E così Napolitano si sarebbe scelto i saggi per rilanciare l'azione riformatrice del Parlamento - anche se non risulta che l'agenda politica del paese debba essere fissata dal Presidente della Repubblica, certo almeno non in una Repubblica parlamentare.
Una forzatura costituzionale - l'ennesima - che può forse essere giustificata con il grave momento di impasse politica ed istituzionale, di cui per altro Napolitano porta una gran parte di responsabilità. In realtà però, come è ormai chiaro, la mossa dei saggi è un escamotage per rilanciare la grande coalizione, che da quasi due anni è la vera ossessione del Presidente. Basta guardare la composizione per rendersi conto di cosa stiamo parlando. Tra i "riformatori" ci sono parlamentari - italiani ed europei - che siedono tra le fila del PD (Violante, quello del discorso alla Camera sulle garanzie extra legem date a B. sulla difesa delle sue reti televisive), PDL (Quagliariello - quello degli "assassini" di Eluana, ora trasformato in saggio...) e Monti (Mauro) più un finto esterno come Onida - già candidato a sindaco di Milano per il centrosinistra e protagonista negli ultimi giorni di numerosi interviste contro la cosiddetta ineleggibilità di Berlusconi. Insomma, le prove generali di un mega inciucio che esclude il M5S e il resto della società civile. Bel colpo, non c'è che dire.
Pure peggio tra i saggi economici, tutte persone provenienti dall'establishment, nessuna voce fuori dal coro (che so, un Gallino, un Rodotà) o rappresentante di altri tipi di interesse economici, non ci sono uomini del sindacato ma neanche delle imprese (che comunque sono spesso difese....). Ci sono solo uomini di palazzo, quel pezzo di classe dirigente collettivamente colpevole del disastro italiano. Non certo la maniera migliore di ripartire.
lunedì 1 aprile 2013
Il senso degli inglesi per l'antifascismo
Mai stato un fan del labour, e ancora meno del labour blair-style, di cui David Milliband è stato autorevole esponente. Sono stato molto contento quando suo fratello - per altro, mediocre - lo battè nella corsa alla leadership. Ma David Milliband oggi potrebbe insegnare politica a tutta l'Italia. Direttore non esecutivo di un club del Nord Est Inglese, il Sunderland, classica zona di blue collar che votano laburista, Milliband ha deciso di dimettersi in segno di protesta dopo che il club ha assunto come tecnico niente meno che Paolo Di Canio, ex calciatore e ora allenatore italiano e fascista.
Che dire, gli inglesi, il fascismo, che lo hanno combattutto e mai vissuto sulla pelle, lo prendono seriamente, al contrario di noi. Quando Di Canio fu assunto per la prima volta come allenatore in Inghilterra, allo Swindon Town, un sindacato bloccò la sponsorizzazione del club.
Con il fascismo non si scherza. Di Canio era un buon giocatore e forse potrà anche diventare un buon allenatore, ma rimane anche e soprattutto un fascista, uno che rimpiange la dittatura e tutto quello che, evidentemente, comportava - guerra, sterminio, carcere, manganelli e olio di ricino. Per la sinistra inglese, anche quella annacquata di Blair, tutto questo è intollerabile. Dalle nostre parti abbiamo invece fascisti alla Storace alleati con Berlusconi, abbiamo esponenti di punta del M5S parlare di un fascismo buono mentre Grillo cerca il dialogo con i fascisti di Casa Pound, abbiamo una sinistra o pseudo tale che ai tempi di D'Alema faceva sottosegretario il fascista Misserville.
Ecco, dopo aver idolatrato il labour per tutte le ragioni più sbagliate, ora prendiamo una lezione di politica e di stile: ai fascisti non si stringono le mani.
La Plaza de Mayo attende risposta
di MonicaRBedana
C'è da scommettere che il pontificato di Francesco I sarà squisitamente politico e profondamente rivolto all'azione sociale. Lo si intuisce raschiando appena la patina di umana tenerezza del suo discorso pubblico che tanto ci accattiva. Lo si auspica da un Papa che, da gesuita, ha parlato apertamente delle distorsioni sociali ed economiche generate dal dominio del capitalismo finanziario; del ruolo costrittivo svolto dal FMI sulle politiche economiche degli Stati sovrani; dei diritti violati o mai goduti del lavoro dipendente; della necessità di proteggerlo dalle aggressioni di un sistema che lo vede ormai solo come costo da abbattere insieme alla dignità dei lavoratori.
Se il nuovo Papa formerà il proprio Governo in consonanza con il proprio discorso pubblico, il risultato sarà molto lontano da quel governo tecnico che probabilmente toccherà di nuovo all'Italia. Non più gestori ed amministratori estranei ai problemi della società, ma persone che conoscono davvero "la periferia del mondo". E pare tiri vento di trasparenza perfino sullo IOR.
Se l'apertura verso l'esterno segnerà la direzione che vuol prendere questo pontificato,allora probabilmente verrà ascoltato in Vaticano l'invito formulato pubblicamente pochi giorni fa dall'ex-giudice Baltazar Garzón ad aprire gli archivi della Santa Sede riguardanti gli anni della dittatura militare argentina.
Garzón, che negli anni '90 aprì cause in Argentina per conto delle vittime spagnole della dittatura, è convinto che dai dossiers diplomatici tra Roma e Buenos Aires possano emergere dati importanti per chi sta ancora indagando sui crimini e le violazioni dei diritti umani tra il 1976 ed il 1983.
Dimostrare ora volontà di cooperare con le vittime della dittatura contribuirebbe a scacciare quei sospetti di indulgenza verso il regime dei militari che pesano sul passato dell'ex-arcivescovo di Buenos Aires.
Non è mai tardi per lenire il dolore di una ferita.
Le madri e le nonne della Plaza de Mayo scrissero più volte a Giovanni Paolo II; molte risposte non sono ancora giunte ma ora l'interlocutore di Roma, per conoscenza diretta dei fatti, può aprire un canale privilegiato che aiuti finalmente la giustizia a farsi strada. Se è vero che nessuno può "rubare la speranza".
C'è da scommettere che il pontificato di Francesco I sarà squisitamente politico e profondamente rivolto all'azione sociale. Lo si intuisce raschiando appena la patina di umana tenerezza del suo discorso pubblico che tanto ci accattiva. Lo si auspica da un Papa che, da gesuita, ha parlato apertamente delle distorsioni sociali ed economiche generate dal dominio del capitalismo finanziario; del ruolo costrittivo svolto dal FMI sulle politiche economiche degli Stati sovrani; dei diritti violati o mai goduti del lavoro dipendente; della necessità di proteggerlo dalle aggressioni di un sistema che lo vede ormai solo come costo da abbattere insieme alla dignità dei lavoratori.
Se il nuovo Papa formerà il proprio Governo in consonanza con il proprio discorso pubblico, il risultato sarà molto lontano da quel governo tecnico che probabilmente toccherà di nuovo all'Italia. Non più gestori ed amministratori estranei ai problemi della società, ma persone che conoscono davvero "la periferia del mondo". E pare tiri vento di trasparenza perfino sullo IOR.
Se l'apertura verso l'esterno segnerà la direzione che vuol prendere questo pontificato,allora probabilmente verrà ascoltato in Vaticano l'invito formulato pubblicamente pochi giorni fa dall'ex-giudice Baltazar Garzón ad aprire gli archivi della Santa Sede riguardanti gli anni della dittatura militare argentina.
Garzón, che negli anni '90 aprì cause in Argentina per conto delle vittime spagnole della dittatura, è convinto che dai dossiers diplomatici tra Roma e Buenos Aires possano emergere dati importanti per chi sta ancora indagando sui crimini e le violazioni dei diritti umani tra il 1976 ed il 1983.
Dimostrare ora volontà di cooperare con le vittime della dittatura contribuirebbe a scacciare quei sospetti di indulgenza verso il regime dei militari che pesano sul passato dell'ex-arcivescovo di Buenos Aires.
Non è mai tardi per lenire il dolore di una ferita.
Le madri e le nonne della Plaza de Mayo scrissero più volte a Giovanni Paolo II; molte risposte non sono ancora giunte ma ora l'interlocutore di Roma, per conoscenza diretta dei fatti, può aprire un canale privilegiato che aiuti finalmente la giustizia a farsi strada. Se è vero che nessuno può "rubare la speranza".
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