mercoledì 15 maggio 2013

Lacrime di coccodrillo

di Nicola Melloni
da Liberazione

L’ultima moda europea è la crescita. Tutti vogliono la ripresa economica, a parole, anche se nessuno sa come ottenerla. Il massimo cui ci è spinti finora è richiedere qualche mese o anno di più per ridurre il deficit, come nel caso francese, mentre alcuni paesi, come l’Italia, per bocca del neo-ministro Saccomanni, rifiutano anche questo modestissimo aiuto.
Si tratta però di un palliativo, una misura assolutamente insufficiente che non rilancerebbe la crescita ma, al massimo, rallenterebbe la recessione. D’altronde l’Europa è dominata da un modello culturale che non sembra essere intaccato nemmeno dagli ultimi drammatici dati, con la disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 64% in Grecia ed il 58% in Spagna – in Portogallo è ferma sotto il 40% solo perché i giovani stanno emigrando in massa, un fenomeno sociale che ci riporta indietro di quasi un secolo. Gli ultimi vent’anni di storia europea sono stati caratterizzati da un monetarismo ed una ideologia anti-statale che frena qualsiasi tentativo di reagire al collasso economico. L’enfasi messa sull’austerity e sul pareggio di bilancio è la propaganda di chi pensa che lo Stato sia, a prescindere, parte del problema e non della soluzione. Un paradigma cui molta della cosiddetta sinistra europea ha felicemente contribuito nel corso degli anni, a cominciare naturalmente dal New Labour inglese di marca blairiana che pare ancora essere il modello di riferimento tra i socialisti europei. Una idea in sostanziale continuità con il famigerato patto di “stupidità” che legava mani e piedi alle politiche pubbliche in nome di una supposta superiorità del mercato.
Ora però tale costrutto ideologico è stato smentito dalla cruda realtà, come qualsiasi osservatore neutrale potrebbe facilmente notare: la crisi è nata sui mercati, in particolare nel settore finanziario, e la successiva crisi dei conti pubblici è il risultato del collasso economico e non certo la sua causa. Pensare dunque di risolvere un problema del settore privato – in continua recessione – con politiche punitive verso il settore pubblico è un controsenso economico e logico, che è stato abbracciato con entusiasmo in tutto il continente e da praticamente tutte le forze politiche di governo, conservatori e pseudo-socialsti, spagnoli e tedeschi. Mentre la Cina reagiva alla crisi con un programma di stimolo neo-keynesiano che controbilanciava la caduta della domanda internazionale, mentre Obama lanciava un mini-programma di sostegno pubblico all’economia che quantomeno invertiva, seppure parzialmente, l’andamento del Pil, la Ue nordica sta martirizzando le economie mediterranee. In realtà, dunque, non è lo Stato ad essere parte del problema, ma la politica, questa politica.
Il nostro paese ne è l’esempio più lampante. Quei partiti che hanno imposto un suicida fiscal compact, che hanno stravolto il mercato del lavoro con una riforma demenziale, che hanno cambiato la Costituzione, che hanno gettato l’Italia in recessione – e che di conseguenza hanno straperso le elezioni – si sono rimessi insieme e ci vengono a fare lezioni sulla crescita. Prima hanno distrutto il sistema, ora vorrebbero metterlo a posto, senza però neanche quel minimo sindacale di auto-critica, di analisi storica ed economica, di prospettiva politica che vada appena al di là della propaganda e del piccolo cabotaggio. Non c’è da stupirsi: sono rappresentanti di quel centro-sinistra che per 20 anni ci ha parlato solo di conti in ordine davanti ad un paese in declino, e uomini della destra impegnati soprattutto ad abbassare le tasse per i ricchi. Ora riapplicano solo le loro ricette, trite e ritrite ma soprattutto inutili, sperando in un miracolo. Che non avverrà.

Minimalismo PD

Di @MonicaRBedana

All'inizio fu la carta d'intenti, nella sua vastità imprecisa.
Conteneva il "pan" del centrosinistra, il “tutto”. Prefisso greco, un indizio ed un inizio di Pasok.

Poi vennero gli otto punti. Quelli cardinali erano andati smarriti in sede elettorale, ne servivano urgentemente quattro di ricambio mentre si resettava il gps. Apparecchio e apparato indicavano già la prima svolta a destra.

Ora tocca alle quattro proposte: a scuocerle ci vorrà meno che per i quattro salti in padella.

E’ una contra(ddi)zione programmatica selvaggia, che sfocia nel minimalismo perfetto; quello che credevo patrimonio esclusivo di grandi stilisti, di un Balenciaga magari, non certo di D’Alema.

L’applicazione rigorosa del menos es más, meno idee ma più confuse e ancor meglio disorganizzate. Che si raggrumano e si liquefano, gridando al miracolo ogni volta - a mo’ di sangue di San Gennaro, o di ennesima Epifania- nell’unica Idea in realtà mai partorita: il Partito.