E' trascorso un anno da quando buona parte della sinistra radicale basca rese pubblico l'accordo di Gernika, che determinava la possibilità di incanalare il conflitto politico e la confrontazione violenta verso uno scenario di pace e soluzioni democratiche. In altri termini, iniziava a prender forma la possibilità di rinuncia dell'ETA alle armi. Nel documento si annunciava una tregua permanente della lotta armata da parte dell'ETA, unilaterale e verificabile dalla comunità internazionale. Il Governo di Zapatero, impegnato a fondo fino a dicembre del 2006 in un dialogo con ETA -che saltò per aria nell'attentato dell'aeroporto di Barajas insieme alla precedente dichiarazione di “tregua permanente della lotta armata”-, non battè ciglio davanti agli accordi di Gernika. La conferma ufficiale della tregua arrivò quattro mesi dopo e tutte le forze politiche, all'unanimità, sia nel Governo nazionale che in quello basco, la ritennero deludente e insufficiente, in quanto non vi compariva l'attesa rinuncia definitiva alle armi.
Un anno dopo, quella stessa sinistra abertzale governa in 116 comuni dei Paesi Baschi dopo le amministrative dello scorso maggio e aspetta una conferma, da parte della società basca, di questo risultato nelle prossime elezioni generali del 20 novembre. E un anno dopo l'accordo di Gernika arriva anche, tramite comunicato ufficiale, la notizia che la maggioranza dei detenuti dell'ETA sottoscrive l'accordo e rinuncia alla soluzione armata per appoggiare la via della politica.
Anche in questo caso il Governo, scaduto tecnicamente qualche giorno fa in termini di legislatura, non batte ciglio o quasi, limitandosi a definire il fatto come “inedito”. La società spagnola e quella basca tuttavia non possono rimanere indifferenti alla portata di questa notizia, per l'enorme importanza che i detenuti dell'ETA hanno sempre avuto nello scacchiere delle relazioni tra Governo e banda armata. E i detenuti, pur nella loro diaspora nelle carceri spagnole più lontane dai Paesi Baschi e nel loro regime speciale di detenzione, diventano ora, di fatto, il più poderoso portavoce a reclamare all'ETA non solo la rinuncia definitiva alle armi e la scelta della via politica ma anche, finalmente, la necessità riconoscere, riconciliare e riparare tutte le vittime, di iniziare quindi a cicatrizzare le profonde ferite di questa società.
Si spera che anche il prossimo Governo, di qualsiasi segno esso sia, dimostri di avere sempre, come negli ultimi sette anni, non solo un “piano B” sulla questione basca e sull'ETA, ma anche la stessa, profonda capacità di interpretazione delle aspirazioni di una società che esige da tempo, a tutte le parti in causa, la riconciliazione in un pulito ambito democratico. Una soluzione che rispetti ogni vittima e che tuteli un'identità storica indiscutibile.
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