giovedì 14 febbraio 2013

PD-SEL-Monti: no il triangolo no!!!


Almeno dovrebbero mettersi d'accordo che ci fan miglior figura. Vendola ogni giorno lancia fulmini contro Monti mentre il PD continua a corteggiarlo. E Monti se la prende con Vendola ma apre al PD mentre attacca la CGIL.
Una banda di matti, sembra. O forse un gruppo di opportunisti che prendono in giro gli elettori. Ognuno che tira acqua al suo mulino, alla fine è legittimo. Monti che deve tenere un po' di distanza dalla "sinistra" per drenare voti al centrodestra. Vendola che deve cercare di scappare alla rimonta di RC che si accrediterebbe altrimenti come unica vera sinistra. E PD che non deve perdere troppo a sinistra ma ha bisogno di mostrarsi come forza aggregante e "di governo". Tutto legittimo, come detto. Ma con un pò di decoro. Promesse, scontri, attacchi frontali. Per poi finire tutti assieme...
Il triangolo di certo Monti e Vendola non l'avevano mai considerato, ma è tremendo quando il terzo incomodo diventa il PD! Ed oggi infatti rischiamo di raggiungere questa nuova vetta di ridicolo. 
Vendola infatti dichiara che il nuovo governo introdurrà il reddito minimo garantito che, sopresa, sorpresa, ha promesso anche Monti. Peccato che sia il PD a non starci e ci ha tenuto a chiarirlo fin da subito col il suo responsabile lavoro, Cesare Damiano.
SEL e Monti verso le convergenze parallele con il PD a rompere le uova nel paniere...?
Proprio oggi Bersani twitta che saranno una coalizione solida. Ma chi vuole preder per i fondelli?

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La rivoluzione non fa paura

I perche' di una rivoluzione. Parole e musica di Fiorella Mannoia






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Al voto, al voto - 10

"Io voto RC 

e non credo di dover convincere nessuno (almeno nel campo del centro-sinistra) in merito alla bontà del programma politico di questo movimento.

Credo che tutte le persone che si professano di sinistra o affini se fossero chiamate a votare a favore o meno delle proposte sostenute da RC risponderebbero favorevolmente...ma il problema sul tavolo di questa campagna elettorale rispetto a RC non è sui contenuti proposti...

Così come credo che tutte le persone che si professano di sinistra o affini non possano che esprimere un giudizio positivo sulla composizione delle liste, piene di persone che si sono distinte per un grande impegno civile e non hanno certo da guadagnarci in termini di tornaconto personale nel candidarsi...ma il problema sul tavolo di questa campagna elettorale rispetto a RC non è sui candidati...

Il problema è sull'utilità del voto a RC, perchè votando RC, dicono, si favorisce Silvio B.
Ma a porre la questione è il partito che ha fatto tutto quello che poteva per favorirlo, o per non affossarlo quando poteva, e che ancora dopo 20 anni ci vuole raccontare che bisogna voltarlo se non vogliamo lui, e che la prima cosa che farà sarà la legge sul conflitto di interessi
E quindi quale sarebbe l'utilità del voto al PD?

Qualcuno potrebbe dire che c'è anche Sel, che bisogna votare Vendola per tenere ancorata la coalizione a sinistra...ma secondo me non ci crede nemmeno chi lo dice, basta guardare il comportamento politico del PD nell'anno di governo Monti (confermato anche dagli ammiccamenti in campagna elettorale) per avere il più che fondato dubbio che sarà Sel ad essere ancorata al centro
E quindi quale sarebbe l'utilità del voto a SEL (a parte il matrimonio di Vendola)?

Votare RC è quindi, anche per esclusione, l'unica opzione praticabile di voto utile a sinistra, perchè costruire un'opposizione forte e credibile è più che mai necessario

Per questi motivi, e perchè credo nella Costituzione, nella dignità del lavoro, nei diritti di cittadinanza, nella difesa dei beni comuni, nella Politica 

Io voto RC"

Stefano - Bologna

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Finmeccanica: il capitalismo corrotto. E senza testa

di Nicola Melloni

da Liberazione

Ma lo scandalo non è un fulmine a ciel sereno

Lo scandalo Finmeccanica non è certo un fulmine a ciel sereno. Delle indagini sui vertici si sapeva da tempo, così come erano già uscite diverse intercettazioni compromettenti. Insomma, tutti erano al corrente di quel che stava per succedere. Tutti o quasi: il governo, azionista principale di Finmeccanica non se ne era accorto, e per dire qualcosa ha dovuto attendere lo showdown con la magistratura. Risultato: Finmeccanica crolla in borsa.
E questo appena una settimana dopo lo scandalo Eni-Saipem che ha visto coinvolto il primo gruppo industriale italiano. Le aziende simbolo del capitalismo “di stato” coinvolte in storie imbarazzanti con ricadute devastanti sul nostro sistema economico. Parliamo di due settori strategici, l’energia e la manifattura ad alto tasso di ricerca ed innovazione, che sono ora in balia dei marosi del mercato, mettendo a rischio prestigio internazionale (se mai ancora ce ne fosse stato) e futuro sviluppo industriale. Ed il governo? Assente, per scelta politica. Almeno così ci dicono. Un bel paradosso avere un ministro dello sviluppo economico che quando faceva il banchiere organizzava cordate, salvataggi ed investimenti (dai risultati epicamente catastrofici, come nel caso Alitalia) mentre da quando fa il Ministro teorizza il dovere di non fare politica industriale. Ma anche i governi precedenti non hanno certo brillato in questo senso. Berlusconi concentrato sui suoi interessi privati, ed il centrosinistra sempre timoroso di apparire troppo statalista e che invece di ripensare lo sviluppo economico ha deciso di delegare il tutto a manager pubblici e privati senza offrire alcun vero coordinamento politico.
Il risultato è che da tempo non esiste un progetto su come organizzare l’industria italiana e di come traghettarla nel XXI secolo e fuori dalla crisi. Per incuria, incompetenza ed interessi, spesso nascosti dietro la filosofia politica ed economica, si è rinunciato per tre decenni a fare politica industriale, spiegando che lo Stato deve star fuori dal mercato. Proprio mentre tutte le grandi economie vedono un nuovo protagonismo pubblico. Non solo, come da sempre, in Francia, ma anche negli Stati Uniti dove Obama ha rilanciato tanto l’industria verde quanto quella automobilistica, senza dimenticare che neanche i più liberisti tra i Repubblicani hanno mai perso di vista gli interessi delle industrie di punta americana, dalla difesa all’energia passando, ovviamente, per la finanza.
Niente di tutto questo è stato fatto in Italia. Eni è stata abbandonata dal governo, mentre inglesi e francesi sbarcavano in Libia per mettere la bandierina delle loro compagnie petrolifere a Tripoli. Finmeccanica, senza fondi per investimenti di grande respiro, è stata lasciata ad un management incompetente che si è disfatto di alcuni settori di primaria importanza come l’energia e il settore ferroviario, cioè due chiavi di volta dello sviluppo industriale presente e futuro. Che serve, allora, controllare due aziende come Eni e Finmeccanica se poi il governo non ha una visione chiara dell’assetto economico del Paese?
Ecco allora che sono gli interessi privati a farla da padrone, a discapito dell’interesse collettivo. Sono sempre i soliti noti a girare per tutte le stanze del potere, impegnati solamente a succhiare risorse alla nostra economia e non certo a farla crescere. Un sistema fatto di relazioni personali, di capitalismo famigliare e sottosviluppato che vaga senza una direzione precisa, senza nessun controllo pubblico. Non è diversa la situazione tra Finmeccanica e Mps, dove amministratori incapaci e, a quanto sembra, pure poco onesti, distruggevano un patrimonio industriale di lunga data, occupandosi del giorno per giorno senza saper cosa fare della propria azienda. Si dirà: questi sono i risultati perversi del rapporto politica-economia. Ma non è che nelle aziende totalmente private le cose vadano meglio, basta vedere gli scandali in cui si è infilato il vecchio cuore nevralgico dell’industria italiana, MedioBanca, mentre anche Generali passano da un complotto all’altro, con gli interessi privati degli azionisti che prevalgono continuamente sugli interessi pubblici dell’azienda.
Il problema è quello di un capitalismo acefalo. La vecchia struttura del dirigismo economico della Prima Repubblica ha perso il suo centro pensante, la politica, ed i suoi grandi dirigenti, da Cuccia a Mattei a Carli, cinghia di trasmissione della politica economica e, più volte, anche se non sempre con successo, argine contro i comitati di affari privati. Ora il capitalismo italiano è legato a consorterie e centri di potere senza guida e strategia, strattonato da una parte all’altra da interessi privati, dalla finanza cattolica (Gotti Tedeschi&C compaiono sia nei problemi di Finmeccanica che di Mps, senza dimenticarsi di Fazio e di tutti gli scandali di quel periodo), dai capitalisti di regime (Riva, Benetton, Tronchetti Provera) con la presenza dietro o davanti le quinte dei banchieri della politica (Passera stesso, Geronzi, Bazoli). Tutti, o quasi, impegnati in battaglie non di sistema ma di convenienza. Abbandonato a se stesso, il capitalismo italiano sembra sempre più una gallina senza testa che corre senza una direzione ben precisa, e ben presto destinata a stramazzare al suolo.

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I problemi... a Monte

di Nicola Melloni
da Liberazione

La storia di Mps si sta trasformando in cronaca giudiziaria. La banda del 5%, le tangenti, i manager infedeli. Tutto vero, e tutto da indagare, ma concentrarsi solamente su questo aspetto ci farebbe perdere di vista i problemi principali. La magistratura certo accerterà i comportamenti loschi di dipendenti e dirigenti e questo è sicuramente importante che venga fatto, ma dobbiamo ben tenere a mente che i veri problemi al Monte non sono quelli delle tangenti.
Mps è sull’orlo della bancarotta e deve essere salvata dallo Stato per le azioni, legali, intraprese dal gruppo dirigente al completo. Azioni e comportamenti tipici della finanza rapace che specula, crea valore fittizio e distrugge la ricchezza reale. Quella finanza fine a se stessa che ha perso il suo ruolo storico di intermediazione, di supporto dell’industria e dello sviluppo economico per divenire un organismo che succhia soldi e strangola l’economia reale. Quella finanza che è stata la causa della crisi. Monte Paschi ha intrapreso un modello di finanza simile a quello delle banche anglosassoni e, indebitandosi oltre ogni ragionevole limite, si è ritrovata a secco appena la bolla è scoppiata.
D’altronde il modello del debito è quello che ha inflazionato i mercati per quasi un ventennio, il cosiddetto "leverage", per cui le banche si esponevano e tuttora si espongono ben oltre il limite del loro capitale. Raccogliere più denaro possibile, per poi metterlo a frutto. E così, pure se per una operazione di acquisizione, fece Mps. Una situazione ormai classica nel mondo della finanza, in cui per massimizzare le possibilità di guadagno ci si espone il più possibile. Allo stesso tempo però si moltiplicano i rischi. Mps aveva puntato tutto su un numero solo, cioè l’aumento di valore degli asset di Antonveneta. Una mossa pazzesca ma che, appunto, rientra nella logica del gioco. D’altronde era quella stessa filosofia che giustificava le scommesse dei subprime, cioè su un mercato della casa che doveva per forza continuare a salire di valore per rendere sostenibili i conti delle banche.
Il collasso di quei mercati ha messo in ginocchio Lehman e le altre grandi banche anglosassoni, e lo stesso ha fatto, indirettamente per Mps, prima deprimendo il valore delle case e dei derivati, poi quello delle azioni bancarie. Il frutto di una logica perversa, non di azioni illegali. Quelle, se vogliamo, sono il contorno marcio. In molti casi usate per coprire l’indicibile, cioè quei buchi che avrebbero fatto crollare la fiducia degli investitori e portato sul lastrico le banche. E così il “fresh” di Mps, su cui indagano oggi le autorità, come anche le attività sospette di Barclays che pare prestasse denaro ai suoi investitori per comprare azioni di Barclays stessa, così da tenere alto artificialmente il valore di capitalizzazione.
Allo stesso tempo, però, questi fatti criminosi non vanno sottovalutati. Gli ultimi anni hanno visto il moltiplicarsi di episodi dai contorni quantomeno dubbi. Trader rapaci, squali del mercato, management infedeli, insider trading e manipolazione dei tassi di interesse hanno affollato le cronache dei giornali. Ora, tenuto conto che le banche, nonostante tutto, non assumono direttamente tra la "mala", questa situazione dovrebbe portare a qualche riflessione. In particolare sulla cultura prevalente dell’istituzione che mette il profitto sopra tutto, sopra gli interessi degli share holder, sopra il futuro e la solidità dell’azienda e dunque, indirettamente, sopra la legge. Se la logica è quella del profitto a tutti i costi, non ci si può poi sorprendere se tanti, troppi impiegati prendono questo dogma alla lettera.
In fondo è tutto giustificato della mano invisibile: il guadagno del privato porterà ad un miglioramento collettivo. Basterebbe ricordare come ad inizio anni Novanta, davanti alle ruberie di massa in Russia, la classica risposta dei neoliberal fosse “lasciateli rubare, stanno costruendo il capitalismo". In realtà stavano invece minando le fondamenta dell’edificio che dicevano di costruire. Col senno di poi, non sembra che in Occidente ci siamo poi comportati tanto meglio.

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