La crisi del capitalismo occidentale, e non solo, ripropone con forza il
tema del disagio sociale, della protesta, della rivolta. Gli indignados
spagnoli hanno acceso la miccia di un movimento che ormai dilaga: in
Grecia è sciopero generale, in Cile una marea di studenti è in lotta
contro il governo, ora anche in America si scende in piazza, da Wall
Street fino alla California.
L'establishment politico ed economico,
ovviamente, già parla di anti-politica. Cittadini che protestano,
indignati, appunto, e ce l'hanno con tutto e con tutti. Qualunquisti,
forse. Potenziali criminali, addirittura, se dobbiamo basarci sulle
feroci repressioni dei governi. Tutte descrizioni di comodo per evitare
di fronteggiare la realtà. Il movimento degli indignados non è
anti-politico, è, anzi, intrinsecamente politico. Anti-politica, come
suggerisce Carlo Galli dalle colonne di Repubblica, è la tecnocrazia
degli organismi sovranazionali, del Fondo Monetario Internazionale,
della Banca Centrale Europea, della Ue. Anti-politica è quel modo di
concepire l'arte di governare come tecne, tecnica e competenza, la
politica intesa come scienza. E quindi una politica che non è mai scelta
tra due o più opzioni, ma piuttosto un processo meccanico di scelte
obbligate. E' la TINA - There Is No Alternative, non ci sono alternative
- di Margaret Thatcher, il motto sacro del neo-liberismo che svuota la
democrazia del suo potere decisionale. La politica diventa
amministrazione e l'economia politica sparisce, rimpiazzata, anche in
questo caso, dalla scienza, la scienza economica, quella che faceva dire
a Larry Summers (già ministro del Tesoro con Clinton e consigliere di
Obama): «Le leggi dell'economia sono come le leggi dell'ingegneria.
Funzionano ovunque». In fondo, sono i numeri a governare l'economia, e i
numeri non sono opinioni.
Anti-politica, soprattutto, è dunque il
capitalismo liberale, quello che non dà scelta: c'è la crisi, bisogna
salvare le banche. C'è la crisi, dovete pagarla voi. C'è la
globalizzazione, dovete diventare flessibili. C'è la Cina, i salari
devono essere abbassati. Fino ai piani di salvataggio imposti a governi e
parlamenti da oscure istituzioni che non rispondono a nessuno, se non
ai mercati. La verità, naturalmente, è tutt'altra. Dietro la tecnica, i
numeri, le scelte obbligate si nascondono rapporti di forza, rapporti di
produzione. Non esiste una politica neutra, non esiste una economia
neutra; tutto, come direbbe Marx, è economia politica. E dunque c'è
sempre una diversa scelta possibile. Solo che, in questi trent'anni, si
sono ostinati a negarla.
Proprio contro questa anti-politica, questa
impossibilità di scegliere, si sono ribellati gli indignados. Giovani,
studenti, lavoratori, che vogliono semplicemente riprendersi il loro
futuro. Le proteste a Wall Street, dunque, c'entrano in pieno il cuore
del problema, ed hanno identificato perfettamente l'obiettivo: non
Washington e la Casa Bianca, ma New York e Wall Street, il centro
dell'impero dell'anti-politica, quel mercato che non vuole bastoni tra
le ruote ma che controlla con morsa d'acciaio presidenti e parlamenti.
No, gli indignados di Wall Street non sono assimilabili alle proteste
anti-stato dei Tea Party, come invece prova a spiegare Zucconi. Sono
l'esatto contrario, chiedono più politica e non meno politica. Chiedono
una politica nuova che se ancora non è rivoluzionaria e palingenetica è
comunque di rottura, di cambiamento epocale. E' il risveglio del lavoro,
del fattore umano mortificato al rango di merce dal capitalismo, ma che
merce non è, perché ha una sua soggettività ed una sua coscienza.
Sono
proprio le contraddizioni del capitalismo a far riemergere questa
soggettività, per decenni sopita. Una soggettività vecchia di secoli ma
al tempo stesso nuova, figlia proprio della globalizzazione
neo-liberale. E dunque, in questa globalizzazione, ci troviamo di fronte
ad un movimento globale, internazionalista nel suo senso più puro
perché la crisi attuale è la crisi di tutto l'Occidente capitalista, di
tutto un sistema di produzione che non ha confini. Già Marx,
centocinquanta anni fa, parlava di proletari di tutto il mondo. Poi le
Guerre Mondiali e la crisi del '29 avevano portato alla formazione di
economie nazionali con problemi e dinamiche non sempre convergenti,
superate però oramai dall'emergere della globalizzazione capitalista. Ed
è in questo nuovo scenario che la sinistra deve trovare il suo campo di
battaglia, pensando a forme nuove di organizzazione e collegamento tra
movimenti che, fondamentalmente, chiedono tutti il superamento
dell'anti-politica liberista.
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