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venerdì 6 aprile 2012
Vicini all'Aquila
Numeri e frasi da non dimenticare
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Stato e Mercato, VII: l'educazione pre-scolare in Francia
di Simone Giovetti
L'educazione è un settore chiave nella vita dei francesi. La gratuità di questo servizio è sacra tanto quanto la sanità. Il
sistema educativo pubblico è oggetto di discussione ma è un sistema
universalmente difeso. Un discorso a parte meriterebbe di essere
fatto sull’università. Le recenti riforme di Sarkozy sulla
“privatizzazione” di centri universitari hanno aperto un grande
dibattito in Francia.
Asili
(da 4 mesi a 2 anni e mezzo). In Francia, soprattutto a
Parigi, c'è stato un baby boom 2,5 figli per donna), frutto anche delle
politiche pubbliche a favore dell'infanzia. Questo ovviamente crea una
certa tensione per quel che riguarda gli asili ed i posti all’asilo
fanno gola a tutti i genitori e non sono sempre
disponibili. In realtà dipende anche molto dai quartieri. Alcuni
quartieri hanno un’offerta più importante e una domanda inferiore. Le
iscrizioni dipendono ovviamente dal luogo dire residenza. Il servizio è
proporzionato al reddito e praticamente gratuito (180
euro al mese) per le famiglie meno abbienti. I posti sono assegnati con
una serie di criteri (numero di figli, situazione economica e
lavorativa…) Coloro che non riescono ad avere un posto possono ricorrere
ad “assistenti maternali convenzionate con lo stato”
che tengono dai 3 ai 5 bambini a casa. Il costo è più alto ma lo stato
ne rimborsa almeno il 50%.
Scuola materna (3-6 anni): pubblica e non obbligatoria. Il sovraffollamento
e la mancanza di insegnanti è il problema numero uno. Ma è un servizio assicurato dallo Stato. I
ricchi o coloro che vivono in quartieri o zone della città più popolari
tendono a mettere i figli in scuole private. Il servizio educativo è
identico a quelle pubbliche, unica differenza, meno bambini e più
insegnati. Costi: si puo arrivare fino agli 800 euro al mese. La maggior
parte delle scuole elementari private sono di confessione
cattolica.
In
un momento in cui si discute molto sulla bassa natalità di molti paesi
europei, la Francia rappresenta una notevole eccezione e le politiche
statali a favore dell'infanzia sono, ovviamente, parte importante della
spiegazione per questo baby-boom. Invece di finanziare le scuole
private, si garantiscono scuole pubbliche di alta qualità e soprattutto
accessibili per tutti.
Le altre puntate di Stato e MercatoFerrovie britanniche
Strade britanniche
Sanità francese
Il sistema scolastico inglese
I trasporti in Francia e a Parigi
La sanità spagnola
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Sarajevo: venti anni dall’assedio.
Dal 1992 al 2012, passando per il 2002.
Di Simone Rossi
6 aprile 2012 - Venti anni fa iniziava l'assedio alla capitale bosniaca, Sarajevo. Per quasi quattro anni i cittadini sarajevesi vissero in uno stato di guerra, sotto il tiro dei cecchini e dell'artiglieria delle truppe della neonata Repubblica Serba di Bosnia, nel contesto della guerra civile scoppiata conseguentemente alla secessione della repubblica bosniaca dalla federazione jugoslava. Durante oltre quaranta mesi pressoché ogni sera assistemmo ad immagini di corpi straziati, di persone cadute sotto i colpi dei franchi tiratori su quello che fu ribattezzato il Viale dei Cecchini, di stragi come quelle al mercato. Il conto dell'assedio fu di circa undicimila morti ed oltre cinquantamila tra invalidi e feriti. a cui andrebbero aggiunte le altre decine di migliaia di morti nel resto della Bosnia, vittime non solo dei disegni dei nazionalismi croato e serbo ma anche dell'indifferenza dei governi occidentali, ottimi a versare lacrime di coccodrillo.
In occasione del decimo anniversario, alcune organizzazioni non governative europee, in maggioranza italiane, allestirono un'iniziativa di alcuni giorni sulla cooperazione nei Balcani e sul processo di integrazione europeo di questa regione che culminò con una lunga catena umana nel quartiere del mercato. Tra i partecipanti c'ero anche io, interessato alle vicende di quelle terre ed alla cooperazione allo sviluppo. Nonostante fossero trascorsi sei anni dal ritorno alla pace, molti edifici portavano ancora i segni dei bombardamenti dell'artiglieria. Segni che si potevano osservare anche alcuni edifici importanti come il Teatro Nazionale, il Parlamento o l'hotel Holiday Inn, eredità delle Olimpiadi del 1984. Tuttavia la cicatrice più grossa ed inquietante fu quella che ebbi modo di vedere inoltrandomi verso le periferie. Là dove erano parchi pubblici si trovavano dei cimiteri improvvisati durante e dopo l'assedio, il cui bianco delle croci e dei cippi era visibile da una notevole distanza. Anche nei pressi delle strutture costruite per i Giochi Invernali, su un crinale, si poteva vedere una distesa di tombe. Inquietante, tanto da togliere la voglia di parlare a tutta la mia comitiva.
Passeggiando per le strade del centro si poteva pensare che le cicatrici erano un ricordo ed un monito in un Paese avviato verso la ricostruzione e la riconciliazione. Le vie pedonali erano frequentate da parecchi giovani per lo più vestiti come i loro coetanei del resto d'Europa, con poche donne a capo velato, unico segno identitario visibile delle differenze religiose ed etniche che erano servite a giustificate la violenza e l'odio. Una pacifica convivenza confermata dalla presenza dei luoghi di culto delle tre principali confessioni della Bosnia e sigillata dal premio Oscar assegnato pochi giorni prima al film No Man's Land di Danis Tanovic.
A questo quadro incoraggiante all'ottimismo si contrappose ciò che ebbi modo di apprendere in una serie di incontri con ONG ed esponenti politici locali. Gli accordi siglati a Dayton (USA) nel 1995 sotto l'egida del presidente Clinton, che prevedevano la creazione di una nuova entitá confederale, composta dalla Repubblica Serba e dalla Federazione Croato-Musulmana, a sua volta suddivisa in cantoni, avevano creato i presupposti per l’immobilismo istituzionale, con le istituzioni centrali prese in ostaggio dai particolarismi e dai potentati locali, il cui potere finisce per prevalere.Una polpetta avvelenata frutto della mala coscienza e della debolezza delle cancellerie occidentali, poco interessate a questa regione tutto sommato non strategica dal punto di vista delle risorse e della geopolitica. I nazionalismi contrapposti, unico strumento di consenso per partiti politici incapaci di proporre una via per la rinascita dell, ognuno con le proprie roccaforti elettorali, impedivano l’attuazione di riforme e di piani di ristrutturazione necessari alla ricostruzione della Bosnia ed al suo inserimento nel quadro economico e politico europeo di quegli anni. Molte aree dipendevano economicamente ancora dalla presenza delle truppe e delle organizzazioni internazionali, mentre il tessuto industriale e le infrastrutture rovinati dalla guerra faticavano ad essere recuperati. Allora il tasso di disoccupazione era tra i più elevati del continente e una larga parte della popolazione viveva con salari al di sotto della media europea.
Oggi si ricordano i venti anni dall’inizio dell’assedio, con immagini dell’epoca e diari di cronisti che raccontarono la guerra. Purtroppo, nell’esercizio della memoria, poca attenzione è dedicata agli effetti di quel lustro di guerra, delle proliferazione della criminalità ed all’abbandono progressivo in cui la Bosnia da parte della “comunità internazionale”. Auspichiamo che, nel ricordare il trennennale dell’assedio, i sarajevesi ed i bosniaci non abbiano a rammaricarsi per un altro decennio perduto.
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