di Monica Bedana
Gli indignati, chi se ne ricorda più.
Su questo blog li abbiamo seguiti con costanza ed abbiamo assistito allo spettacolo di un
movimento ispirato e composto solo da cittadini -che dalla Spagna rimbalzò con forza nel
mondo intero- poi diluitosi nel nulla. A causa di quel desiderio di “purezza democratica” che
lo portava a non volersi infangare con la politica incapace, sorda e definitivamente “corrupta”
dei partiti. All’epoca del 15M Grillo teneva gli occhi puntati sulla Puerta del Sol e le altre piazze
spagnole.
La protesta e le proposte, un grande carico di energia rinnovatrice che avrebbe potuto, se
canalizzato in altro modo, cambiare il destino del Paese dopo Zapatero, si è evaporata senza
lasciare traccia attiva nella società che andasse oltre la vita di quartiere.
Ora il M5S, dopo la vittoria alle elezioni, ha nelle mani l’opportunità di incarnare di colpo tutto
lo spirito degli “indignados”, di catalizzarlo in quella serie di riforme urgentissime della politica
perfettamente condivisibili da tutta la sinistra di ogni dove. In nome del futuro dell’Italia, ma
anche della Spagna stessa, della Grecia derelitta e perfino degli States di “OccupyWallStreet”.
Non so se quella del rifiuto delle regole della democrazia da parte degli “indignados” fu
superbia o ingenuità; sicuramente il non “farsi partito” fu un tragico errore che consegnò il
Paese ad un PP che vinse le elezioni con uno scarto di 500mila voti sul PSOE che le aveva di
gran lunga perse. E nessuno dei due incarnava, incarna più le necessità impellenti della società
spagnola; esattamente come avviene in Italia.
Ingenuo, Grillo non è. Il Parlamento si può benissimo aprire come una scatoletta di tonno per
farcirlo poi di riforme che rilancino il Paese sulla strada dell’equità. Ma l’”iter” per farlo passa
inesorabilmente attraverso un atto di fiducia, quella che tutti i cittadini attendono, anche
quelli che non hanno votato per il M5S ma che godono degli stessi loro diritti democratici.
E il PD dell’ultima spiaggia tenga presente che minoranza di governo non deve essere sinonimo
di paralisi; il primo governo Zapatero, di minoranza, approvò una lunga serie di luminose
riforme sociali. Mentre SEL, con la sua forza dialogante, si rimetta in gioco facendo da “trait-
d’union” e moderatore di chi, al momento sa solo sbraitare. Probabilmente i n preda alla paura
di non essere all’altezza di assumere la responsabilità del cambiamento promesso.
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giovedì 28 febbraio 2013
Arrivano i clown
Tedeschi e inglesi, un complotto internazionale contro il circo-Italia. Viva il paese dei cachi e guai a chi lo tocca....
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D'Alema, l'Europa e la necessità di far seguire i fatti alle parole
Dice D'Alema in una intervista al Corriere della Sera:
"Non dimentichiamoci, infatti, che una chiave di lettura di questo voto è la disperazione sociale. La gente non ce la fa e comprensibilmente è esasperata verso tutti. Il voto dovrebbe mettere in allarme pure le tecnocrazie di Bruxelles, perché parla anche di loro: ci vuole un governo che abbia un mandato forte per fare valere queste ragioni anche in Europa. Il punto non è "Europa sì", "Europa no", ma "Europa come".
Un concetto simile esprime Andrea Orlando sul Manifesto, quando dice che il PD ha parlato più all'establishment che alla pancia del paese, che ai cittadini interessa come si esce dalla crisi e non il rispetto dei parametri del fiscal compact.
A ma pare una analisi condivisibile al 100%, che ricalca quanto scritto sul "non se ne può più del ' ce lo chiede l'Europa' ". Però D'Alema arriva sempre un po' fuori tempo massimo. E non solo lui. Questa analisi non la si poteva fare prima del voto. Non si poteva parlare alla disperazione sociale invece di lasciarla a Grillo? Ma soprattuto ora, se questa analisi è corretta, cosa propone D'Alema ed il PD per invertire la rotta? Di buone intenzioni sono lastricate le strade dell'inferno - e mai proverbio è stato più vero quando si parla di Italia e sinistra.....
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"Non dimentichiamoci, infatti, che una chiave di lettura di questo voto è la disperazione sociale. La gente non ce la fa e comprensibilmente è esasperata verso tutti. Il voto dovrebbe mettere in allarme pure le tecnocrazie di Bruxelles, perché parla anche di loro: ci vuole un governo che abbia un mandato forte per fare valere queste ragioni anche in Europa. Il punto non è "Europa sì", "Europa no", ma "Europa come".
Un concetto simile esprime Andrea Orlando sul Manifesto, quando dice che il PD ha parlato più all'establishment che alla pancia del paese, che ai cittadini interessa come si esce dalla crisi e non il rispetto dei parametri del fiscal compact.
A ma pare una analisi condivisibile al 100%, che ricalca quanto scritto sul "non se ne può più del ' ce lo chiede l'Europa' ". Però D'Alema arriva sempre un po' fuori tempo massimo. E non solo lui. Questa analisi non la si poteva fare prima del voto. Non si poteva parlare alla disperazione sociale invece di lasciarla a Grillo? Ma soprattuto ora, se questa analisi è corretta, cosa propone D'Alema ed il PD per invertire la rotta? Di buone intenzioni sono lastricate le strade dell'inferno - e mai proverbio è stato più vero quando si parla di Italia e sinistra.....
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Non se ne può più del "ce lo chiede l'Europa"
di Nicola Melloni
da Liberazione
L’Europa trema dopo le elezioni italiane e il panico-euro mette in fibrillazione tutte le cancellerie. I partiti “europeisti”, Pd e Monti – che erano pronti, prontissimi a governare insieme – sono stati presi a schiaffi dagli elettori. E i partiti che più si sono caratterizzati per posizioni anti-europee ed anti-sistema, Grillo e Berlusconi, hanno vinto, stravinto.
Mentre Bersani andava a Berlino a farsi incoronare dalla Merkel e dalla Spd, M5S e Pdl parlavano ai figli della crisi. Lo facevano alla loro maniera, certo, ma con grande efficacia. Berlusconi ha concentrato tutta la sua campagna elettorale sull’abolizione dell’Imu, un tema di ottima presa su un elettorato in grande parte in ginocchio, strozzato da debiti e dalle tasse cui poco o nulla importa della cosiddetta “responsabilità”. E Grillo, da parte sua, ha strizzato l’occhio agli evasori e si è presentato come vero anti-casta, come uno che vuole cambiare le cose, che ha capito che così non si può più andare avanti.
Tutto il contrario del Pd (e di Sel). Il partito di Bersani ha fatto di tutto per farsi catalogare come il partito pro-Europa proprio mentre l’Europa è nel baratro, con la Spagna che affonda e la Grecia schiantata. E l’Italia non sta tanto meglio. Ma i Democratici sembrano aver smesso di guardare ai problemi concreti. Hanno votato il fiscal compact anche se non lo condividevano (parola di Fassina) perché così volevano i mercati. Hanno accettato la riforma Fornero perché non si poteva far cadere il governo. Ma di tutto questo alla gente con l’acqua alla gola non può importare. Preferisce votare per qualcuno che promette meno tasse, o che punta il dito contro quell’establishment presso cui in questi anni il Pd ha tentato costantemente di accreditarsi. Con le solite idee scellerate, che le elezioni si vincono al centro – ed ecco la corte a Monti. Mentre si è dimostrato vero il contrario: il centro non conta nulla. E’ sempre contato pochissimo, i famosi moderati prendevano meno della Lega anche una volta. Ma conta ancora meno adesso, durante la crisi.
Stesso discorso vale per Vendola. Finchè si candidava come alternativa di rottura – Pisapia o Zedda – il risultato di Sel era travolgente. Ma non appena si piegava alle logiche della “vecchia politica” – vedi Napoli e Palermo – ecco che veniva abbandonato dagli elettori. Una lezione evidentemente non imparata. E così è successo anche stavolta, l’abbraccio del Pd filo montiano è stato una volta di più fatale.
E’ stato dunque un voto rivoluzionario – anche se Rivoluzione Civile è stata incapace di intercettarlo. Un voto, se vogliamo, alla greca. Con una parte maggioritaria del paese che dice no all’Europa dei burocrati e dei mercati e che dice no al famoso “podestà straniero”, alla sovranità limitata, al protettorato tedesco.
Non se ne può più del “ce lo chiede” l’Europa, senza che ormai si riesca a capire chi sia questa Europa. Gli elettori di Grillo hanno detto chiaramente che non delegano più. Non delegano ai mercati, di cui non si fidano. Non delegano all’Europa, che non eleggono. Non delegano ad una classe dirigente che ha fallito miseramente e pure si candidava a governare con gli stessi slogan degli ultimi vent’anni.
Berlusconi, più semplicemente, ha fatto una operazione di maquillage politico, supportato dai soliti tormentoni rimbalzati a getto continuo sui media. Contro la Merkel, contro le banche (!), soprattutto se tedesche, contro Monti, criticando tuto quello fatto per un anno, mentre il Pd ostentava con orgoglio quel bilancio fallimentare. Gli elettori hanno invece detto no, sonoramente, al governo Monti, all’austerity, ai ricatti europei. Ancora più duramente che in Grecia hanno rigettato il rigore europeo, la moneta unica salva in cambio di disoccupazione e miseria.
L’idea che l’economia, che il mercato, sia superiore alle condizioni di vita non è sostenibile in democrazia. Ed anzi, porta ad un cortocircuito completo. Con gli elettori che rispediscono al mittente le lettere di intenti europee, ma che nel frattempo rischiano di cadere vittima di capi popolo proprio perché i partiti più tradizionali non riescono a rappresentarne gli interessi – ed anche le paure e le speranze.
Si tratta dell’ultima chiamata per il PD, per l’Italia ma soprattutto per l’Europa. Il contratto sociale che ci è stato imposto a forza di tagli e privatizzazioni non è più sostenibile. Bersani e i suoi si sono illusi di aver salvato l’Italia riducendo lo spread, non rendendosi conto che in questa maniera la crisi non solo non era risolta ma si era anzi aggravata. O si riparte da reddito, lavoro e diritti o la strada dell’Euro – e con esso, forse, della nostra democrazia – è ormai segnata.
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da Liberazione
L’Europa trema dopo le elezioni italiane e il panico-euro mette in fibrillazione tutte le cancellerie. I partiti “europeisti”, Pd e Monti – che erano pronti, prontissimi a governare insieme – sono stati presi a schiaffi dagli elettori. E i partiti che più si sono caratterizzati per posizioni anti-europee ed anti-sistema, Grillo e Berlusconi, hanno vinto, stravinto.
Mentre Bersani andava a Berlino a farsi incoronare dalla Merkel e dalla Spd, M5S e Pdl parlavano ai figli della crisi. Lo facevano alla loro maniera, certo, ma con grande efficacia. Berlusconi ha concentrato tutta la sua campagna elettorale sull’abolizione dell’Imu, un tema di ottima presa su un elettorato in grande parte in ginocchio, strozzato da debiti e dalle tasse cui poco o nulla importa della cosiddetta “responsabilità”. E Grillo, da parte sua, ha strizzato l’occhio agli evasori e si è presentato come vero anti-casta, come uno che vuole cambiare le cose, che ha capito che così non si può più andare avanti.
Tutto il contrario del Pd (e di Sel). Il partito di Bersani ha fatto di tutto per farsi catalogare come il partito pro-Europa proprio mentre l’Europa è nel baratro, con la Spagna che affonda e la Grecia schiantata. E l’Italia non sta tanto meglio. Ma i Democratici sembrano aver smesso di guardare ai problemi concreti. Hanno votato il fiscal compact anche se non lo condividevano (parola di Fassina) perché così volevano i mercati. Hanno accettato la riforma Fornero perché non si poteva far cadere il governo. Ma di tutto questo alla gente con l’acqua alla gola non può importare. Preferisce votare per qualcuno che promette meno tasse, o che punta il dito contro quell’establishment presso cui in questi anni il Pd ha tentato costantemente di accreditarsi. Con le solite idee scellerate, che le elezioni si vincono al centro – ed ecco la corte a Monti. Mentre si è dimostrato vero il contrario: il centro non conta nulla. E’ sempre contato pochissimo, i famosi moderati prendevano meno della Lega anche una volta. Ma conta ancora meno adesso, durante la crisi.
Stesso discorso vale per Vendola. Finchè si candidava come alternativa di rottura – Pisapia o Zedda – il risultato di Sel era travolgente. Ma non appena si piegava alle logiche della “vecchia politica” – vedi Napoli e Palermo – ecco che veniva abbandonato dagli elettori. Una lezione evidentemente non imparata. E così è successo anche stavolta, l’abbraccio del Pd filo montiano è stato una volta di più fatale.
E’ stato dunque un voto rivoluzionario – anche se Rivoluzione Civile è stata incapace di intercettarlo. Un voto, se vogliamo, alla greca. Con una parte maggioritaria del paese che dice no all’Europa dei burocrati e dei mercati e che dice no al famoso “podestà straniero”, alla sovranità limitata, al protettorato tedesco.
Non se ne può più del “ce lo chiede” l’Europa, senza che ormai si riesca a capire chi sia questa Europa. Gli elettori di Grillo hanno detto chiaramente che non delegano più. Non delegano ai mercati, di cui non si fidano. Non delegano all’Europa, che non eleggono. Non delegano ad una classe dirigente che ha fallito miseramente e pure si candidava a governare con gli stessi slogan degli ultimi vent’anni.
Berlusconi, più semplicemente, ha fatto una operazione di maquillage politico, supportato dai soliti tormentoni rimbalzati a getto continuo sui media. Contro la Merkel, contro le banche (!), soprattutto se tedesche, contro Monti, criticando tuto quello fatto per un anno, mentre il Pd ostentava con orgoglio quel bilancio fallimentare. Gli elettori hanno invece detto no, sonoramente, al governo Monti, all’austerity, ai ricatti europei. Ancora più duramente che in Grecia hanno rigettato il rigore europeo, la moneta unica salva in cambio di disoccupazione e miseria.
L’idea che l’economia, che il mercato, sia superiore alle condizioni di vita non è sostenibile in democrazia. Ed anzi, porta ad un cortocircuito completo. Con gli elettori che rispediscono al mittente le lettere di intenti europee, ma che nel frattempo rischiano di cadere vittima di capi popolo proprio perché i partiti più tradizionali non riescono a rappresentarne gli interessi – ed anche le paure e le speranze.
Si tratta dell’ultima chiamata per il PD, per l’Italia ma soprattutto per l’Europa. Il contratto sociale che ci è stato imposto a forza di tagli e privatizzazioni non è più sostenibile. Bersani e i suoi si sono illusi di aver salvato l’Italia riducendo lo spread, non rendendosi conto che in questa maniera la crisi non solo non era risolta ma si era anzi aggravata. O si riparte da reddito, lavoro e diritti o la strada dell’Euro – e con esso, forse, della nostra democrazia – è ormai segnata.
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Il domatore Napolitano e il circo-Italia
Si è offeso Napolitano. Andato in Germania è finito in mezzo alla ridda di polemiche sul post-voto italiano. Il capo della SPD Steinbruck ha detto che in Italia hanno vinto due clown e allora apriti cielo. Il Presidente rappresenta l'unità d'Italia e pure la fierezza e l'orgoglio di un popolo! Ed allora ha subito cancellato l'incontro con il suddetto Steinbruck.
Che onestamente non si sa cosa abbia detto di male. Grillo è un comico e lo rivendica costantemente, dubitiamo si sia offeso per esser definito clown. Quanto a Berlusconi, beh, hanno ragione i socialdemocratici tedeschi quando dicono che clown è davvero il termine più educato per definirlo. D'altronde da noi lo hanno chiamato psiconano, berluskaz, satiro, mafioso, puffone e buffone. Non si capisce perché politici (e non governanti! attenzione) non possano usare il termine clown, proprio quando B. dava del kapò a Schulz e della culona alla Merkel. Per altro i commenti politici sui risultato delle elezioni sono cosa normale - se qualcuno si preoccupa se Le Pen arriva al ballottaggio in Francia non si capisce perchè non si possa esprimere sconcerto se Berlusconi era allo 0.4% dalla maggioranza alla Camera!
E poi, insomma, questo sobbalzo di nazionalismo e difesa dell'Italia, Napolitano poteva tenerlo per una occasione migliore. Tipo quando il governo italiano ricevette lettere segrete dalla BCE che ordinava cosa bisogna fare in finanziaria, non proprio il miglior esempio di orgoglio nazionale e rispetto della democrazia. Oppure quando Olli Rehn dice che non gli interessa chi vince le elezioni perchè il prossimo governo dovrà fare quello che dice lui.
Ma che scherziamo? Quello è rispetto degli obblighi internazionali - che siano stati imposti dal podestà straniero cambia poco. Cambiare la Costituzione, licenziare i lavoratori, congelare le pensioni perchè ce lo chiede Berlino, quello va bene. Ma salviamo le forme. Sudditi si, giullari no. Ma per favore...sembra proprio di essere al circo.
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Che onestamente non si sa cosa abbia detto di male. Grillo è un comico e lo rivendica costantemente, dubitiamo si sia offeso per esser definito clown. Quanto a Berlusconi, beh, hanno ragione i socialdemocratici tedeschi quando dicono che clown è davvero il termine più educato per definirlo. D'altronde da noi lo hanno chiamato psiconano, berluskaz, satiro, mafioso, puffone e buffone. Non si capisce perché politici (e non governanti! attenzione) non possano usare il termine clown, proprio quando B. dava del kapò a Schulz e della culona alla Merkel. Per altro i commenti politici sui risultato delle elezioni sono cosa normale - se qualcuno si preoccupa se Le Pen arriva al ballottaggio in Francia non si capisce perchè non si possa esprimere sconcerto se Berlusconi era allo 0.4% dalla maggioranza alla Camera!
E poi, insomma, questo sobbalzo di nazionalismo e difesa dell'Italia, Napolitano poteva tenerlo per una occasione migliore. Tipo quando il governo italiano ricevette lettere segrete dalla BCE che ordinava cosa bisogna fare in finanziaria, non proprio il miglior esempio di orgoglio nazionale e rispetto della democrazia. Oppure quando Olli Rehn dice che non gli interessa chi vince le elezioni perchè il prossimo governo dovrà fare quello che dice lui.
Ma che scherziamo? Quello è rispetto degli obblighi internazionali - che siano stati imposti dal podestà straniero cambia poco. Cambiare la Costituzione, licenziare i lavoratori, congelare le pensioni perchè ce lo chiede Berlino, quello va bene. Ma salviamo le forme. Sudditi si, giullari no. Ma per favore...sembra proprio di essere al circo.
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