In questi giorni si sta svolgendo nel Parlamento spagnolo il principale dibattito dell'anno, quello sullo stato della nazione. Serve a fare il punto sulla politica generale del Governo nell'anno trascorso dal dibattito precedente; è una sana pratica parlamentaria radicatasi nella II Legislatura, non sancita dalla Costituzione né dal Regolamento del Parlamento stesso.
Trasmesso in diretta da tutti i mezzi di comunicazione, minuziosamente regolato in quanto a modalità e tempi di intervento (uguali per tutti gli esponenti dell'arco parlamentario e rigorosamente rispettati, in un pregevole esercizio di cortesia e misura), suole fornire brillanti scontri retorici, coscienziosamente preparati con lungo anticipo, tra i rappresentanti delle varie forze politiche.
Il Presidente del Governo apre il dibattito col suo discorso.
Quest'anno, senza dubbio, i cittadini sanno perfettamente quale sia lo stato in cui versa la nazione, anche senza necessità di ascoltare l'intero dibattito; rimaneva da scoprire se la classe politica avesse realmente capito quale fosse lo stato dei cittadini in questo momento.
Nel suo ultimo, importantissimo discorso pubblico, quello destinato a fare l'amaro bilancio di quattro anni di legislatura in cui spesso si è avuta la senzazione che il Presidente fosse allo sbando, Zapatero ha riconosciuto colpe ed errori ed ha chiesto e teso la mano all'opposizione -che di fatto già governa il Paese nella maggioranza delle Regioni e dei Comuni- per portare a termine il mandato, recuperando almeno parte della serenità politica perduta nell'ultimo anno.
E alla fine del suo intervento, che probabilmente nasconde un addio, il Presidente ha ricordato i propri principî democratici e quelli degli indignados, che per la seconda volta in pochi giorni entrano di diritto in Parlamento, questa volta dalla porta principale.
Ecco la (mia) traduzione di quella significativa parte del discorso.
L'inquietudine ed il malessere prodotti dalla crisi hanno provocato che alcuni settori sociali dirigano, negli ultimi tempi, uno sguardo esigente al nostro sistema politico e gli reclamino esemplarità e risposte giuste. Anche questo sentimento forma parte dello stato della nazione.
La democrazia, la democrazia rappresentativa, è associata alle maggiori quote di libertà e benessere collettivo che gli esseri umani abbiano mai conosciuto. La nostra storia recente, quella degli ultimi trent'anni, ne è buona testimonianza.
Cosí è, precisamente, per il carattere di regime aperto, perfettibile nell'essenza, del sistema democratico; permeabile come nessun altro alle richieste e rivendicazioni dei cittadini. Se c'è democrazia c'è cambiamento, c'è risposta ai cambiamenti politici e sociali. Dal momento in cui arrivai al Governo nel 2004 ho sempre tenuto presente quest'idea e questa disposizione a promuovere miglioramenti democratici.
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Quel che abbiamo visto nelle ultime settimane sono manifestazioni, proteste e richieste realizzate sotto l'egida dei diritti democratici. Esse formano parte della fisiologia -e non della patologia- del nostro modello di convivenza; e rivendicano il valore della politica. Possiamo discrepare -io lo faccio- su molte delle proposte, molto eterogenee, che nascono da quegli incontri; devono però essere oggetto di rispetto -di un rispetto sincero, non retorico- e sono di indubitabile interesse per i governanti democratici. E lo sono proprio perché abbiamo l'obbligo permanente di dar risposta alle inquietudini sociali. Con umiltà.
E' la Spagna. Mi piacerebbe che potesse essere l'Italia. Domani, chissà... .
Monica Bedana