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martedì 27 novembre 2012
Anti-europeismo British
da Il Mulino-Lettere Internazionali
di Nicola Melloni
Alla fine è (quasi) sempre una questione
di soldi. La crisi europea sta sconvolgendo non solo il sistema
economico, ma anche quello politico e, più in generale, il contratto
sociale a cui i cittadini erano abituati. Questi stravolgimenti stanno
drasticamente cambiando anche le nostre attitudini, con un ritorno
sempre più forte verso localismo e nazionalismo e una crescente sfiducia
verso le istituzioni politiche nazionali, ma soprattutto europee. Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Eurobarometro,
la fiducia nei confronti della Ue, che è sempre stata tra il 40% e il
50% tra il 2004 e il 2009 e registrava ancora un solido 49% nell’estate
del 2009, è crollata, a livello continentale, a un misero 21%
nell’aprile di quest’anno. L’Unione europea è vista come incapace di
fronteggiare i problemi creati dalla crisi: nell’area mediterranea
l’euro è anzi identificato come una delle principali cause della
corrente situazione economica.
In Gran Bretagna - Paese storicamente euroscettico - però queste polemiche sono state molto più soft. La sovranità monetaria ha evitato una crisi del debito e i conseguenti memorandum europei: l’austerity
è stata una scelta politica fortemente voluta dai conservatori, che ne
hanno fatto una bandiera ideologica senza che l’Ue richiedesse alcun
tipo di intervento. Nessuno dunque accusa le istituzioni comunitarie o
la moneta unica di contribuire al pessimo ciclo economico, tra i
peggiori in Europa esclusi i Piigs.
Ciò nonostante gli inglesi nutrono
ancora più sfiducia degli altri popoli europei nell’Europa unita. La
fiducia in essa è sempre stata molto bassa - compresa tra il 20% e il
35% tra il 2004 e il 2009 - ma nell’aprile di quest’anno si è
addirittura ridotta al 12%. L’Europa è spesso vista come uno superstato
predatore che succhia risorse senza dare nulla in cambio e questo è
sentito come ancora più insopportabile in un periodo in cui la crisi
economica morde forte anche l’economia d’oltremanica (basti ricordare, a
tale proposito, il titolo illuminante del “Daily Express” il 12
Febbraio di quest’anno: You pay 500£ to rescue Greece. British families are hammered again in Eu crisis
con lo sfondo di una bella bandiera europea tanto per rafforzare il
concetto). Quello dei soldi inglesi usati per aiutare “il continente” è
da sempre un cavallo di battaglia dei tories, fin dai tempi del famoso rebate del 1984
con cui Margaret Thatcher pretese che una buona parte delle sterline
versate da Londra a Bruxells (e allora usate soprattutto per la Pac che
beneficiava molto poco il Regno Unito) fossero rimpatriate. I
conservatori non hanno mai smesso di battere su questo punto e il loro
ritorno al potere è coinciso anche con una nuova ondata di nazionalismo
inglese, con lo Uk indipendence party in continua ascesa dal 2004 – non a
caso in coincidenza con l’allargamento a est dell’Ue, che ha visto una
straordinaria ondata migratoria di low-skilled workers dai nuovi Stati membri.
Le cose sono immediatamente peggiorate
con l’inizio della crisi e la retorica dei “british jobs for british
workers” cioè di posti di lavoro riservati ai cittadini britannici.
Il nuovo governo ha subito iniziato
restringendo fortemente i criteri per i visti per i cittadini stranieri.
Ma ovviamente l’unica maniera per ridurre sostanzialmente
l’immigrazione è bloccare quella dall’Europa, e non è un caso che
diversi leader tories abbiano già chiesto di uscire dal trattato di
libera circolazione, che vorrebbe dire, in sostanza, abbandonare l’Ue,
cosa che secondo il ministro Iain Duncan Smith
favorirebbe fortemente l’economia britannica. Qualcosa di
difficilmente immaginabile fino a soli pochi anni fa. Mentre Cameron
vede come fumo negli occhi un’unione fiscale e ha già posto il veto sui
nuovi trattati.
Allo stesso tempo anche l’atteggiamento
laburista è cambiato: pur rimanendo un partito filo-europeo, anche il
labour sembra voler assecondare la revanche nazionalista. Prima
i parlamentari europei hanno votato contro il budget comunitario,
insieme ai conservatori. Poi con una mossa di puro cinismo politico si
sono uniti ai back-benchers, conservatori, i più accesi
antieuropeisti, per approvare una mozione che contraddiceva quella del
governo (che voleva congelare le spese del budget europeo, mentre i
ribelli hanno votato con l’opposizione per ottenere degli irrealistici
tagli). Più in generale anche la parte più progressista della società
inglese sta perdendo fiducia nell’Europa. Il collasso della democrazia
greca (e di quella ungherese) ha avuto una fortissima copertura
mediatica sia sul “Guardian” che sulla Bbc, forse anche maggiore rispetto alla crisi economica. E le élite
progressiste si cominciano a domandare a cosa serva l’Ue se partiti
ipernazionalisti, quando non apertamente fascisti, possono sconvolgere
il quadro politico senza che nessuno intervenga per fermarli.
Nonostante questo clima, per il momento,
il governo si rifiuta di prendere in considerazione un referendum per
uscire dall’Unione, verso il quale spingono molti hard-liners tories, e che avrebbe ottime possibilità di successo.
Ma, soprattutto alla luce della
crescente impopolarità del governo, l’Europa potrebbe presto diventare
un tema di campagna elettorale, che potrebbe spingere i conservatori a
cavalcare l’ondata antieuropea fino alle sue estreme conseguenze.fonte: http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:1874
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