Pubblichiamo di seguito un articolo di Alexis Tsipras, segretario di Syriza, in cui si propone come fare uscire la Grecia (e l'Europa tutta) dalla crisi ispirandosi al salvataggio della Repubblica Federale Tedesca nel 1953. Un articolo con zero ideologia, e tanto buon senso. Non si chiede la luna, ma un semplice piano di rientro, come quello che gli stati keynesiani ma in larga parte conservatori dell'Europa degli anni 50 avevano attuato per la Germania. Un articolo illuminante perché contrappone alle isterie tedesche sull'iperinflazione un esempio storico ben più appropriato. Le condizioni capestro cui era obbligata la Germania dopo la prima guerra mondiale erano state il prodromo del nazismo. E le cancellerie europee negli anni 50 avevano ben presente che una società democratica non si può costruire su sacrifici innaturale e costrizioni, ma su un modello di sviluppo solidale e sociale. Qualcosa che abbiamo evidentemente dimenticato. Ci vuole Syriza per ricordarcelo.
Tsipras: Syriza farà come la Germania federale
di Alexis Tsipras
da Le Monde Diplomatique
Febbraio 1953. La Repubblica federale tedesca (Rft) è schiacciata dal
peso del debito pubblico e minaccia di trascinare nel gorgo anche gli
altri paesi europei. Preoccupati per la propria salvezza, i suoi
creditori - tra cui la Grecia - prendono atto di un fenomeno che può
essere una sorpresa solo per i liberisti: la politica di «svalutazione
interna», cioè la riduzione dei salari, non assicura affatto il rimborso
degli importi dovuti, anzi. Riuniti a Londra in un vertice
straordinario, 21 paesi decidono di rimodulare le pretese. Tagliano così
del 60% il valore nominale del debito cumulato dalla Rft, garantendole
una moratoria di cinque anni (1953-1958) e un termine trentennale per il
rimborso delle somme dovute.
Stabiliscono anche una «clausola di
sviluppo» che autorizza il paese a non destinare al debito più di un
ventesimo del suo reddito da esportazione. L'Europa segue insomma il
corso opposto a quello inaugurato con il trattato di Versailles (1919),
gettando le basi per lo sviluppo della Germania Ovest nel dopoguerra.
È
esattamente ciò che propone di fare oggi la Coalizione della sinistra
radicale greca (Syriza): risalire a monte dei piccoli trattati di
Versailles che la cancelliera tedesca Angela Merkel e il suo ministro
delle finanze Wolfgang Schäuble hanno imposto ai paesi europei
indebitati, e prendere spunto da uno dei più grandi episodi di
chiaroveggenza a cui l'Europa abbia assistito dalla fine del secondo
conflitto mondiale.
I programmi di «salvataggio» dei paesi
dell'Europa del Sud sono stati un fallimento, aprendo voragini senza
fondo che i contribuenti sono chiamati a cercare di riempire. Il
raggiungimento di una soluzione globale, collettiva e definitiva del
problema del debito non è mai stato così urgente. E sarebbe difficile
comprendere come un obiettivo di tale portata possa essere messo da
parte solo per assicurare la rielezione della cancelliera tedesca.
Per
questo, nelle condizioni attuali, l'idea avanzata da Syriza di una
conferenza europea sul debito, sul modello di quella di Londra del 1953,
rappresenta, secondo noi, l'unica soluzione realistica e positiva per
tutti: una risposta globale alla crisi del credito e alla presa d'atto
del fallimento delle politiche portate avanti in Europa.
Ecco dunque quello che noi chiediamo per la Grecia:
- una riduzione significativa del valore nominale del debito pubblico cumulato;
- una moratoria sul pagamento degli interessi, in modo da poter dirottare gli importi risparmiati sulla ripresa dell'economia;
-
la fissazione di una «clausola di sviluppo», così da impedire che il
rimborso del debito uccida sul nascere la ripresa economica;
- la
ricapitalizzazione delle banche, senza però che le risorse in questione
vengano contabilizzate nel debito pubblico del paese.
A queste
misure dovrebbero poi accompagnarsi delle riforme miranti a una più
giusta ripartizione delle ricchezze. Mettere fine alla crisi comporta
infatti una rottura con il passato che l'ha resa possibile: significa
aprire alla giustizia sociale, all'uguaglianza dei diritti, alla
trasparenza politica e fiscale, in breve alla democrazia. Un progetto
che potrà essere posto in essere solo da un partito indipendente
dall'oligarchia finanziaria, ossia dal quel pugno di imprenditori che
hanno preso in ostaggio lo stato, di armatori solidali tra loro e - fino
al 2013 - esentati dal pagamento delle imposte, di padroni della stampa
e di banchieri con le mani in pasta ovunque (e in fallimento) che
portano la responsabilità della crisi e si sforzano di mantenere lo
status quo. Il rapporto annuale 2012 dell'organizzazione non governativa
(ong) Transparency International designa la Grecia come il paese più
corrotto d'Europa.
Tale proposta costituisce quindi ai nostri
occhi l'unica soluzione al problema, a meno che non ci si accontenti
della crescita esponenziale del debito pubblico in Europa, dove esso
supera già, in media, il 90% del prodotto interno lordo (Pil). E proprio
questo ci rende ottimisti: nessuno potrà rigettare il nostro progetto,
perché la crisi sta già consumando il nocciolo duro della zona euro.
Rinviare serve soltanto ad accrescere il costo economico e sociale della
situazione attuale, non solo per la Grecia, ma anche per la Germania e
per il resto dei paesi che hanno adottato la moneta unica.
Per
dodici anni, la zona euro - ispirata ai dogmi liberisti - ha funzionato
come una semplice unione monetaria, senza un equivalente politico e
sociale. I deficit commerciali dei paesi del Sud costituivano l'immagine
rovesciata delle eccedenze fatte registrare al Nord. D'altra parte, la
moneta unica è servita alla Germania per «raffreddare» la sua economia
dopo l'esosa riunificazione del 1990.
Questo equilibrio è stato
sconvolto però dalla crisi del debito. Berlino ha reagito con
l'esportazione della propria ricetta d'austerità, aggravando così la
polarizzazione sociale negli stati del Sud e le tensioni economiche
all'interno della zona euro. Al punto che si manifesta ormai un asse
creditori del Nord/debitori del Sud, cioè una nuova divisione del lavoro
orchestrata dai paesi più ricchi. Il Sud dovrà specializzarsi nelle
produzioni e nei servizi a elevata domanda di manodopera a salario
minimo; il Nord nella corsa alla qualità e all'innovazione a salari,
almeno per alcuni, più alti.
La proposta di Hans-Peter Keitel, presidente della Federazione tedesca
dell'industria (Bdi), in un'intervista concessa al sito internet dello
Spiegel, intesa alla trasformazione della Grecia in una «zona economica
speciale» rivela il vero obiettivo del memorandum. Le misure previste in
questo testo, la cui portata si estende almeno fino al 2020, si sono
risolte in un sonoro smacco, come riconosce ormai perfino il Fondo
monetario internazionale (Fmi). Tuttavia, secondo i suoi ideatori,
l'accordo ha il pregio di imporre una tutela economica alla Grecia, che
riduce al rango di colonia finanziaria della zona euro.
Il suo
annullamento rappresenta dunque la condizione preliminare a qualunque
via d'uscita dalla crisi: è la medicina stessa ad essere mortale e non
la dose, come invece suggeriscono alcuni.
Oltretutto, bisognerà
interrogarsi anche sulle altre cause della crisi finanziaria in Grecia.
Quelle che conducono allo sperpero di denaro pubblico non sono cambiate:
ad esempio, il costo di realizzazione delle strade per chilometro
quadrato è il più alto d'Europa; e le autostrade vengono privatizzate
come «anticipo» per i nuovi assi stradali... la cui costruzione è stata
interrotta.
Allo stesso modo, l'ampiezza delle disuguaglianze non
può essere ridotta a un effetto secondario della crisi finanziaria. Il
sistema fiscale greco riflette la relazione clientelare che unisce le
élite del paese. È come un colabrodo di esenzioni e favoritismi
ritagliati su misura per il cartello oligarchico. Il patto informale
che, da dopo la dittatura, lega il padronato e l'idra a due teste del
bipartitismo - Nuova Democrazia e il Movimento socialista panellenico
(Pasok) - serve a suggellarne la continuità. E questa è una delle
ragioni per cui lo stato rinuncia a procurarsi le risorse di cui ha
bisogno attraverso l'imposizione fiscale, preferendo piuttosto la
continua riduzione dei salari e delle pensioni.
Ma
l'establishment - scampato di misura alle elezioni del 17 giugno, grazie
alla paura che aveva seminato riguardo a una possibile uscita dalla
zona euro - vive anche con l'aiuto di un secondo polmone artificiale: la
corruzione. Il difficile obiettivo dell'azzeramento della collusione
tra ambienti politici ed economici - una questione che oltrepassa i
confini della Grecia - costituirà una delle priorità di un governo
popolare guidato da Syriza.
Quello che chiediamo è dunque una
moratoria sul pagamento degli interessi del debito per cambiare la
Grecia. In mancanza di ciò, qualunque nuovo tentativo di risanamento
finanziario non potrà essere per noi che una fatica di Sisifo, destinata
al fallimento. Con la differenza stavolta che il dramma non
riguarderebbe più soltanto l'antica città di Corinto ma l'intera Europa.
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