Ci accingiamo ad assistere alla seconda notte di operazioni aeree della coalizione internazionale sui cieli della Libia.
Guerra? Giusta? Ingiusta? Perché?
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La Fiat rischia il testacoda Lieve ripresa in Europa ma il Lingotto vende il 16,7 per cento in meno Pesa la mancanza di nuovi modelli. Come dimostra il caso Alfa Dal mercato europeo dell'automobile arrivano i primi timidi segnali di ripresa. Nel mese di febbraio le nuove immatricolazioni sono state un milione, 14.519, in aumento dell'1,4% rispetto allo stesso mese del 2010. Il bilancio dei primi due mesi dell'anno in corso è appena positivo con un più 0,1%. In questo contesto, le notizie per l'automobile italiana sono pessime e confermano la persistente caduta dei marchi del Lingotto (unica eccezzione l'Alfa Romeo, grazie al nuovo modello, la Giulietta): il crollo delle vendite è del 16,7%. Di conseguenza la Fiat «pesa» in Europa per il 7,6% contro il 9,2% del febbraio 2010, 1,6 punti in meno. La colpa non è del destino cinico e baro. La ragione della debacle della multinazionale già torinese sta nel fatto che Marchionne non ha investito in nuovi modelli, come dimostra l'andamento discreto e in controtendenza dell'Alfa. Dire, come sostiene la Fiat, che i cattivi risultati dipendono dalla fine degli incentivi in diversi paesi europei è un tentativo di parlar d'altro: gli incentivi sono finiti per tutti i produttori. E' vero, controbattono da Torino, ma la Fiat aveva i suoi punti di forza nelle basse cilindrate a contenuti consumi energetici e dunque ne ha risentito di più, di conseguenza oggi fatica a tenere il passo di una concorrenza in ripresa. Ma è Marchionne e non altri il responsabile del piano industriale Fiat, è lui che ha rinviato i nuovi modelli, ed è lui ad aver deciso di puntare solo o soprattutto sulle piccole cilindrate, anche per raccogliere i frutti migliori degli aiuti pubblici al mercato in crisi. Opposta è stata la scelta dei concorrenti di Marchionne che hanno deciso di investire nella crisi sui nuovi modelli per trovarsi in poll position alla ripresa. Chi è causa del suo mal... Evidentemente l'amministratore delegato del Lingotto è stato troppo impegnato nei mesi scorsi a tentare di «riformare» il sistema delle relazioni sindacali nel nostro paese, fino a promettere: «cambierò l'Italia». Ma sono proprio i dati delle vendite a fare definitivamente pulizia della cattiva fede di Marchionne: il costo del lavoro, il presunto assenteismo, il dirittito a scioperare e ad ammalarsi come quello ad eleggersi liberante i rappresentanti sindacali, niente hanno a che fare con i problemi della Fiat. I referendum imposti con la complicità della politica, del governo, di Cisl e Uil servivano a riportare tutto il potere nelle mani dell'azienda, riducendo i lavoratori a schiavi e i diritti a variabili dipendenti dal profitto d'impresa. Ridurre al silenzio lavoratori e sindacati non complici rende tutto più facile per i padroni. Tutto diventa possibile, anche chiudere fabbriche e trasferire il lavoro dove salari e orari sono decisi solo dall'impresa. O anche l'Italia diventerà conveniente come la Serbia, o il Messico, o la Polonia, oppure la partita è finita. Ieri, mentre in borsa il titolo Fiat andava decisamente meglio delle automobili Fiat, il Lingotto annunciava nuovi tagli della produzione che si tradurranno in ulteriori aumenti della cassa integrazione. A Mirafiori come a Melfi, mentre a Pomigliano il lavoro da cui dovrà uscire la «Panda schiavi in mano» è tornato solo per capi e capetti che dovranno disegnare la nuova organizzazione del lavoro. E a Termini Imerese, dopo l'ennesima protesta in cui gli operai hanno bloccato il porto e l'autostrada, persino Cisl e Uil cominciano a storcere il naso rispetto alle promesse di reindustrializzazione del sito quando, tra 10 mesi, la Fiat avrà preso il largo. Loris campetti da http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20110317/pagina/08/pezzo/299375/