giovedì 8 marzo 2012

Stato e Mercato (quarta parte):
Ferrovie britanniche: paga Pantalone.
Di Simone Rossi


Uno dei cavalli di battaglia delle classi dirigenti europee da trent'anni a questa parte è quello della liberalizzazione dei servizi al cittadino. I principali obiettivi dichiarati delle liberalizzazioni sono la riduzione dei costi, per le casse pubbliche e/o per gli utenti, ed il miglioramento dell'efficienza dei servizi offerti; obiettivi che, per i detrattori del modello privatistici, sono raggiunti pressoché automaticamente una volta lasciato il campo alla libertà di impresa ed alla concorrenza.
Il Regno Unito fu tra i primi Stati europei ad applicare massicciamente questo modello, durante i tre mandati di Margaret Thatcher come Primo Ministro a partire dal 1979. E non sempre le efficienze e le economie previste sono state ottenute.
La compagnia ferroviaria nazionale, British Rail, fu destinata a privatizzazione sotto il governo conservatore di John Major a metà anni '90, sebbene essa sia stata completata dopo l'avvento dei Laburisti, convertitisi al neoliberismo nel loro cammino verso la Terza Via. Il primo passo fu quello di separare in aziende distinte le infrastrutture dai servizi di trasporto. La rete nazionale fu poi spezzettata in aree, ciascuna delle quali è stata affidata, tramite bando, ad imprese private. Salvo che per le tratte più frequentate, la concorrenza tra privati si è vista solamente a livello delle gare per gli appalti, mentre gli utenti si trovano a dover usufruire dei servizi della compagnia concessionaria della tratta su cui viaggiano, senza aver la possibilità di scegliere il tipo di treno o tariffa preferito. Inoltre, il sistema dell'affidamento del servizio in base a principi di concorrenza è venuto meno nel momento in cui, ad un anno dal proprio insediamento, il nuovo Esecutivo ha prolungato la durata di gran parte delle concessioni, senza bando di gara, consentendo un rafforzamento della posizione degli operatori presenti e togliendo la possibilità a nuovi concorrenti di farsi avanti.
Neanche per quanto concerne le tariffe la liberalizzazione ha apportato benefici ai cittadini, dal momento che esse sono tra le più alte in Europa e subiscono incrementi annuali che in taluni casi superano il 10%. Senza contare che il numero di tariffe si è moltiplicato nel corso degli anni: ore di punta, ore non di punta, ore morte, solo andata, andata e ritorno in giornata, andata e ritorno in giorni differenti, acquisto in anticipo... Una miriade di tariffe che generando confusione, come denunciato da alcuni comitati di pendolari, cui presto potrebbe aggiungersi una super-tariffa per le ore di maggior traffico, che graverà pesantemente sulle tasche dei viaggiatori.
L'elevato costo dei biglietti, tuttavia, non ha riflessi positivi sulla qualità del servizio offerto, come può dedursi dall'esistenza di comitati ed associazioni che chiedono più puntualità, treni di capacità adeguata ai flussi o il mantenimento in attività di tratte che gli operatori considerano rami secchi. I disagi maggiori si verificano solitamente sulle linee meno redditizie, ma si è assistito a disservizi anche lungo le tratte principali in occasioni quali le nevicate degli inverni del 2010 e del 2011, abbondanti ma non certamente eccezionali a queste latitudini, quando migliaia di viaggiatori rimasero bloccati nelle stazioni e sui convogli, principalmente nell'Inghilterra meridionale.
Oltre alle ingenti somme raccolte con la riscossione delle tariffe, le compagnie concessionarie godono di rilevanti finanziamenti pubblici, come previsto dai bandi di concessione, che dovrebbero incentivare l'ammodernamento del servizio. Tuttavia, come messo in evidenza in più occasioni dal periodico satirico Private Eye, le compagnie lucrano su questi finanziamenti, ricorrendo a schemi che agli occhi del cittadino hanno il sapore di una truffa. Ad esempio, alcune concessionarie delle linee che collegano Londra al sud del Paese non provvedono all'acquisto diretto di nuovi convogli come previsto dai contratti di servizio, ma ricorrono al noleggio degli stessi, per tramite di compagnie che, però appartengono agli stessi gruppi delle concessionarie. Gli operatori del servizio ferroviario, quindi, possono proclamare di aver effettuato investimenti maggiori di quelli che richiederebbe un acquisto dei mezzi, presentando come costo un valore, quello pagato al locatore, che, in realtà, fa parte dello stesso gruppo del locatario. Quindi ciò che esce dalla porta rientra dalla finestra, ad ingrassare i dividendi degli azionisti.
Infine, nonostante il sistema di trasporto ferroviario sia gestito su principi privatistici, allo Stato va l'onere di sopperire alle carenze dei privati, pena l'interruzione del servizio pubblico. È quanto accaduto circa tre anni fa con National Express East Coast, azienda del colosso National Express e concessionaria dei servizi tra Londra e la Scozia, lungo la dorsale orientale. Affidataria del servizio nel 2007, dopo meno di due anni la compagnia fu nazionalizzata a fronte di difficoltà finanziarie, accollando al contribuente britannico il costo del fallimento del privato.
Alla luce di quanto descritto, ne consegue che, almeno per quanto concerne il trasporto pubblico, se l'idea alla base delle liberalizzazioni puó esser valida, nei fatti esse sono un modo per pompare denaro pubblico nelle case di pochi privati, oltre che per far gravare sui cittadini la remunerazione dell'investimento effettuato per queste attivit imprenditoriali che si vorrebbero private. Senza, per contro, dare la possibilità ai cittadini di esercitare un controllo e pressione sulle aziende concessionarie che rispondono ai propri azionisti prima che al pubblico, che vede ulteriormente gli spazi di democrazia e di controllo dal basso.

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Gli aggiornamenti delle rubriche, 8 marzo

La frase del giorno QUI
La rassegna stampa sulla FIOM e NO TAV QUI 
L'aggiornamento di City sulle donne e la finanza QUI


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Fornero, Severino, Cancellieri: donne che non mi somigliano
Di Monica Bedana

Non attribuite mai alla sottigliezza quello che è sufficientemente spiegato dalla stupidità.
Legge di Hanlon


Sono preparate, brillanti, determinate, si sono fatte da sè.
Rappresentano quanto di meglio si possa sperare di ottenere dalla vita lavorativa.
Eppure le osservo e non riesco a sentire sintonia di nessun tipo con loro, con le tre donne del governo Monti. Nei loro curriculum impeccabili di tecnici manca probabilmente quella caratteristica prettamente femminile che oggi, curiosamente, il mercato esige con forza al mondo del lavoro: la flessibilità. O, se ce l'hanno, non sanno esprimerla, tanto sono drastiche le loro dichiarazioni pubbliche su argomenti che toccano nel vivo larga parte del tessuto sociale.
Flessibilità non significa capacità di passare con disinvoltura dalle alte sfere del settore privato alla gestione dello Stato, come per Fornero e Severino; e nemmeno esercitare con perizia la funzione pubblica in varie mansioni e luoghi, come nel caso del ministro Cancellieri.

Nei tagli alla spesa pubblica non sono uguali gli effetti per gli uomini e per le donne, vale la pena di ricordarlo in un giorno come questo. Qualsiasi taglio a settori del pubblico impiego, come l'istruzione o la sanità, sarà più pesante per le donne, che vi sono in maggior numero occupate. Tagliare servizi sociali significa distruggere principalmente lavoro femminile e, al tempo stesso, togliere alle donne buona parte di quel supporto che necessitano nella cura della famiglia, gli anziani, la casa.
E in casa e solo in casa ci relegano poco a poco la precarietà, l'economia sommersa, il salario minore rispetto a quello maschile, il lavoro a tempo parziale incentivato in modo subdolo come unica via per concilare vita familiare e lavorativa, quando invece rappresenta minore remunerazione, meno pensione, inesistente carriera. In queste condizioni ci sarà impossibile aspirare alla traiettoria professionale di Anna Maria Cancellieri, per esempio, che dichiara senza pudore di aver scelto di lavorare “al contrario di tante signorine bene (me compresa) impegnate a costruirsi un futuro un po' limitato di madri di famiglia e di perfette casalinghe”. Lei 30 anni fa ha potuto scegliere, ministro; noi, nel XXI secolo, no.

La flessibilità che ci aspettiamo da quella donna, quel ministro, in procinto di operare scelte sul mondo del lavoro che sicuramente ci condizioneranno ulteriormente per generazioni, è di essere consapevole fino in fondo di quante donne stiano per gettare definitivamente la spugna in questo campo.

Buon 8 marzo.

P.S.: Donne che sí mi somigliano: le oltre 200 di Fiom, lavoratrici del gruppo Fiat, che hanno scritto QUESTA LETTERA al ministro Fornero sulle conseguenze per la donna dell'applicazione del nuovo contratto imposto dall'azienda.

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"Resistenza Internazionale" con le donne di Fiom per l'8 marzo:
la lettera di 200 lavoratrici Fiat alla ministra Fornero

Cara prof. Fornero,
ci rivolgiamo a lei nel doppio ruolo istituzionale di Ministra del Lavoro e delegata dal Presidente del Consiglio a coordinare le politiche di Pari Opportunità, siamo lavoratrici di varie aziende del gruppo Fiat e Fiat industrial a cui da gennaio 2012 viene applicato il cosiddetto “Contratto collettivo specifico di Lavoro di primo livello del 29 dicembre 2010” che pretende di sostituire ogni precedente accordo e contratto previgente nelle aziende Fiat ivi compreso il CCNL lavoratori Industria metalmeccanica privata.
“Contratto” che, come lei sa, è stato stipulato con associazioni sindacali rappresentative di una minoranza di lavoratori e lavoratrici del gruppo e contro il parere della Fiom Cgil, associazione sindacale di maggioranza in Fiat e a cui molte di noi aderiscono e nelle cui posizioni tutte ci riconosciamo. Ci teniamo a farle presente che ad oggi nessun sindacalista delle associazioni firmatarie ha mai chiesto il nostro parere sulle materie che andava a sottoscrivere e che nessuno ha inteso sottoporre al voto di lavoratrici e lavoratori le intese realizzate.
Per questo abbiamo condiviso la scelta di nostre compagne e compagni di lavoro di promuovere il Referendum abrogativo del cosiddetto “Contratto” perché quest’accordo ci toglie diritti e libertà fondamentali in un paese democratico e peggiora drammaticamente le condizioni di lavoro e di fatica per ciascuna/o di noi.
Ma noi donne abbiamo una ragione in più per voler cancellare quell’accordo, perché in esso sono contenute norme gravemente discriminatorie nei confronti di madri e padri, lesive della legislazione vigente e dei principi di parità, sanciti dalla Costituzione Italiana e riaffermati dalle normative europee. Infatti il “Premio straordinario 2012” pari a 600 euro lordi verrà erogato esclusivamente a chi avrà effettuato “nel periodo gennaio- giugno 2012 un numero di ore di effettiva prestazione lavorativa non inferiore a 870”.
Nel testo dell’accordo è chiaro che è esclusa dal computo delle ore di effettiva prestazione lavorativa ogni assenza/mancata prestazione lavorativa retribuita e non retribuita a qualsiasi titolo ivi comprese “le assenze la cui copertura è per legge e/o contratto parificata alla prestazione lavorativa”.
Detto in parole semplici ciò vuol dire che in Fiat qualsiasi assenza dovuta a maternità(ivi compreso il periodo di congedo obbligatorio e quello cosiddetto sotto ispettorato), le due ore di riposo per allattamento, congedi parentali, assenze per malattia figlio, permessi per legge 104, faranno perdere il diritto a percepire il premio 2012.( Sic!)
Sul Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, (che contiene il recepimento italiano della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e parità di trattamento tra donne e uomini) è scritto che in Italia è considerato discriminatorio “ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti” riteniamo quindi palesemente discriminatorio un accordo che nega l’erogazione del premio in ragione dell’esercizio da parte di lavoratrici e lavoratori dei diritti a tutela della maternità e a favore della conciliazione.Inoltre queste somme saranno detassate, secondo le normative introdotte dal suo predecessore Ministro Sacconi, contribuendo in tal modo ad allargare ulteriormente il differenziale salariale tra uomini e donne nelle nostre aziende.
Chiediamo a lei, per il doppio ruolo istituzionale di cui è investita, e alle Consigliere di Parità regionali
e provinciali competenti per i territori in cui sono dislocate le sedi di aziende del gruppo Fiat, di intervenire ad impedire che tale trattamento discriminatorio abbia luogo.
Lo riteniamo un atto dovuto non solo per noi e tutte le lavoratrici ( e qualche lavoratore) del gruppo Fiat e Fiat Industrial, ma anche perché un accordo così palesemente discriminatorio applicato nel maggiore gruppo industriale d’Italia non potrà che produrre un effetto negativo su tutta la contrattazione aziendale indicando che la produttività aziendale viene prima di tutto, contro e sopra ogni diritto di lavoratrici e lavoratori, facendo arretrare condizioni minime di civiltà, che già oggi vengono considerate come insufficienti per garantire nel nostro paese reale parità e pari dignità nel lavoro.
Le segnaliamo inoltre che il nuovo sistema degli orari, la metrica e la turnistica che viene adottata con il nuovo “Contratto “ determina un notevole peggioramento dei carichi di lavoro e dell’affaticamento sulle linee di produzione.
Nessuno - né della gerarchia aziendale, né dei sindacati che hanno sottoscritto quell’accordo - ci ha dimostrato che tali aggravi non avranno conseguenze negative sulla salute riproduttiva delle donne inserite nelle linee di montaggio.
Non ci risulta, infatti , che siano state condotte indagini con rilevanza scientifica sui riflessi dei nuovi ritmi e organizzazione del lavoro sulla fertilità femminile, sulla possibilità di portare a termine in modo regolare e sano le gravidanze e l’allattamento o sulle alterazioni , disfunzioni e patologie del ciclo mestruale e della menopausa, derivanti da tale sovraccarico di lavoro.
Le chiediamo quindi che in quanto delegata dal Presidente del Consiglio a coordinare le politiche di Pari Opportunità, si faccia promotrice di una commissione d’inchiesta indipendente che approfondisca sul piano scientifico i possibili rischi per la salute riproduttiva delle lavoratrici nel nuovo sistema degli orari e dei turni previsto dal “Contratto” Fiat e imposto a tutte/i noi.
Infine, per quanto sopra espresso, le chiediamo di poterla incontrare al fine di poterle illustrare in forma più articolata e documentata la nostra situazione e farle conoscere la Fiat a partire dalle concrete condizioni di lavoro e di vita delle operaie e delle impiegate che vi lavorano Le lavoratrici del gruppo Fiat / Fiat Industrial
SEGUONO 205 FIRME DI LAVORATRICI DEGLI STABILIMENTI:
FIAT CARROZZERIE MIRAFIORI - PRESSE MIRAFIORI - MECCANICHE MIRAFIORI (FIAT POWERTRAIN) - FIAT SERVICES
FIAT RICAMBI NONE VOLVERA - FIAT FGA (ENTI CENTRALI) - AUTOMOTIVE LIGHT VENARIA – FGA OAG -EX
BERTONE- di Torino
MAGNETI MARELLI di Corbetta , Milano
OFFICINE BRENNERO (IVECO) di Verona
MAGNETI MARELLI POWERTRAIN di Bologna e Crevalcore ( Bo)- CENTRO RICERCHE FIAT-Bologna
CNH ITALIA SPA – Stabilimenti di Jesi( AN) e Modena
FIAT AUTOMOBILES Spa di Cassino ( FR)
FIAT SEVEL di Atessa (CH)
FMA di Pratola Serra e IRISBUS di Flumeri (Av)
FIAT GROUP AUTOMOBILES POMIGLIANO - FIAT GROUP AUTOMOBILES - EX ELASIS - FIAT CENTER ITALIA - FIAT
POWERTRAIN TECHNOLOGIES S.P.A. POMIGLIANO di Napoli
FIAT POWERTRAIN di Termoli
FIAT SATA di Melfi


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