mercoledì 18 aprile 2012

NO ALL'IMBROGLIO SULL'ARTICOLO 18 - I PARERI


continuiamo a divulgare materiale fuori dal coro sulla modifica dell'articolo 18, pubblicando un altro articolo di un giuslavorista che analizza le conseguenze della riforma del lavoro.

Per aderire all'appello:



di Franco Focareta

Le ragioni che mi spingono a dare un giudizio drasticamente negativo della ipotesi i di “riforma” dell’art. 18 sono le seguenti.      
Quello che si contrabbanda come la conservazione del principio della reintegra nel caso di accertata illegittimità del licenziamento per motivi economici, in realtà è il risultato di una sofisticata operazione chirurgica che si è avvalsa, questa volta, sicuramente della perizia tecnica
. Operazione che non solo trasforma la possibilità di reintegra in  evento assolutamente eccezionale, come lo sono oggi i licenziamenti dichiarati nulli per motivo discriminatorio, ma che addirittura porterà al fatto che il lavoratore nella maggior parte dei casi non avrà più l’interesse ad agire in giudizio per l’accertamento della illegittimità del licenziamento.
Non è vero che è stato importato il modello tedesco,   per il quale il giudice, di fronte alla accertata illegittimità del licenzia,  decide, in base ad una sua valutazione, se ordinare la reintegra o un mero risarcimento del danno. Quello che viene fuori dal disegno di legge è una furbesca interpretazione di quel modello fatta con la perizia di navigati consulenti aziendali che conoscono bene la giurisprudenza in tema di licenziamenti, e conoscendola bene hanno toccato quei tasti che porteranno a scongiurare la reintegra per tutti i licenziamenti motivati da ragioni economiche, salve qualche  rarissimo caso di licenziamento assolutamente maldestro.  
La norma prevede la possibilità, non certo il diritto certo, per il giudice di scegliere tra reintegra e mero risarcimento solo in presenza di “manifesta insussistenza” delle ragioni economiche poste a base del licenziamento, proseguendo poi con la previsione che nelle altre ipotesi, in giudice pure accerta che non ricorre comunque la giustificazione obiettiva addotta dal datore di lavoro, vi sara solo il risarcimento del danno.
Orbene, come sa chiunque calchi le scene delle aule giudiziarie, è rarissima l’ipotesi in cui un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il c.d. licenziamento individuale per  ragioni economiche, venga annullato per “assoluta insussistenza” della ragione economica o organizzativa addotta. Nessun datore di lavoro, soprattutto nell’ambito delle aziende cui si applica l’art. 18, si avventura in un licenziamento, sapendo che quasi sicuramente verrà impugnato, senza addurre qualche concreta motivazione economica, che poi sarà in grado di provare in giudizio: un aridizione di fatturato; una riorganizzazione magari inscenata per l’occasione, una ridefinizione ed accorpamenti di mansioni, sempre reversibile, ecc. Insomma, mai il datore di lavoro si presenta davanti al giudice senza uno straccio di prova di un qualche dato produttivo oggettivo.
I licenziamenti vengono annullati, sempre, non perché sono assolutamente insussistenti le ragioni economiche addotte, ma perché le stesse non sono considerate sufficienti a giustificare un licenziamento, in un giudizio di bilanciamento di interessi che vuole la soluzione del  licenziamento come una extrema ratio; perché il datore di lavoro non ha dimostrato che il lavoratore, il cui posto magari è stato effettivamente soppresso, non può essere adibito ad altre mansioni; perché il datore di lavoro non ha rispettato criteri obiettivi di scelta, richiesti dalla giurisprudenza anche per i licenziamenti individuali. Bene, oggi in tutti questi casi il licenziamento verrebbe dichiarato sempre illegittimo, ma senza la possibilità per il giudice di scegliere tra reintegra e risarcimento.
Anche nel rarissimo caso in cui il giudice dovesse accertare la assoluta insussistenza della motivazione addotta, ci sarebbe solo la facoltà, non l’obbligo, per il giudice di ordinare la reintegra. IL che rende la reintegra più che un evento eccezionale un vero e proprio miraggio per il lavoratore.
Proprio perchè si tratta di un miraggio, e considerato che anche il risarcimento del danno e fortemente limitato rispetto alla disciplina attuale, non solo perchè è previsto un limite massimo di soli 24 mensilità ma anche per i criteri indicati per la sua concreta determinazione, il lavoratore sarà indotto, ad accettare qualsiasi offerta transattiva che non sia insignificante, diciamo che con un offerta di 10-12 mensilità per il lavoratore sarà difficile dire di no,considerato che facendo la causa e vincendola, dopo qualche anno non troverebbe sicuramente la reintegra ma solo un risarcimento di poco superiore.
A spingere il lavoratore in questa direzione vi sarà poi la apposita procedura di conciliazione, nella quale il rifiuto di una eventuale proposta conciliativa diverrà motivo di penalizzazione per il lavoratore nel corso dell’eventuale giudizio; sia ai fini della condanna alle spese di giudizio sia per la determinazione dello stesso risarcimento del danno.
Un bel regalo alle aziende che potranno liberarsi di lavoratori scomodi o troppo costosi, mettendo a bilancio un modesto costo, al massimo un anno di retribuzione, senza affrontare neanche le cause. Costo facilmente recuperabile magari assumendo dopo in pò un apprendista; così anche il modesto costo viene addossato allo stato con la mancata contribuzione.
Il tutto è reso ancora più preoccupante se si pone attenzione che la disciplina rende anche più facili i licenziamenti collettivi. Anche qui nel caso di violazione delle procedure, non ci sarà più la sanzione della reintegra. Si rammenta che nei licenziamenti collettivi il controllo del giudice si limita appunto ai vizi procedurali. Anche questo controllo viene quindi depotenziato.  


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