Il fallimento del piano di salvataggio della Grecia è ormai sotto gli occhi di tutti. Eravamo stati facili profeti quando dicevamo che l'austerity ed i tagli non avrebbero salvato Atene e che i problemi si sarebbero solamente ripresentati poco tempo dopo, in forma ancor più grave. Ora anche il commissario europeo greco Maria Damanaki parla apertamente della possibile uscita del suo paese dall'euro. Ed i mercati internazionali danno per scontato il default greco, richiedendo tassi di interesse che ormai hanno toccato il 25% sul debito pubblico a due anni. L'Europa si trova davanti al dilemma su cosa fare. Soprattutto in Germania l'opinione pubblica sembra decisamente contraria a fornire ulteriori aiuti all'economia greca. Si tratta però di una idea distorta di quello che sta succedendo. I soldi tedeschi dati alla Grecia non servono per salvare i lavoratori greci o a far riprendere l'economia ellenica, ma per impedire l'insolvibilità dello Stato greco, il cui debito è detenuto dalle grandi banche europee, soprattutto tedesche. Si tratta, a onor del vero, di uno schema già visto in passato. Gli interventi del Fmi negli anni 90, in Messico, Asia e Russia erano soprattutto mirati ad evitare che le crisi finanziarie dei paesi in via di sviluppo si trasformassero in crisi bancarie in Occidente, con gli istituti finanziari sovraesposti nei mercati emergenti. Ora lo schema si sta ripetendo in Grecia, per salvare le banche tedesche ed europee.
Si tratta dunque in realtà di un altro bail-out, come già nel 2007-2008. Per i governi europei è assolutamente impensabile lasciar fallire le grandi banche, e con buone ragioni. Abbiamo visto cosa è successo sui mercati internazionali per il fallimento di Lehman Brothers e la recessione globale che ne è seguita. Ora l'Europa si trova in una situazione fondamentalmente identica - non possiamo permettere il fallimento greco perchè non abbiamo la minima idea di cosa potrebbe succedere alle nostre banche e queli sarebbero le conseguenze per gli altri paesi europei in difficoltà ed infine per l'intera area euro.
Il punto non è semplicemente che i governi europei sono in mano ad una oligarchia finanzaria, anche se sicuramente i banchieri hanno un peso politico assolutamente sproporzionato. La questione vera è che la finanza così come si è andata trasformando negli ultimi 30 anni tiene in mano l'intero sistema economico occidentale. Il fallimento bancario vuol dire mettere a rischio i conti correnti dei cittadini, bloccare la produzione, e di conseguenza licenziamenti e recessione. I liberisti classici chiedono ora che si lasci fallire la Grecia, ed anche le banche, perchè solo attraverso il fallimento il mercato corregge i suoi errori - anzi è proprio l'intervento pubblico di salvataggio a rendere le cose più complicate. Cose simili si dicevano prima di lasciar fallire Lehman, cose simili fece il Presidente americano Hoover nel 1929. La realtà però è che le crisi economiche non si risolvono semplicemente attraverso il fallimento e la "distruzione creativa" di Schumpeteriana memoria. La "distruzione creativa" si applica alle economie capitaliste in fase espansiva, ma le crisi hanno una dinamica diversa, si avvitano su sè stesse, diminuisce la liquidità e la volontà di investire, le imprese chiudono e licenziano i consumi si abbassano disincentivando ulteriormente la produzione. Dal punto di vista politico, inoltre, la crisi, come sappiamo, ha dei costi intollerabili. Paradossalmente per la Grecia il fallimento potrebbe essere una svolta positiva (nel medio periodo), ma le conseguenze per il resto dell'Europa sarebbe fatali.
Bisogna dunque capire le ragioni profonde di questa crisi che vanno cercate nella struttura istituzionale del capitalismo neo-liberale. E' necessario innanzitutto intervenire sulle banche ed evitare che siano troppo grandi per fallire e mettano sotto ricatto politica ed economia - una riforma che era in cima all'agenda post-crisi ma che è stata invece presto accantonata. Gli interventi dei governi occidentali non hanno risolto la crisi ma solo trasferito il debito dal settore privato a quello pubblico, il cui fallimento però si ripercuoterebbe nuovamente sul mercato bancario e da quello sull'intera popolazione. Sostenere che basti la mano invisibile del mercato a rimettere a posto le cose significa non vedere le conseguenze generali del default. I governi occidentali, da Obama a quelli europei, si sono fino ad ora impegnati solamente nel salvataggio delle banche, cercando di rimettere a posto un meccanismo di crescita che si credeva soltanto inceppato. La vera questione, invece, è cambiare radicalmente un sistema che non può essere più aggiustato.
Si tratta dunque in realtà di un altro bail-out, come già nel 2007-2008. Per i governi europei è assolutamente impensabile lasciar fallire le grandi banche, e con buone ragioni. Abbiamo visto cosa è successo sui mercati internazionali per il fallimento di Lehman Brothers e la recessione globale che ne è seguita. Ora l'Europa si trova in una situazione fondamentalmente identica - non possiamo permettere il fallimento greco perchè non abbiamo la minima idea di cosa potrebbe succedere alle nostre banche e queli sarebbero le conseguenze per gli altri paesi europei in difficoltà ed infine per l'intera area euro.
Il punto non è semplicemente che i governi europei sono in mano ad una oligarchia finanzaria, anche se sicuramente i banchieri hanno un peso politico assolutamente sproporzionato. La questione vera è che la finanza così come si è andata trasformando negli ultimi 30 anni tiene in mano l'intero sistema economico occidentale. Il fallimento bancario vuol dire mettere a rischio i conti correnti dei cittadini, bloccare la produzione, e di conseguenza licenziamenti e recessione. I liberisti classici chiedono ora che si lasci fallire la Grecia, ed anche le banche, perchè solo attraverso il fallimento il mercato corregge i suoi errori - anzi è proprio l'intervento pubblico di salvataggio a rendere le cose più complicate. Cose simili si dicevano prima di lasciar fallire Lehman, cose simili fece il Presidente americano Hoover nel 1929. La realtà però è che le crisi economiche non si risolvono semplicemente attraverso il fallimento e la "distruzione creativa" di Schumpeteriana memoria. La "distruzione creativa" si applica alle economie capitaliste in fase espansiva, ma le crisi hanno una dinamica diversa, si avvitano su sè stesse, diminuisce la liquidità e la volontà di investire, le imprese chiudono e licenziano i consumi si abbassano disincentivando ulteriormente la produzione. Dal punto di vista politico, inoltre, la crisi, come sappiamo, ha dei costi intollerabili. Paradossalmente per la Grecia il fallimento potrebbe essere una svolta positiva (nel medio periodo), ma le conseguenze per il resto dell'Europa sarebbe fatali.
Bisogna dunque capire le ragioni profonde di questa crisi che vanno cercate nella struttura istituzionale del capitalismo neo-liberale. E' necessario innanzitutto intervenire sulle banche ed evitare che siano troppo grandi per fallire e mettano sotto ricatto politica ed economia - una riforma che era in cima all'agenda post-crisi ma che è stata invece presto accantonata. Gli interventi dei governi occidentali non hanno risolto la crisi ma solo trasferito il debito dal settore privato a quello pubblico, il cui fallimento però si ripercuoterebbe nuovamente sul mercato bancario e da quello sull'intera popolazione. Sostenere che basti la mano invisibile del mercato a rimettere a posto le cose significa non vedere le conseguenze generali del default. I governi occidentali, da Obama a quelli europei, si sono fino ad ora impegnati solamente nel salvataggio delle banche, cercando di rimettere a posto un meccanismo di crescita che si credeva soltanto inceppato. La vera questione, invece, è cambiare radicalmente un sistema che non può essere più aggiustato.
di Nicola Melloni
su Liberazione del 27/05/2011