domenica 28 aprile 2013

L'uso politico delle pistole







Spari puntuali per ricompattare il sistema politico, come ogni volta che ci si trova davanti ad una crisi. un tema ricorrente della storia d'Italia. Certamente questa volta sarà solo l'opera di un pazzo isolato - per altro un refrain sentito millanta volte - ma l'occasione è troppo ghiotta per non approfittarne. La solita emergenza democratica stringerà le file dei malpancisti PD che con un pò di bicarbonato voteranno la fiducia al governo Napolitano-Berlusconi (Letta l'hanno messo lì a prendere ordini, tanto per ben due volte si è riferito al Presidente come se fosse il Primo Ministro...).
Ed intanto si scatena subito la caccia al cattivo maestro, al mandante morale. Ovviamente Grillo, soprattutto, e quelli che aizzano le piazze. Perché in Italia, denunciare le oscenità del sistema politico, l'inciucio sistematico, lo svuotamento della democrazia è un atto da eversori. Il PD ed i suoi predecessori hanno fatto di questa dottrina la stella polare della loro linea politica: mai urlare, mai protestare, siamo un partito serio, siamo un grande paese, non spaventiamo i mercati, non ricorriamo a facili populismi. Siamo responsabili noi! Nei confronti di chi, non si sa.
I loro nuovi alleati, i Gasparri, i La Russa, gli Alemanno hanno subito colto l'occasione per prendersela con i protestari. Insomma, davanti alla crisi, sia economica che politica, bisogna stare zitti, che se no c'è sempre un matto con la pistola. Ecco questi signori hanno mai pensato che l'esasperazione della gente, al netto del gesto di un folle, è dovuta al loro comportamento politicamente (e, spesso, non solo) criminale.
Invece di occuparsi della propria poltrona, o degli interessi del loro padrone, invece di fare accordi alla chetichella dopo averli solennemente esclusi, invece di perpetuare politiche assurde che continuano a chiedere sacrifici inutili alla gente, cominciassero a pensare al bene del paese. Silenzierebbero l'opposizione e renderebbero più tranquillo il clima politico. Hanno ragione a dire che chi semina vento raccoglie tempesta. Ma sono proprio loro i colpevoli.

L'austerity al servizio dei ricchi


Che l'austerity non funzionasse l'abbiamo ripetuto all'infinito. Che fosse, in realtà, un disegno politico, pure, come confermato da Paul Krugman nell'articolo che segue. Le fondamenta teoriche della stretta fiscale sono sempre state di cartapesta, se non proprio inesistenti, costruite adattando i dati a proprio piacimento. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, sono lampanti. Cinque anni buttati al vento, miliardi bruciati, vite spezzate, una generazione perduta. Eppure per tutto questo tempo, contro qualsiasi evidenza, contro qualsiasi più che ovvia obiezione, abbiamo continuato, tafazzianamente, a darci martellate sui cogl.... E perché? Perché così voleva, e così ancora vuole l'1% più ricco della popolazione, che durante l'austerity si è ingrassato a dismisura mentre il resto della popolazione tirava la cinghia. Dimostrando, in effetti, due cose: che gli economisti (non tutti, per fortuna) e i media sono in realtà al soldo dei potenti. E che le nostre finte democrazie non sono nient'altro che oligarchie usate per difendere i privilegi di classe dei soliti noti. 

The 1 Percent’s Solution

di Paul Krugman
da New York Times


Economic debates rarely end with a T.K.O. But the great policy debate of recent years between Keynesians, who advocate sustaining and, indeed, increasing government spending in a depression, and austerians, who demand immediate spending cuts, comes close — at least in the world of ideas. At this point, the austerian position has imploded; not only have its predictions about the real world failed completely, but the academic research invoked to support that position has turned out to be riddled with errors, omissions and dubious statistics.
Yet two big questions remain. First, how did austerity doctrine become so influential in the first place? Second, will policy change at all now that crucial austerian claims have become fodder for late-night comics?
On the first question: the dominance of austerians in influential circles should disturb anyone who likes to believe that policy is based on, or even strongly influenced by, actual evidence. After all, the two main studies providing the alleged intellectual justification for austerity — Alberto Alesina and Silvia Ardagna on “expansionary austerity” and Carmen Reinhart and Kenneth Rogoff on the dangerous debt “threshold” at 90 percent of G.D.P. — faced withering criticism almost as soon as they came out.
And the studies did not hold up under scrutiny. By late 2010, the International Monetary Fund had reworked Alesina-Ardagna with better data and reversed their findings, while many economists raised fundamental questions about Reinhart-Rogoff long before we knew about the famous Excel error. Meanwhile, real-world events — stagnation in Ireland, the original poster child for austerity, falling interest rates in the United States, which was supposed to be facing an imminent fiscal crisis — quickly made nonsense of austerian predictions.
Yet austerity maintained and even strengthened its grip on elite opinion. Why?
Part of the answer surely lies in the widespread desire to see economics as a morality play, to make it a tale of excess and its consequences. We lived beyond our means, the story goes, and now we’re paying the inevitable price. Economists can explain ad nauseam that this is wrong, that the reason we have mass unemployment isn’t that we spent too much in the past but that we’re spending too little now, and that this problem can and should be solved. No matter; many people have a visceral sense that we sinned and must seek redemption through suffering — and neither economic argument nor the observation that the people now suffering aren’t at all the same people who sinned during the bubble years makes much of a dent.
But it’s not just a matter of emotion versus logic. You can’t understand the influence of austerity doctrine without talking about class and inequality.
What, after all, do people want from economic policy? The answer, it turns out, is that it depends on which people you ask — a point documented in a recent research paper by the political scientists Benjamin Page, Larry Bartels and Jason Seawright. The paper compares the policy preferences of ordinary Americans with those of the very wealthy, and the results are eye-opening.
Thus, the average American is somewhat worried about budget deficits, which is no surprise given the constant barrage of deficit scare stories in the news media, but the wealthy, by a large majority, regard deficits as the most important problem we face. And how should the budget deficit be brought down? The wealthy favor cutting federal spending on health care and Social Security — that is, “entitlements” — while the public at large actually wants to see spending on those programs rise.
You get the idea: The austerity agenda looks a lot like a simple expression of upper-class preferences, wrapped in a facade of academic rigor. What the top 1 percent wants becomes what economic science says we must do.
Does a continuing depression actually serve the interests of the wealthy? That’s doubtful, since a booming economy is generally good for almost everyone. What is true, however, is that the years since we turned to austerity have been dismal for workers but not at all bad for the wealthy, who have benefited from surging profits and stock prices even as long-term unemployment festers. The 1 percent may not actually want a weak economy, but they’re doing well enough to indulge their prejudices.
And this makes one wonder how much difference the intellectual collapse of the austerian position will actually make. To the extent that we have policy of the 1 percent, by the 1 percent, for the 1 percent, won’t we just see new justifications for the same old policies?
I hope not; I’d like to believe that ideas and evidence matter, at least a bit. Otherwise, what am I doing with my life? But I guess we’ll see just how much cynicism is justified.        

Il PD ostacolo al cambiamento

di FM

Vivo la designazione di questo governo con totale indifferenza. Gli ultimi fatti politici salienti si sono consumati nell'arco di tempo fra la candidatura Marini, l'affondamento della candidatura Prodi, e la Canossa davanti a Napolitano. Il resto era scritto, ed i dettagli sono appunto dettagli. Ad un risultato elettorale che (con incoerenze, difficoltà e quel che si vuole) chiedeva massimo rinnovamento, il sistema politico ha risposto con la massima conservazione. Hanno evitato di simboleggiarlo con un governo Amato-Violante-Berlusca-Brunetta. Ma con tutto il rispetto (che è maggiore di quello della media di chi scrive e legge questo blog), la Bonino o Josefa Idem non spostano di una virgola il fatto che la sostanza politica del governo è la stessa del governo precedente – PD-PDL con Napolitano garante. Le politiche seguiranno.

Il fatto per me nuovo, che nessuna Idem mi farà dimenticare, è che il PD poteva scegliere di fare una cosa radicalmente diversa convergendo su Rodotà e sostenendo un governo per fare i suoi "otto punti", ed ha invece scelto la conservazione assoluta (di ciò cui si era sempre fermamente opposto, a parole). Anche per i ciechi e i sordi (come me) è ormai chiaro che il PD non è e non potrà mai essere un partito riformista, e che è un ostacolo a qualsiasi prospettiva di rinnovamento. Un partito che va per quanto possibile disarticolato per far nascere qualcosa di nuovo. Non capisco come i vari Fassina non siano ancora usciti. La scissione (o anche il dignitoso abbandono, da soli) mi paiono le uniche opzioni per gente che ha tenuto le loro (mie) posizioni fino ad oggi. Non è escluso che per andare al governo in futuro la sinistra debba poi negoziare con il PD di Letta, Gentiloni, ecc. – ma senza più l'equivoco della comune militanza.

Di fronte a questo fatto politico, anche la mostruosa prova di incompetenza fornita dal personale politico del PD nel periodo post-elettorale perde importanza. Però non ricordo nulla di così spettacolare da quando seguo la politica – ottimo in particolare il no a Rodotà "perché candidato divisivo", con un PD che secondi dopo si è disintegrato nella cannibalizzazione reciproca delle correnti e che si appresta ad una scissione… Da spaccarsi dalle risate, non fosse che così ci hanno rimesso nelle mani della stessa oligarchia di prima per un bel po' di tempo.