di Nicola Melloni
da Liberazione
Ma sono tutti matti questi Nord coreani? Questa è la legittima domanda che si potrebbero porre la maggioranza dei lettori italiani – e non solo – seguendo le notizie che arrivano dall’Asia. Un piccolo paese governato da una dinastia di autocrati che, di punto in bianco, o quasi, minaccia di andare in guerra contro gli Stati Uniti. Una follia, appunto.
In realtà le cose stanno in maniera piuttosto diversa. La Corea del Nord è un paese povero, poverissimo, nel mezzo di un conflitto geo-politico che va ben al di là dell’importanza di Pyongyang. Fino agli anni 70 era un paese di medio reddito, più ricco e sviluppato della Corea del Sud che, sfruttando abilmente il conflitto tra Cina e Urss, riusciva ad ottenere significative concessioni da entrambi. In quegli anni però, come in tutti i paesi socialisti, iniziò una seria stagnazione economica peggiorata ulteriormente dalla fine dell’Urss e dunque degli aiuti economici. Trovatasi senza il suo principale alleato, la Corea del Nord provò subito un riavvicinamento con il Sud e con l’America, ma fu inizialmente ignorato dall’amministrazione americana che, come per il caso di Cuba, si aspettava una rapida implosione del regime. Cosa, però, mai successa.
A fine anni Novanta, per la prima volta, la Corea del Sud ebbe un presidente progressista, Kim Dae Jung, che fece del buon vicinato con il Nord l’emblema della sua politica – la cosiddetta sunshine policy. Con ottimi risultati: le due squadre marciarono unite sotto una sola bandiera alle Olimpiadi di Sidney; e la distensione diplomatica favorì le prime visite di cittadini del Sud oltre confine per incontrare famigliari da cui erano stati separati per oltre 50 anni. Purtroppo, con la presidenza Bush le cose cominciarono a cambiare velocemente, con l’America nuovamente impegnata in una sorta di guerra santa contro “il male” e i cosiddetti stati-canaglia in cui la Corea del Nord venne subito inclusa. E’ in quel momento che la Corea del Nord comincia in grande stile un’operazione di riarmo a partire da armi atomiche – un chiaro messaggio indirizzato a Washington, che intanto invadeva Afghanistan e Iraq con una politica estera sempre più agressiva e minacciosa. La Corea del Nord, in realtà, usò il riarmo come arma diplomatica per potersi sedere al tavolo delle trattative con un maggior potere contrattuale, una mossa certamente rischiosa ma tutt’altro che folle. Ed anche la recente escalation ha una tempistica ben calcolata: solo pochi mesi fa, sia in Corea del Sud che in Giappone, vi sono state elezioni in cui hanno trionfato i conservatori nazionalisti, indisponibili al dialogo e che predicano una linea di fermezza con il Nord. Ed è recentissima l’esercitazione congiunta di Usa e Corea del Sud a poche miglia dalle coste del Nord.
Né si può dimenticare che al confine tra le due Coree sono di stanza 35 mila soldati americani, più altri 50 mila in Giappone. Insomma, una vera armata alle porte di casa che non fa altro che aumentare la sensazione di accerchiamento dei nord-coreani – che è un pò l’argomento che spesso si usa in Occidente per giustificare il riarmo israeliano ma che si evita accuratamente nel caso della Corea del Nord. In sintesi, se è vero che le manovre ostili di Pyongyang creano una situazione di altissima tensione, è però anche vero che non sono completamente folli e dunque, per allentare la tensione, l’unica cosa possibile da fare sarebbe un parziale disarmo su entrambi i fronti e rassicurazioni da parte americana sulla sicurezza di Pyongyang.
Scenario purtroppo implausibile. Soprattutto perché, in realtà, le truppe americane in Asia sono uno strumento di pressione e minaccia, non tanto contro Pyongyang quanto, piuttosto, contro Pechino. Non a caso la Cina è da anni supporter di una Corea rappacificata, in prospettiva unita, e soprattutto demilitarizzata – cosa che gli Usa non sono assolutamente disponibili a discutere, preferendo di fatto la sopravvivenza di un regime dittatoriale e ostile al Nord, che possa giustificare la loro presenza nella penisola coreana.
In realtà, dunque, il vero problema sono i rapporti tra Usa e Cina. Se quelli che ormai sono i due poli del potere politico ed economico del XXI secolo sapranno trovare una base per un rapporto reciprocamente proficuo, anche la situazione coreana potrà finalmente risolversi, con oltre vent’anni di ritardo rispetto alla fine della Guerra Fredda. Ma se la politica estera americana sarà ancora impostata sul contenimento della Cina e dunque sulla competizione invece che sulla cooperazione, allora le chance per mettere in sicurezza le coste settentrionali del Pacifico saranno assai scarse. Un banco di prova decisivo per la presidenza Obama.