza Grecia!


Sembra scontato, ma va detto lo stesso. Stasera tifiamo Grecia. E' facile tifare per gli underdogs che hanno sempre il favore del pubblico non di parte, ma lo facciamo con tutto il cuore. Ma soprattutto la Grecia merita la vittoria per motivi che van molto al di li là del calcio. D'altronde che il calcio moderno non si fermi ai 90 minuti ed ai 22 giocatori in campo è ormai un dato di fatto. E' business, è cultura (negativa!) di massa, è politica anche da prima dell'arrivo di Berlusconi se solo pensiamo che gli operai FIAT andavano allo stadio a tifare la squadra del padrone negli anni 60 e 70. Ed allora che sia politica internazionale pure!
I greci meritano un pò di autostima dopo anni terribili ed altri che stanno per arrivare. Meritano di vincere soprattutto contro coloro che sono stati, indiscutibilmente, i loro aguzzini. Certo, sarebbe stato simpatico prendere a pedate i finlandesi che pretendevano il Partenone come collateral e che ancora ieri si sono opposti a qualsiasi rimodulazione del debito greco. Ma i finnici razzisti sono sportivamente (e non solo) irrilevanti. E gli altri falchi, gli olandesi, son già stati presi a pallate dai portoghesi, un bel segnale d'auspicio. Ma la Germania è la Germania, inutile nascondersi dietro gli inetti complici.
Quello tedesco è uno squadrone che a pensarci non dovrebbe neanche starci tanto antipatico. Multi-culturale e multi-etnico come nessun altro, con giocatori corretti, tranquilli, senza atteggiamenti da star. Ma basta il fatto che la Merkel abbia preteso di anticipare il vertice europeo per poter vedere i suoi panzer in TV a giustificare il nostro odio sportivo per la Germania. E poi che soddisfazione sarebbe vedere i greci scuri, brutti, capelloni, scapigliati far passare 90 minuti di inferno ai biondi granatieri tedeschi, i Muller, Gomez, Badstuber e Neuer che sarebbero stati esempi perfetti dell'arianesimo hitleriano.
La Grecia stasera gioca non solo per tutti i suoi cittadini, ma per tutti gli europei che non ne possono più della Merkel, per tutti poveri e gli sfruttati la cui vita viene sempre dopo il bilancio delle banche. Gioca per i PIGS meditteranei, ancora tutti in corsa e che possono far fuori il Nord ricco e arrogante. Fosse anche solo per 90 minuti. Ma 90 minuti da eroi, come Pelè, Michael Caine e Sylvester Stallone in "Fuga per la Vittoria", guarda caso contro la Germania! Forza Grecia! 


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giovedì 21 giugno 2012

Gli aggiornamenti delle rubriche

The City of London
La logica distorta dell'Austerity: opo tre anni di fallimenti ancora non si vuole capire cosa è che non funziona nelle politiche economiche europee. Le elezioni greche ed il pacchetto di salvataggio per la Spagna non hanno cambiato nulla. Tagli alla spesa pubblica e pure aumento delle tasse, in Spagna è previsto anche l'aumento dell'IVA. Il tutto accompagnato da una politica monetaria espansiva....[continua a leggere] 



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mercoledì 20 giugno 2012

Patriottismo senza complessi

Di Monica Bedana

Da anni sventola su un pennone altissimo della Plaza de Colón di Madrid un patriottico, immenso bandierone voluto da uno dei ministri più mastini di Aznar e mai rimosso dai successori socialisti. Perché qui il que viva España non è retaggio della destra rancida ma patrimonio comune del popolo, esibito senza complessi né piaggeria, anzi, con tutto il convincimento di essere i migliori e di aver la fortuna di essere nati sotto l'ala di un unico, grande Paese. 
Il patriottismo inteso in questo modo mi ha sempre fatto un po' d'invidia; noi che invece nell'individualismo, quando perde genialità e diventa particolarismo, ci affoghiamo. E non fa mai lo stesso effetto che a dire "questo Paese ce la farà" sia il re Juan Carlos (pur con le sue inopportune cacce all'elefante) o perfino il grigio Rajoy, che Monti con la sua faccia da cocker abbandonato in autostrada a ferragosto dai poteri forti o il pensionato della Resistenza Napolitano. Perché si nota ad anni luce che gli ultimi due sono i primi a non crederci.

Da quando sono iniziati gli europei di calcio la Spagna è tutta una bandiera, senza soluzione di continuità.
Loro però sono invidiosi di natura. Forse anche un pelo rancorosi. E da ieri sera non fanno che dire che noi italiani abbiamo il solito culo e ci tocca l'Inghilterra. E continuano a ricordare una gomitata di Tassotti a Luis Enrique del secolo scorso, quando entrambi non avevano ancora fatto la prima comunione. Abituati a mettere le mani avanti, casomai dovessimo vederci in finale.

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Gli aggiornamenti delle rubriche di Resistenza Internazionale, 20 giugno 2012

The City of London:
"Lavorare di più?"

Il sottosegretario Polillo, silenzioso ormai da troppo, ha lanciato una nuova idea per risolvere i problemi dell'Italia. Visto che allungare l'età lavorativa non basta per far crescere il PIL, possiamo provare in altra maniera, tipo lavorare una settimana in più all'anno.
Che idea brillante! Lasciamo perdere cosa questo vorrebbe dire per la qualità della vita dei lavoratori e per il nostro sistema sociale. Rimaniamo ai crudi numeri. Se l'economia fosse in una situazione di piena occupazione, Polillo potrebbe avere qualche ragione - più lavoro equivale a più investimenti, più produzione, più crescita...leggi tutto l'articolo

martedì 19 giugno 2012

Il ministro dell'economia: basta lavorare (gratis) una settimana in piu' ...

A cura di Perla Conoscenza

... una settimana in piu' e il problema del debito e' per un terzo risolto.

La ricetta del sottosegretario all'economia, polillo: «così riparte la produttivita'»
l sottosegretario all'Economia Polillo. "Lavoriamo solo 9 mesi all'anno. Aumentiamo il tempo dedicato all'occupazione per far ripartire la produttività"
"Sette giorni di ferie in meno per ottenere un punto di Pil"

http://www.repubblica.it/politica/2012/06/18/news/polillo_sette_giorni_di_ferie_in_meno_per_raggiungere_un_punto_di_pil-37442561/?ref=HREC1-12

http://www.corriere.it/economia/12_giugno_18/polillo-troppe-ferie-pil_7dedf41e-b935-11e1-a52c-a7a9b914e823.shtml

E' questo sarebbe il governo di tecnici, di economisti ?
Pensavo che con il governo precedente si fosse toccato il fondo.
Ecco le sciocchezze che discutono al ministero dell'economia.
E c'e' pure chi la beve: la colpa e' degli Italiani che sono fannulloni e lavoriamo troppo poco.


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domenica 17 giugno 2012

Grecia: coalizione pro-euro per uscire dall'Europa

Di Nicola Melloni


Pare ormai sicuro che Nuova Democrazia sia riuscita a vincere questa tornata elettorale anche se non è ancora chiaro se, alleata col PASOK, riuscirà ad avere i seggi necessari per una maggioranza di governo.
Così fosse si verrebbe a formare un mostro politico, una grande coalizione tra finta sinistra - quella che si richiama al so e vera destra che insieme rappresentano a malapena il 40% dei votanti. Una coalizione dei due partiti che hanno ridotto la Grecia sul lastrico, rubato, creato clientele e corruzione ed infine truccato i conti. La coalizione che i probi tedeschi volevano.
Ora i partiti che rappresentano la minoranza dei greci proveranno a formare un governo, tutto centrato sulle politiche decise a Berlino e Bruxells. Ma non hanno speranze. La crisi greca si continuerà ad aggravare, insistendo su quelle stesse stupide politiche che la maggioranza dei greci ha rigettato. Nel giro di 6 mesi, massimo un anno, la situazione sociale sarà talmente insostenibile che la coalizione crollerà e si ritornerà a votare. Ed allora non ci saranno dubbi su chi vincerà.
Una volta di più l'Europa ha guadagnato un pò di tempo. E' quello che continua a fare da 3 anni a questa parte, a forza di interventi parziali che non risolvono i problemi, nella maggior parte li aggravano e riescono solo a rinviare il redde rationem. La Grecia si guadagna altri 6 mesi prima di essere costretta ad uscire. La Spagna non sarà trascinata nel caos greco e crollerà grazie alle sue banche non per colpa di Syriza. Gli euroburocrati avranno qualche altro mese per sperare nell'intervento divino o forse, più probabilmente, per costruire un cuscinetto per le banche francesi e tedesche. E poi rivivremo, di nuovo, l'ennesima puntata di questa farsa europea che assume sempre più i contorni della tragedia. 



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E se fosse stato inutile il voto in Grecia?

Di Monica Bedana

E se, indipendentemente dal colore del Governo che si formerà dopo le elezioni e dalla volontà di questo di rispettare o meno gli accordi presi con la troika, l'Europa avesse nel frattempo già deciso che le è più conveniente lasciar cadere la Grecia? Allontanare cioè definitivamente l'appestato moribondo perfino dal lazzaretto degli Stati salvati.
Rimangono solo 2000 milioni nelle arche greche per questo mese di giugno. Un piano di "uscita ordinata dall'euro" non solo non esiste ma sarebbe troppo lungo da mettere in atto. Quando non si può più aprire il rubinetto del gas si chiude quello dei prestiti: l'effetto è lo stesso. E si impedisce il prelievo di denaro, il movimento dei capitali e perfino quello delle persone.

In sede europea nessuno smentisce né conferma.
Non dovremmo mandare solo i calciatori ad Auschwitz.

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Elezioni in Grecia: un unico vincitore

Di Nicola Melloni


La Grecia ha votato. Ancora non sappiamo chi riuscirà a formare il nuovo governo, Syriza e ND sono testa a testa - per Sky grecia è avanti il partito di Tsipras. Un risultato però è già chiaro. La sinistra che si oppone al memorandum, follemente divisa in 3, ha comunque il 42%, e sarebbe il primo partito di Grecia. Più in generale i partiti che si oppongono al piano UE rappresentano la larga maggioranza degli elettori.
Qualche giorno fa Dora Bakoyannis, una dei leader di Nuova Democrazia ha detto che se il suo partito avesse vinto avrebbe portato avanti le riforme necessarie senza fermarsi davanti a nulla, non si poteva continuare a dialogare con le minoranze che si oppongono al governo. Bene, ora si sappia che se ND formerà il governo grazie ad un sistema elettorale inquietante, sarà comunque un governo con maggioranza parlamentare e minoranza di voti. I greci rigettano l'austerity nelle urne, e continueranno a farlo nelle piazze. 



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La sinistra radicale greca fa paura. La destra no.

Di Monica Bedana

Le seconde elezioni in Grecia nello spazio di un mese si svolgono in uno scenario inedito ed oltremodo anomalo per tre motivi.

1) Per la prima volta nella storia della democrazia in Europa si sta tentando dall'esterno di indirizzare il voto greco nel profondo solco tracciato dalla troika. Dopo l'imposizione di due governi tecnici, nella stessa Grecia ed in Italia, ecco una nuova modalità di pressing sulla democrazia di uno  Stato sovrano.

2) Per quattro settimane la martellante strategia tedesca è stata quella di fare apparire Syriza nemico dell'euro e dunque unico responsabile del definitivo tracollo del Paese se stasera arrivasse a governarlo. Alla fine ci ha creduto perfino Hollande, che sente come suo "dovere avvertire la Grecia che se vuole allontanarsi dagli impegni presi (il memorandum, che Syriza vuole ri-negoziare per anteporre piani di crescita a quelli di austerità fine a sé stessa) ci saranno Paesi che preferiranno che i greci abbondonino l'euro". La solita, cattiva coscienza europea non può più cercare in Grecia un capro espiatorio che è stato sacrificato da tempo.

3) Fa paura all'Europa che la sinistra radicale greca possa governare e farsi finalmente interprete della voce del popolo. Perché non preoccupa allo stesso modo la destra neonazista di Aurora Dorata, che entrerà in Parlamento di sicuro? Questione di antico feeling?

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La Grecia al voto: speranza contro paura


 Di Nicola Melloni


Questi sono i sentimenti che caratterizzano il voto greco di oggi. Da una parte la speranza di uscire dalla crisi, il legittimo desiderio di un futuro migliore, la voglia di essere liberi e padroni del proprio destino.
Dall'altra la paura del futuro, rinforzata dal vento della demagogia e della propaganda che soffia nei comizi, sui giornali, nelle incredibili pressioni esterne. Paura di un salto nel buio, paura di essere accerchiati, paura di essere cacciati. Quella stessa paura che ha sempre retto i governi dittatoriali, reazionari e che si reggono non sul benessere e sulla partecipazione alla cosa pubblica, ma sull'imposizione e la minaccia.
Basta guardarsi intorno per vedere questo clima. Repubblica titola: "La Grecia sceglie tra l'Euro e la Dracma". Facendo sue le parole del leader di Nuova Democrazia, Samaras che ha spinto in alto il suo partito nei sondaggi affidandosi semplicemente a questo ridicolo ritornello. Solo con noi resterete nell'Euro. Il fatto che Syriza voglia rimanere nella moneta unica non conta, la voce della propaganda padronale sovrasta qualsiasi voce di dissenso.
Intanto i leader d'Europa continuano a lanciare minaccie, neanche troppo velate. Cari Greci, dovete votare per i partiti che rispettano gli impegni. Che questo partito, Nuova Democrazia, sia quello che ha truccato i conti per entrare nell'euro e creato la crisi, non conta, anzi. Prima la Merkel, poi Juncker sono intervenuti pesantemente nel dibattito. Una ingerenza gravissima negli affari interni di una nazione, un paese che nelle menti di tedeschi ed euroburocrati è a sovranità limitata non solo economicamente ma anche politicamente. E che una volta di più dimostra il vero significato della democrazia ai tempi del neo-liberismo. Non si vota liberamente, esiste un solo risultato giusto. Qualcosa di molto simile ai paesi dell'Europa orientale negli anni 60 e 70. 
E poi chi l'ha detto che gli impegni vanno rispettati? Se un governo farlocco come quello di Papadreou ha tradito il popolo greco e le promesse elettorali con cui era stato eletto per vendersi agli interessi economici tedeschi, perchè bisognerebbe mantenere questi patti scellerati? L'Europa ha dato soldi in cambio di riforme e quindi si sente in diritto di dettare l'agenda politica, ma anche in questo caso la realtà è diversa dalla propaganda. Secondo JP Morgan solo 15 miliardi dei 410 dati alla Grecia sono andati all'economia ellenica. Il resto è andato tutto ai creditori - leggi le banche europee.
In questo clima di terrore, oppressione, minaccie e propaganda oggi si vota. Non si vota per tornare alla dracma. Si vota per tornare a sperare.


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venerdì 15 giugno 2012

Che succede se vince Syriza?

Di Nicola Melloni

Le elezioni di domenica si preannunciano come un evento storico per la Grecia e per l'Europa tutta. Dopo il fallimento della tornata elettorale di un mese fa ci si avvia ad un testa a testa tra Syriza e Nuova Democrazia. Si tratta di una scelta vera, non la solita minestra riscaldata di centro-destra contro centro-sinistra con programmi simili, politiche uguali e conferma di decisioni già prese altrove. No, questa volta si parla di austerity, di licenziamenti, di salari, soprattutto si parla di democrazia, se le vite dei greci debbano essere decise a Berlino e Bruxells o dal Parlamento di Atene. Elezioni vere, dunque, e proprio per questo temutissime nei palazzi del potere europei che accettano da sempre un solo risultato. Basta ricordare i referendum confermativi dell'Unione. Quando fallivano venivano rifatti fino a che non si raggiungeva il risultato giusto. Una pratica che dice tutto sul grado di democrazia della UE.
E di fatti la campagna elettorale è stata accompagnata da continui avvertimenti semi-mafiosi da parte di Merkel e Lagarde (le donne al potere...brrrrr) sul fatto che rimanere nell'Euro dipende dalla volontà politica dei greci. E che vorrà mai dire?
Da un lato si cerca di far passare l'idea che Syriza voglia fare uscire la Grecia dall'Euro e che i greci stiano in effetti votando un referendum sulla permanenza all'interno della UE. Ma non è vero, Syriza e i greci vogliono rimanere nella UE e nell'euro, solo non alle condizioni di Berlino che in questi 3 anni hanno dimostrato di non funzionare.
Ma proprio queste premesse svelano la realtà della minaccia. In caso di vittoria di Syriza è più che probabile che la Trojka e la Merkel cercheranno di punire il nuovo governo sospendendo i fondi europei, e decretando di fatto l'espulsione della Grecia. Che verrà però fatta ricadere sui greci, tipico esempio di profezia autoavverante: senza soldi in cassa per pagare stipendi e pensioni e bisognerà per forza stamparli. Ovvero, tornare alla sovranità monetaria.  
In realtà però ha ragione chi parla di referendum sull'euro. La Grecia sarà destinata inevitabilmente a fallire se vincerà Nuova Democrazia e se si ripeteranno ancora i falliti esperimenti di austerity. La Grecia e l'Europa si potranno salvare solo se vincerà Syriza e se questo porterà ad un drastico ripensamento della politica europea. E' però indispensabile che Italia, Spagna e Francia facciano muro e aprofittino di una possibile vittoria di Syriza per mettere la Merkel nell'angolo. Ne hanno tutto l'interesse: Spagna ed Italia perchè conviene anche a loro, la Francia per dare seguito alle promesse di Hollande (e per tornare al vertice della politica europea). Eurobond, garanzie a livello europeo sui depositi bancari (che fermerebbero immediatamente il bank run di cui parlava ieri il Corriere) ed inevitabilmente trasferimenti fiscali, non prestiti, per rilanciare la Grecia. Ancora meglio, un piano Marshall per il Sud Europa. Salvare la Grecia vorrebbe dire salvare la UE.
 Ma non è solo la moneta unica ad essere in ballo. Le elezioni di domenica sono un referendum sulla democrazia, sulla capacità della UE di dare la parola ai popoli e non solo alle burocrazie, ai lobbysti, alle banche. Perchè democrazia da sempre vuol dire governo del popolo per il popolo, e non per i pochi. Quelle si chiamano oligarchie, ed in Grecia lo sanno benissimo.  



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Riflessioni anti-anti-politiche

Di Simone Rossi

In ogni relazione le dinamiche coinvolgono sempre ambedue le parti.
Lo scollamento tra i cittadini ed i loro rappresentanti non può esser imputata esclusivamente ai secondi. La cosiddetta casta ha potuto formarsi e consolidarsi in queste forme perché dall'altra parte non c'è stata una reazione adeguata. Per questo guardo con diffidenza costoro che, usciti ieri mattina dal cilindro, gridano alla casta e sparano sul mucchio dei partiti per rifarsi una verginità. Com'è che non avevano alcunché da gridare quando per diciassette anni i principi costituzionali e l'impalcatura repubblicana venivano scardinati? Dov'erano nel luglio del 2001 quando duecentomila persone manifestavano la loro opposizione al modello predatorio che ci ha portato alla crisi economica e morale? Dov'erano quando si faceva uno spezzatino del patrimonio pubblico, si creavano leggi oscurantiste su immigrazione e procreazione assistita? Cosa avevano da dire sulla trasformazione del lavoratore in una delle tante variabili del costo di produzione, sull'introduzione del precariato selvaggio, sulla manomissione di scuola ed università? Perché hanno lasciato fare?
Il sistema nella sua interezza, non solo la rappresentanza dei cittadini, va riformato. In Italia ed in gran parte d'Europa, dove lo svuotamento della democrazia e dei suoi principi è ormai perfetto; è ormai chiaro chi abbia realmente il potere e come parlamenti ed esecutivi siano meri esecutori, se mai qualcuno avesse avuto un dubbio. E la riforma del sistema ha bisogno di una visione d'insieme, di un modello nuovo cui guardare per il futuro e per cui lottare, nei luoghi di lavoro, in quelli della formazione delle coscienze, nelle strade. La critica nichilista urlata, le piccole soluzioni immediate a problemi puntuali sono un ottimo viatico ad una riforma gattopardesca della politica e della società.
Io non ho interesse nel gattopardo.


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giovedì 14 giugno 2012

Notizia shock su Equitalia

Di Monica Bedana.
Da "Il Vernacoliere". La mancanza di rispetto che mi piace, che tiene in vita il paese moribondo.



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mercoledì 13 giugno 2012

Spagna: lo Stato che non c'è

Di Monica Bedana


(versión española aquí)

Quel che non si può fare a pezzi, cadrà a pezzi.
Regola di Rudnicki
Segreteria di Stato del Compiere Requisiti.
- Ma cosa state facendo, cosí, sulla barricata?
- Prendiamo posizione.



Nella Spagna del Cinquecento lo Stato era indebitato fino al collo con le banche tedesche. 
Per dare lustro al regno e mantenere prima le guerre e poi l'equilibrio, l'imperatore mezzo germanico pagava interessi altissimi ai banchieri del nonno (ma anche ai genovesi, gli oculati antenati di Grillo; una specie di troika dell'epoca insieme ai tedeschi ed ai nobili signorotti europei) quando nemmeno l'oro sottratto alle colonie bastava più. Il terzo polo della troika, rappresentato dai nobili feudatari, prima di aprire la borsa esigeva che Carlo V implorasse aiuto per un pezzo e con toni, prassi e modi rigidamente stabiliti; solo dopo iniziavano le trattative sul parquet (di palazzo) per stabilire il valore degli interessi.
Per il resto, popolo tartassato fiscalmente come da copione storico.

La Spagna di Rajoy si sta chiedendo se questo debito pubblico, di cui nessuno degli ultimi quattro Governi si è mai assunto la benché minima responsabilità, non lo si debba forse all'Imperatore che fu amico di Tiziano. Che siano cioè cinquecento e passa anni che esiste e cresce e che ormai sia stato psicologicamente assimilato dalla popolazione. Sennò non si spiega l'anestesia pressoché totale delle forze dell'opposizione e dei cittadini nei confronti di un Governo che accorda con i poteri forti  dell'Europa un salvataggio bestiale del proprio sistema bancario durante un fine settimana. Casualmente proprio il fine settimana in cui la gente è incollata al televisore per la prima partita de la Roja agli europei. 
Che Stato è quello che, fino ad ora, ha preferito salvare insolventi banche tossiche, capitanate da amici degli amici invece di mettere in salvo i propri disoccupati? E' uno Stato talmente svuotato (di funzioni autonome, di senso, di sostanza) che ad un certo punto si dichiara insolvente lui stesso e si vende ai banchieri tedeschi anche l'ultimo brandello di democrazia. La fuga dei capitali spagnoli dal Paese negli ultimi tre mesi equivale al 9% del PIL; capitali che sono in buona parte atterrati nelle sicurissime banche tedesche, a cui questa crisi conviene e molto.

Ma prendiamola con calma, inutile affannarsi, son cinquecento anni che i banchieri campano sulla pelle degli spagnoli. Inutile quindi che il presidente del Governo si scomodi a spiegare il salvataggio europeo in parlamento prima di luglio; "non è il momento adatto per aprire una commissione di inchiesta su Bankia". E con la coscienza tranquilla del dovere compiuto, prende e va alla partita. 


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Gli aggiornamenti delle rubriche di Resistenza Internazionale, 13 giugno 2012

The City of London:
"L'Italia di nuovo in ginocchio"

E sei mesi dopo lo spread tornò quasi a 500 punti, quella soglia fatidica che fece cadere il governo Berlusconi. Capiamoci subito, non è certo colpa solo di Monti, come non era colpa del solo Berlusconi. L'Europa sembra essere governata da inetti ed incapaci che hanno creato la crisi e disseminato il panico per 3 anni. E non sto parlando dei greci. L'ultima pantomima sulle banche spagnole è morta nell'arco di un mattino...leggi tutto l'articolo

martedì 12 giugno 2012

Gli aggiornamenti delle rubriche di Resistenza Internazionale, 12 giugno 2012

The City of London:
"Quali riforme per la Pubblica Amministrazione?"

La settimana scorsa si è nuovamente parlato di licenziamenti nel settore pubblico e di applicare anche alla PA la riforma del lavoro che abolisce l'articolo 18 per il resto dei lavoratori. Onestamente non si capisce perchè non dovrebbe essere così. Partendo dalla considerazione, più volte ripetuta su questo blog, che la riforma del mercato del lavoro non è solo inutile ma addirittura perniciosa, sarebbe comunque ridicolo che una sostanziale fetta di lavoratori godesse di un trattamento diverso rispetto agli altri...leggi tutto l'articolo


Berlinguer nel 2012


 28 anni dopo ha ancora senso ricordare Berlinguer? Ogni volta che cade l'anniversario sono sempre in tanti a cercare di appropriarsi della sua memoria. Magari ricordando la famosa intervista a Scalfari sulla corruzione del sistema dei partiti. Ma, come ricordava oggi Dino Greco, a quella intervista seguì un durissimo scontro politico nel PCI, che Berlinguer così concluse in Direzione:

“Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”.

E questo è il vero testamento politico di Berlinguer. In fondo questo testamento gli viene riconosciuto apertamente anche dal suo avversario di allora, Giorgio Napolitano, seppure sotto forma di critica. Pochi giorni fa, intervistato da Adam Michnik, così ha spiegato i limiti del PCI:

A mio avviso, il grande equivoco fu quello del carattere rivoluzionario del partito. Secondo questa visione mitica, il partito non poteva rinunciare all'idea di un'altra società, di un altro sistema. Berlinguer, che pure era profondamente legato a tutte le conquiste democratiche e che dimostrò di difenderle tenacemente quando esse, in Italia, erano in pericolo, riteneva che il Pci dovesse essere portatore di una idea (o di una utopia) di un diverso sistema economico e sociale, di un socialismo radicalmente alternativo al capitalismo".

Ecco, tutti quelli che ricordano Berlinguer, dovrebbero impararsi bene queste parole. Il partito di Berlinguer non poteva rinunciare all'idea di un'altra società. Un messaggio ancora attuale, 28 anni dopo.

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lunedì 11 giugno 2012

Che succede a sinistra?

Di Nicola Melloni

Tanto, nulla, o forse qualche cosa. L'incontro promosso dalla FIOM ha cercato di portare un pò di chiarezza su cosa sta succedendo a sinistra, ma potrebbe aver portato più confusione. Bersani aveva avuto il coraggio di accettare l'invito, che non è cosa da poco, ma si è presentato fresco di dichiarazioni a favore di una apertura al centro. Ed è stata subito bagarre con Di Pietro, mentre Vendola continua a fare il democristiano, sempre in equilibrio senza mai sbilanciarsi.
L'incontro della FIOM doveva servire a coordinare una base programmatica per definire una coalizione che rimettesse il lavoro al centro della politica nazionale. Ma certo non ci si poteva aspettare più di tanto da chi cerca l'alleanza con Casini e magari Montezemolo. E d'altronde una consistente parte del PD ha dei problemi con la CGIL, figuriamoci se è disposta ad ascoltare la FIOM. 
Il PD è un partito sostanzialmente moderato che pensa ad alcuni correttivi (ma quali? ancora non lo si è capito) al sistema economico neo-liberista che ha provocato la crisi, ma di sicuro non ambisce ad una alternativa di sistema. Certo non il partito del lavoro, per stare al tema promosso dalla FIOM.
Come avevamo già detto ci sarebbero però diverse forze politiche italiane con delle idee (o, almeno, delle parole) diverse, più radicali, più critiche verso il neo-liberismo e l'economia di mercato. La Federazione della Sinistra chiede di unire questa sinistra ma la risposta di Vendola è prospettare addirittura un soggetto politico comune con il PD. Legittimo per l'amor del cielo, ma bisognerebbe anche spiegare per fare cosa: appoggiare un nuovo Monti? Allearsi con Casini?
Il grande assente di questo gioco politico è dunque proprio quello che la FIOM chiedeva, il programma. La futura alleanza di governo si basa sulla partecipazione alle primarie e non su una visione comune di come uscire dalla crisi. Prima c'era almeno il collante dell'anti-berlusconismo, mentre oggi ci si divide tra chi appoggia e chi si oppone al governo.
In questa confusione il fatto che la FIOM abbia lanciato una sua iniziativa è positivo ma insufficiente, ed i risultati di quella giornata lo dimostrano. Se si vuole costruire un vero soggetto politico che rappresenti il lavoro è indispensabile che sia il sindacato, con il suo prestigio e la sua forza organizzativa, a giocare un ruolo da protagonista. Aspettare oltre, mentre nei palazzi del potere già si disegnano i futuri assetti politici ed economici, sarebbe un suicidio.


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Gelato all'IMU

Di Monica Bedana


Assaggiato. Amarissimo.
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venerdì 8 giugno 2012

L'uso politico degli Europei di calcio

Di Nicola Melloni


Oggi iniziano gli Europei di calcio in Polonia ed Ucraina. Mentre in Italia siamo presi dall'ennesimo scandalo del pallone nazionale, la politica europea si è inserita pesantemente nell'evento sportivo con costanti prese di distanza dal governo di Kiev accusato di non rispettare i diritti umani.
Facciamo un salto indietro, per capire meglio le circostanze che hanno portato a queste tensioni. Nel 2007 i due paesi dell'Europa dell'Est si videro assegnare l'organizzazione dell'Europeo 2012, battendo proprio la candidatura dell'Italia. Già allora si trattò di una scelta fortemente politica, di supporto all'Ucraina dell'allora Rivoluzione Arancione. Rivoluzione Arancione finita in un disastro poco dopo, con i cosiddetti democratici lacerati dalle divisioni e travolti dagli scandali ed infine sconfitti dall'attuale presidente Yanukovich. 
Il primo ministro ucraino nel 2007 era quella Yulia Timoshenko la cui recente incarcerazione è diventata il casus belli di questi Europei, con diversi governi del "Vecchio Continente" che dopo aver minacciato il boicottaggio si sono comunque dichiarati indisponibili a seguire le proprie squadre per non legittimare il governo di Kiev. Tralasciamo l'ovvia considerazione che i governanti europei avrebbero da fare qualcosa di molto più produttivo che seguire il calcio anche senza questi problemi politici e concentriamoci sul nocciolo del problema.
Si potrebbe pensare che l'Europa democratica - guidata nientemeno che dalla Germania - si sia rifiutata di sporcarsi le mani con un regime dalle credenziali quantomeno dubbie. Peccato che questo afflato democratico mal si concili con l'ipocrisia di fondo che lo ispira. Andiamo per ordine:
  1. Assegnare un evento sportivo di questa portata ad un paese che già nel 2007 era attraversato da una crisi politica dirompente è stato non solo un azzardo ma una manovra diplomatica per sostenere un governo amico. Inutile lamentarsi 5 anni dopo;
  2. Yulia Timoshenko non è in carcere per la sua fede politica ma per crimini comuni. Timoshenko è un'oligarca, una delle persone più ricche di Ucraina con giganteschi conflitti d'interesse e con una storia personale e politica dai contorni assai nebulosi. Se Berlusconi, tanto per fare un esempio, venisse condannato per evasione, riciclaggio o favoreggiamento della prostituzione, ci indigneremmo per uso politico della giustizia? 
  3. I segni di violenza sul corpo della Tymoshenko, che se confermati sarebbero uno scandalo, sono tutti da verificare. Ma ammettiamo pure che veramente Tymoshenko abbia subito violenze in carcere. Purtroppo non si tratterebbe di un caso isolato anche nella "civile" Europa. O vogliamo dimenticarci di Bolzaneto? O dimentichiamo il caso Cucchi? Solo meno di un mese fa una inchiesta del Corriere della Sera ha dimostrato l'allarmante livello di violenze ed abusi commessi nei carceri italiani, senza che questo abbia causato scandalo, nè tantomeno indignate reazioni politiche. E nessuno in Europa parla di boicottare l'Italia.
Il doppio standard usato dalle cancellerie occidentali risulta dunque davvero insopportabile, in particolare quando si usano temi importanti come la democrazia ed i diritti umani per fare pressioni politiche. Prima di dare lezioni di moralità politica sarebbe forse il caso di guardarsi prima in casa. Solo allora si potrà davvero essere credibili. 



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mercoledì 6 giugno 2012

la benzina tricolore

Di Simone Giovetti

Guardo il tg italiano.
Non lo faccio spesso, per fortuna.
E' uno schifo.

Il solito tema martellante, le elezioni anticipate. Il ritornello "elezioni non prima del 2013" suona ormai cosi vuoto, cosi' falso, che fa rabbia. Perché oramai é ovvio, 'sta gente qui non sa più governare, non lo merita neanche. Siamo poco meno che una dittatura. Una democrazia a metà, in realtà la prova tangibile che la democrazia non esiste più, che è una falsità. Tutti noi ne siamo una prova.
I partiti non sono in grado di governare con coraggio e competenza. Le leggi che sarebbero necessarie per migliorare il sistema non vengono fatte perché ci vuole ben altro che leggi. Ci vuole un terremoto.

Forse il terremoto è un segnale per dire che l'Italia non dovrebbe esistere cosi' com'é. Forse é veramente il modello del Trentino che ci vuole per noi. Lo dico, non alla leghista, ma lo dico. Non c'é niente, solo il vuoto. Prendi i sette od otto cosiddetti leader che vedi in tv, al telegiornale. Prendi i sei o sette opinionisti, giornalisti, comici. A questi aggiungici una valaga di mafiosi, di più o meno mafiosi e fai l'Italia.
Poi c'é il resto.
La brava gente che lavora, nonostante tutto. Che ha valori nobili, sani. Che si tira su, nonostante tutto questo. Che anche se non ci crede più, all'Italia, neanche alla Nazionale il cui capitano, pure, butta i suoi soldi dalla finestra sperando che si moltiplichino. Gli italiani non credono più all'Italia. E mi sa che fanno bene. Solo che il vuoto é peggio. Qualcuno direbbe se un buco lo si riempe con della merda, c'é puzza, ma poi ,forse, la terra diventa fertile e pure ci si puo' coltivare della roba. Se pero' il buco lo riempi di vuoto, allora sopra non ci puoi costrire niente.
Ma come ne usciamo da sta roba?

Con Casini, che dio lo fulmini. Con Bersani, poveretto...le immagini che lo riprendono in primo piano con dietro D'Alema che chiacchera con la mano davanti alla bocca per far si che le sue parole non si leggano; Di Pietro, dio oono mi sembra un matto. Poi Fini, Alfano quell'altro fascista di La Russa, sembrano usciti da un fumetto sbagliato, usciti da uno strano incubo. Vendola. Uno potrebbe pensare "per fortuna c'é lui"... poi, dopo, quando parla, lo intevistano e guardi quello che fa come si muove, ti viene freddo alle braccia perché anche lui coltiva quest'immaginine dell'uomo forte che ci salverà , che é quella di Mussolini quella di uno Stato armato pronto ad organizzare colpi di Stato, falsi processi e vere bombe pur di non lasciarla fare da sola questa democrazia.

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martedì 5 giugno 2012

Gentile Signor Terremoto...

Abbiamo ricevuto questa lettera dalla provincia di Modena, che con piacere pubblichiamo.

Gentile Sig. Terremoto, 
c'è una cosa che non hai capito della mia terra, ora te la racconto:
Per chiamarci non basta una parola sola : Emilia Romagna, Emiliano Romagnoli, ce ne vogliono almeno due; e anche un trattino per unirle, e poi non bastano neanche quelle.
Perché siamo tante cose, tutte insieme e tutte diverse, un inverno continentale, con un freddo che ti ghiaccia il respiro, e una estate tropicale che ti scioglie la testa, e a volte tutto insieme come diceva Pierpaolo Pasolini, capaci di avere un inverno con il sole e la neve, pianure che si perdono piatte all’orizzonte, e montagne fra le più alte d’Italia, la terra e l’acqua che si fondono alle foci dei fiumi in un paesaggio che sembra di essere alla fine del mondo.
Città d’arte e distretti industriali, le spiagge delle riviere che pulsano sia di giorno che di notte, e spesso soltanto una strada o una ferrovia a separare tutto questo; e noi le viviamo tutte queste cose, nello stesso momento, perché siamo gente che lavora a Bologna, dorme a Modena, e va a ballare a Rimini come diceva Pier Vittorio Tondelli, e tutto ci sembra comunque la stessa città che si chiama Emilia Romagna.
Siamo tante cose, tutte diverse e tutte insieme, per esempio siamo una regione nel cuore dell’Italia, quasi al centro dell’Italia, eppure siamo una regione di frontiera, siamo anche noi un trattino, una cerniera fra il nord e il sud, e se dal nord al sud vuoi andare e viceversa devi passare per forza da qui, dall’Emilia Romagna, e come tutti i posti di frontiera, qualcosa dà ma qualcosa prende a chi passa, e soprattutto a chi resta, ad esempio a chi è venuto qui per studiare a lavorare oppure a divertirsi e poi ha decido di rimanerci tutta la vita… in questa terra che non è soltanto un luogo, un posto fisico dove stare, ma è soprattutto un modo di fare e vedere le cose.
Perché ad esempio qui la terra prende forma e diventa vasi e piastrelle di ceramica, la campagna diventa prodotto, e anche la notte e il mare diventano divertimento, diventano industria, qui si va, veloci come le strade che attraversano la regione, così dritte che sembrano tirate con il righello.
E si fa per avere certo, anche per essere, ma si fa soprattutto per stare, per stare meglio, gli asili, le biblioteche, gli ospedali, le macchine e le moto più belle del mondo.
In nessun altro posto al mondo la gente parla così tanto a tavola di quello che mangia, lo racconta, ci litiga, l’aceto balsamico, il ripieno dei tortellini, la cottura dei gnocchini fritti e della piadina e mica solo questo, sono più di 4000 le ricette depositate in emilia romagna; ecco, la gente studia quello che mangia, perché ogni cosa, anche la più terrena, anche il cibo, anche il maiale diventa filosofia, ma non resta lassù per aria, poi la si mangia. se in tutti i posti del mondo i cervelli si incontrano e dialogano nei salotti, da noi invece lo si fa in cucina, perché siamo gente che parla, che discute, che litiga, gente che a stare zitta proprio non ci sa stare, allora ci mettiamo insieme per farci sentire, fondiamo associazioni, comitati, cooperative, consorzi, movimenti, per fare le cose insieme, spesso come un motore che batte a quattro tempi, con una testa che sogna cose fantastiche, però con le mani che davvero ci arrivano a fare quelle cose li, e quello che resta da fare va bene, diventa un altro sogno.
A Volte ci riusciamo a volte no, perché tante cose spesso vogliono dire tante contraddizioni. Che spesso non si fondono per niente, al contrario non ci stanno proprio, però convivono sempre.
Tante cose tutte diverse, tutte insieme, perché questa è una regione che per raccontarla un nome solo non basta.
Ora ti ho raccontato quello che siamo, non credere di farmi o farci paura con due giri di mazurca facendo ballare la nostra terra, io questa terra l’amo e come mi ha detto una persona di Mirandola poche ore fa… questa è la mia casa e io non l’abbandonerò mai.Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

lunedì 4 giugno 2012

Perché l'edificio europeo scricchiola

Di Nicola Melloni

In Europa, la gestione autoritaria e antidemocratica della crisi economica ha generato una crisi di legittimità delle istituzioni nazionali e continentali
Le elezioni che si sono svolte in vari paesi europei nelle ultime settimane hanno mandato segnali molto precisi seppure, a volte, contrastanti. Un po’ ovunque sono stati puniti i governi in carica, e questa non è una sorpresa – da sempre, quando l’economia è in recessione o stagnante gli elettori tendono a premiare le opposizioni. Come avrebbe detto Clinton: it’s the economy, stupid! E in questa ottica si potrebbero valutare i successi di Hollande in Francia e la batosta della CDU nelle elezioni regionali tedesche.
In realtà, però, sarebbe una spiegazione riduttiva. Non ci troviamo di fronte a un normale ciclo elettorale-economico. La crisi sta sconvolgendo la natura stessa dell’Unione europea e, soprattutto, del contratto sociale che ha governato il continente dalla fine della Seconda guerra mondiale. Lo stesso Draghi lo ha ribadito a più riprese, sostenendo che il modello sociale europeo era ormai obsoleto[i].
Quel modello però era ed è la base del capitalismo democratico nato dalle ceneri del fascismo e della grande crisi del ’29. Un compromesso tra capitale e lavoro sviluppatosi a seguito di precise dinamiche sociali ed eventi storici che Draghi sembra ignorare. Tra le due grandi guerre del XX secolo, l’instabilità del capitalismo e le politiche liberali contribuirono fortemente alla destabilizzazione delle società occidentali, una situazione ben compresa sia da Roosevelt sia da Keynes quando ri-organizzarono il capitalismo americano e poi quello europeo sulla base di un nuovo patto politico, economico e sociale. L’entrata prepotente delle masse popolari nella storia, a partire soprattutto dalla Rivoluzione d’Ottobre, aveva reso chiaro che non era più possibile continuare a privilegiare a qualunque costo gli interessi economici del capitale.
Il Gold Standard, il sistema monetario internazionale che aveva caratterizzato il boom economico tra Ottocento e Novecento, non solo non era compatibile con l’esistenza degli stati nazionali democratici, ma metteva a rischio la sopravvivenza stessa del capitalismo. Fino a quel momento, la recessione portava a disoccupazione di massa e tensioni sociali, gli squilibri erano aggiustati diminuendo il livello dei salari e le condizioni di vita dei lavoratori. Ma con la rivoluzione alle porte e la reazione che portò alle guerre, i diritti di proprietà dei capitalisti venivano messi a rischio mentre la pauperizzazione dei lavoratori portava a quelle crisi di sovrapproduzione che già Marx aveva ben anticipato. E dunque ecco il compromesso alla base del modello sociale europeo che coniugava capitalismo e democrazia: proprietà privata protetta ma politica economica che puntava alla piena occupazione e comunque con un occhio di riguardo per le dinamiche economiche e sociali interne.
Come ben sappiamo questo modello è andato erodendosi nel corso degli ultimi trent’anni. Passo a passo ha lasciato spazio a una nuova ortodossia, quella del Washington Consensus, basata sui programmi di aggiustamento strutturali del Fondo monetario internazionale, in cui nuovamente la politica interna veniva sospesa per favorire gli interessi del mercato. Era però una realtà lontana da noi, che ci toccava solo dal punto di vista morale e che non capivamo finché non l’abbiamo toccata con mano.
L’avvento dell’Euro, infatti, ha svuotato gli Stati democratici di moltissimi dei loro poteri, dal battere moneta alla gestione indipendente della politica fiscale. Negli anni (relativamente) grassi, questo non è stato un problema, ma lo è diventato ovviamente ora, sulla spinta della crisi finanziaria. Che però, appunto, è diventata crisi di sistema. L’austerity prevede che i cittadini ed i lavoratori non siano più protetti dai loro governi che si devono invece concentrare solo sui conti pubblici – la stessa dinamica che caratterizzò la prima parte del XX secolo.
Le conseguenze politiche, elettorali e sociali di quel periodo sono state variamente studiate nel passato ma stanno ritornando prepotentemente al centro del dibattito accademico. Come noto, la Grande Depressione ebbe tra i suoi effetti più devastanti la crescita esponenziale di movimenti fascisti in quasi tutta Europa, una relazione causale ultimamente provata da Eichengreen e Bromhead[ii]. Studiando i risultati presentati dai due economisti si può sostenere che, nonostante le crisi non portino necessariamente al sovvertimento dei regimi democratici, influiscono però in maniera decisiva nella crescita di movimenti politici anti-sistemici, soprattutto se di estrema destra.
Ma le crisi economiche non sono la sola causa dei problemi della democrazia. Ponticelli e Voth[iii] hanno recentemente studiato la relazione tra austerity e rivolte sociali e scoperto che manifestazioni, scioperi ma anche assassinii politici e tentativi rivoluzionari aumentano esponenzialmente quando i governi tagliano le spese. In breve, la coesione sociale è funzione inversa del livello di spesa pubblica, soprattutto nei periodi di crisi.
Quel che più preoccupa è che, con tutti i distinguo del caso, l’Europa attuale non sembra aver fatto tesoro degli errori del passato[iv]. E le conseguenze, non a caso, ricordano, in sedicesimo per ora, quelle già viste in precedenza. Il dato che più salta all’occhio è la crescente sfiducia nelle istituzioni pubbliche e nei meccanismi di rappresentanza.
Se guardiamo i risultati elettorali dell’ultimo mese, appare chiaro che in quasi tutto il Vecchio Continente gli elettori hanno disertato le urne convinti che il loro voto sia ormai inutile e che le democrazie abbiano poco potere nei confronti del mercato. Tra chi invece si è preso la briga di andare a votare, i risultati migliori li hanno presi partiti dichiaratamente ostili al modello di Europa organizzato da Draghi e Merkel. I partiti tradizionali e in particolare quelli pro-austerity sono usciti dalla tornata elettorale semi-distrutti. Il caso eclatante, ovviamente, è quello greco, dove Pasok e Nuova Democrazia raccolgono a stento un terzo dell’elettorato. Ma anche in Italia, il Pdl è sparito ed il Pd vince elettoralmente, ma diminuendo il numero assoluto di voti e politicamente è messo all’angolo in tutti i comuni principali. E pure Sarkozy, Merkel e Cameron sono battuti su tutta la linea.
I vincitori chiaramente cambiano da paese a paese, in linea pure con le diverse situazioni economiche e con i diversi sistemi politici. In Germania e Francia, i paesi tuttora più benestanti, la spuntano partiti socialisti e socialdemocratici molto critici della politica economica europea. Ma i veri trionfatori sono Le Pen da una parte e i Pirati dall’altra. Fenomeni che non possono essere confusi ma che in comune hanno un rigetto profondo della politica “del Palazzo” e una critica radicale del sistema, su basi reazionarie o semi-anarcoidi.
Mentre in Italia la vittoria è chiaramente del Movimento 5 Stelle che basa la sua campagna sul rifiuto totale del sistema dei partiti e su una critica spietata dell’Unione europea e dell’euro, di cui ci si augura addirittura la scomparsa. E intanto nel nostro paese cresce la tensione sociale con attacchi sempre più numerosi ad Equitalia, eretta a simbolo e capro espiatorio di uno Stato non solo assente ma pure opprimente. Movimenti tra loro diversissimi, dunque, ma che attirano la simpatia ed il voto di chi ha perso ormai totalmente fiducia nel sistema istituzionale che così male sta governando l’Europa.
Il caso greco è, ovviamente, un poco diverso. In quel paese l’austerity ha colpito assai più duramente che altrove ed ecco allora che le risposte si fanno più aggressive. L’affermazione di Syriza è la vittoria di un partito di sinistra radicale che non rifiuta l’euro ma non è disposto a sacrificare la Grecia e la sua economia sull’altare della moneta unica. Nel frattempo però si fanno largo pure movimenti neo-nazisti che acquistano forza tra le fasce più disperate ed all’interno di polizia e forze armate.
In generale si può dunque concludere che l’assurda gestione della crisi economica sta portando a un’altra crisi, forse ancora più grave, una crisi di legittimità sia delle istituzioni nazionali, viste come inette ed incapaci, sia di quelle europee, viste come oppressive quando non colonizzanti. La risposta politica data dagli Stati europei al collasso finanziario è stata di sapore autoritario e comunque poco democratico: governi tecnici, memorandum e lettere più o meno segrete. Stati che non sanno più parlare ai propri cittadini, che si preoccupano solo dello spread e delle banche. Ma uno Stato che non si occupa o che non sa occuparsi, poco cambia, dei bisogni dei suoi abitanti è l’anti-tesi della democrazia. E rischia dunque una deriva che potrebbe, molto in fretta divenire poco controllabile.

[i] Non a caso Draghi ha attaccato frontalmente il modello occupazionale europeo in una intervista al Wall Street Journal: http://www.ecb.int/press/key/date/2012/html/sp120224.en.html
[ii] de Bromhead A., E. Eichengreen (2012), Right Wing Political Extremism in the Great Depression, University of Oxford, Discussion Paper in Economic and Social History, 95 (February)
[iii] Ponticelli, J., Voth, H.J., (2011), Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2009, CEPR, Discussion Paper Series, 8513.
[iv] Apparentemente le lezioni del passato sono usate solo strumentalmente per fini politici, come la psicosi da iper-inflazione tedesca. Se è vero che l’impennata dei prezzi contribuì alla delegittimazione della Repubblica di Weimar è anche vero che fu la recessione post-29 a portare al potere i nazisti. Ed al momento il rischio in Europa è sicuramente la disoccupazione e non l’inflazione.

Il sito originale dell'articolo, "Sbilanciamoci"

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