Le
decisioni di politica economica di questi ultimi giorni ci offrono un panorama
assai sconsolante sulla capacità delle istituzioni dell’Europa di agire in nome
del bene pubblico. Tutti i governi del mondo occidentale in questi ultimi
quattro anni si sono impegnati in costosi salvataggi delle banche sull’orlo
della bancarotta. Si trattava di operazioni probabilmente indispensabili – un
generale fallimento delle banche avrebbe avuto effetti disastrosi sull’economia
reale – ma che dovevano essere accompagnate da una rivisitazione generale del
modello economico che aveva portato a tale crisi, a cominciare naturalmente dal
ruolo stesso che le istituzioni finanziarie hanno nel capitalismo occidentale.
Purtroppo stiamo invece andando in direzione completamente opposta.
Nei
giorni scorsi, in Irlanda il nuovo governo ha varato un nuovo piano di
salvataggio per le banche, dopo quello dell’anno scorso che avrebbe dovuto
risolvere tutti i problemi derivati dal comportamento sconsiderato e dalla
situazione fallimentare delle banche irlandesi. Gli stress test da poco
effettuati hanno però mostrato che il piano del precedente governo era
assolutamente inadeguato e che altri 24 miliardi di euro sono necessari per
salvaguardare l’esistenza stessa del sistema bancario, portando il totale
dell’intervento pubblico di Dublino alla quota di 70 milardi di euro – un
debito che mette a repentaglio gli standard di vita per una intera generazione
di irlandesi.
La
situazione è anche peggiore, se possibile, in Portogallo che sembra prossimamente
destinato a fare la stessa fine di Grecia e Irlanda e dover ricorrere
all’intervento di Unione Europea e FMI per poter fronteggiare il propio debito.
Venerdì, la vendita di bond è riuscita, seppur ad un tasso più alto del 40%
rispetto a quello dello scorso anno. Pare che i compratori siano stati
soprattutto Brasile e Cina, il che indica molto chiaramente la nuova geografia
economica e politica che si va delineando all’indomani della crisi del 2007.
Una ex-colonia corre in aiuto della veccha potenza imperialista per evitarne il
collasso, un aiuto, sia chiaro, che vuol dire potere. Ma la vendita di venerdì
non è comunque sufficiente e molto probabilmente a Giugno il Portogallo sarà
costretto a ricorrere al pacchetto di salvataggio europeo. Pacchetto che a
Lisbona vorrebbero evitare dato lo scarso successo dei precedenti greci ed
irlandesi. A fronte di interventi brutali per ridurre la spesa pubblica in quei
due paesi – condizioni standard dell’aiuto del Fondo e della UE – il costo del
denaro si è mantenuto a livelli altissimi (segnalando che i mercati finanziari
ancora scommettono sul fallimento di Atene e Dublino nonostante l’aiuto europeo
che non gode evidentemente di grande credibilità) mentre la recessione
economica avanza (-11% in Irlanda, -6% in Grecia).
Di
fronte ad una situazione di questo genere, in cui la periferia dell’Europa
sembra destinata allo sfascio economico e sociale, i problemi che tormentano la
Banca Centrale Europea sembrano ben altri. La BCE sembra infatti intenzionata
ad alzare i tassi di interesse per contrastare l’impennata inflazionistica (!)
che sta colpendo negli ultimi mesi l’Europa, una mossa che dimostra la totale
ottusità della più importante e potente istituzione comunitaria. A Francoforte
sono preoccupati delle conseguenze che il rincaro dei prezzi potrebbe avere
sulle economie del nostro continente, ma la realtà è che l’inflazione a livello
europeo è al 2,6%. Non esiste nessuna prova empirica che tale livello sia
dannoso per l’economia, anzi. Studi comparati hanno più volte dimostrato che
livelli inflattivi tra il 20 ed il 50% possono creare seri danni alla crescita
economica, ma siamo naturalmente ben lontani da quei numeri. Ciò nonostante si
cercherà di frenare la crescita dei prezzi (generata per altro da fattori
esterni come i prezzi delle materie prime, e non da un surriscaldamento delle
nostre economie) aumentando i tassi, accompagnando però tale operazione da un
illimitato accesso al credito per il sistema bancario privato così da
garantirne la liquidità. La salita dei tassi di interesse avrà effetti negativi
sulla crescita economica, come ovvio. La BCE è convinta che la ripresa
economica sia ormai in atto in tutta Europa, ma se questo è vero in Germania è
assurdo sostenere lo stesso per Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Un
innalzamento del costo del denaro comporterà oneri aggiuntivi per questi paesi
che già al momento non sono nella condizione di ripagare il proprio debito,
come segnalato dal downgrade dei bond portoghesi e greci effettuato in
settimana da Standard&Poor’s e Fitch. A Francoforte però si giustificano
sostenendo che il compito principale, se non unico, della BCE è tenere bassa
l’inflazione (e garantire la tenuta del sistema bancario) e dunque agisce di
conseguenza.
Una
verità che nasconde però un’idiozia. Certo, è vero, il mandato della BCE è
tenere sotto controllo l’inflazione, ma questo mandato è il frutto di un
passato fallimentare, il risultato, insieme al patto di “stupidità-stabilità”,
della deriva ideologica neo-liberale subita dall’Europa negli anni 90. E che
tuttora si trascina, con Trichet preoccupato di un marginale incremento del
livello dei prezzi mentre milioni di europei sono disoccupati e sotto la soglia
di povertà. La verità è che ancora oggi, dopo 4 anni dall’inizio della crisi, i
soldi per le banche si trovano. Li trova la BCE col suo credito illimitato, li
trova il governo irlandese con un altro prestito straordinario. Ma non si
trovano per i lavoratori, anzi, gliene si chiedono sempre di più. Tagli di
spesa, imposte più alte, un martellamento continuo. Politiche fiscali
restittive, in tempo di crisi, per compiacere i mercati finanziari, soldi
facili alle banche accompagnati da politiche monetarie restrittive per mantere
sotto controllo il livello dei prezzi, nuovamente in nome della stabilità
economica richiesta dai mercati. Si tratta di una deriva che possiamo
tranquillamente definire anti-democratica. Alla luce di questa crisi è
completamente inacettabile che la BCE non sia sottoposta ad un vero controllo
popolare, che continui a lavorare solo in favore dei mercati e non dei
cittadini. Lo stesso fanno i governi di mezza Europa condannandosi ad un futuro
di miseria e povertà mentre avanzano le nuove economie emergenti, che dopo aver
sofferto secoli di imperialismo politico ed economico sono pronte a conquistare
un’Europa ormai in ginocchio.
Nicola
Melloni (da liberazione)