“Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola” mi dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. “Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato.” Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua “Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste…” il dottore continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. “Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi l'ha schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati.”
A questo punto il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia, più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito.
Vittorio Arrigoni, Gaza, 8 gennaio 2009
Ma che mondo e’
questo?
Arrivano le prime e-mails di amici e compagni che sbigottiti
fanno circolare la miserabile notizia che Vittorio Arrigoni e’ morto ammazzato,
soffocato.
Ormai la notizia e’ gia’ nota, e’ gia’ circolata on-line
come per televisione sin da ieri. L’hanno ammazzato.
Arriva allo stomaco un pugno violento, tanto forte da
penetrare, oltreppassare lo strato cutaneo e perforare il corpo. Troppo forte
e’ la sensazione di miseria che si prova verso questa straziata umanita’ che
non sa distinguere tra chi non cerca di imporre le proprie idee e modelli di
societa’ ma mette solamente a disposizione i propri sfiorzi e il proprio tempo
in nome di un valore: solidarieta’.
Quanti di noi si riconoscono nei valori che Vittorio
Arrigoni era stato cosi’ bravo da mettere in pratica? Siamo fortunatamente
ancora in tanti, forse non rappresentiamo la maggioranza, ma non siamo poche
decine di persone. Siamo molti e molti di piu’. Proprio perche’ crediamo nella
sincera solidarieta’ di Vittorio Arrigoni quel pugno arriva ancora piu’
violentemente a perforare il nostro stomaco.
Morire cosi, per aver raccontato le tenebre di Gaza, per
aver fatto da scudo protettivo ai pescatori di quelle terre, per aver
raccontato le sofferenze inflitte a un popolo che oggi non ha diritto di
sognare un futuro per se e per i propri
figli.
Quanti di noi hanno pensato di andare nelle terre martoriate
di questo pianeta per mettersi a disposizione delle popolazioni trucidate dai
loro governi o da altri stati. Non certamente per inculcare un modello di
societa’ o un’idea ma per aiutare e capire. Capire quel popolo al quale si
prestava solidarieta’, comprenderlo e crescerne insieme.
Quanti di noi ogni giorno si spendono in attivita’ che hanno
al centro il bene e l’interesse commune e non quello individuale e prepotente.
Quanti di noi ogni giorno non sono indifferenti a quello che
di crudele e violento avviene nel mondo.
E quanti di noi, invece, sono indifferenti a tutto questo?
Odio gli indifferenti, li odio almeno quanto li odiava Gramsci.
Carla