Responsabile di che, però, ci sarebbe da domandarsi.
Per i giornali, soprattutto per il Corrierone, Napolitano è l'ancora del Paese, quello che tiene ferma la rotta della governabilità. Che, non facendosi prendere da isterismi da campagna elettorale non dimentica l'interesse dell'Italia - e tantomeno i suoi impegni internazionali.
Quello, in fondo, che ha fatto per l'ultimo anno e mezzo quando davanti allo spread galoppante e alla crisi politica del dopo-Berlusconi ha trovato una soluzione non partigiana ma che garantisse la credibilità dell'Italia. Responsabile verso il Paese, dunque.
Oppure, si potrebbe dire che proprio per questo suo intervenire, Napolitano è si responsabile, ma della attuale crisi politica. Il suo intervento ha portato ad un orribile pasticcio, un governissimo senza alcun mandato popolare che ha peggiorato l'economia e fatto incazzare gli Italiani più di quanto già non fossero - Italiani che si sono puntualmente ribellati ad una politica di palazzo che non tiene in conto i loro bisogni.
Ed ora, da vero responsabile, Napolitano potrebbe provarci ancora, negando la possibilità di un governo di minoranza a guida PD (e perché? provarci almeno si può...) e cercando di riformare, nuovamente, una maggioranza improbabile (PD-PDL), sempre in nome della governabilità, che farebbe affondare definitivamente l'Italia ed esaspererebbe i cittadini.
Forse, da vero responsabile, potrebbe dimettersi, passare la mano, fare si che si formi una maggioranza sulla Presidenza ed avere un nuovo Capo dello Stato con pieni poteri, inclusi quello di sciogliere le Camere.
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domenica 3 marzo 2013
Grillo, la questione sociale e la rappresentanza politica
di Nicola Melloni
da Liberazione
Un recente post sul blog di Beppe Grillo spiega il voto in maniera semplice, anzi, semplicistica. Merita però una riflessione perché coglie alcuni passaggi essenziali non solo del voto ma della trasformazione del nostro Paese. Grillo analizza la società italiana come percorsa da una forte guerra generazionale, amplificata dalla presente crisi in cui i padri hanno conservato il posto di lavoro (e votano Pd e Pdl), mentre i figli si sono ritrovati senza soldi (e hanno votato M5S).
E’ una storia vecchia che riprende le visioni liberali e conservatrici di Ichino e Renzi e che distorce completamente la realtà della nostra economia. Se negli ultimi vent’anni la diseguaglianza in Italia si è accresciuta in maniera esponenziale non lo si può certo imputare alle generazioni più anziane. Come abbiamo più volte ricordato, il 10% della popolazione detiene quasi il 50% del patrimonio nazionale, un dato assolutamente incompatibile con l’idea dei vecchi ricchi contro i giovani poveri. A questo dato dobbiamo per altro aggiungerne un altro, e cioè la bassissima mobilità sociale, per cui sono soprattutto i giovani nati da famiglie meno abbienti a venire risucchiati nella povertà e nell’assenza di diritti – mentre quelli figli di professionisti, e medio-alta borghesia sono toccati solo marginalmente dalla crisi. Insomma, la diseguaglianza rimane un tema di classe e non certo demografico.
E’ però vero che le nuove generazioni stanno pagando un prezzo più alto, a cominciare dal mercato del lavoro dove si presentano più deboli perché con meno garanzie, e dunque ancora più sfruttabili. Un impoverimento progressivo che non lede solo le condizioni di vita materiale ma anche la rappresentanza politica, ed è su questo che Grillo ha giocato con successo. La crisi ha accelerato un processo di disorganizzazione e decomposizione di una parte di società sempre più distaccata dalle sue istituzioni. I “genitori”, le generazioni più mature, sono cresciute in un’Italia assai diversa da quella attuale, con i grandi partiti, le grandi organizzazioni di massa ed i sindacati. Attraverso la partecipazione, milioni di persone sono state abituate ed educate alla democrazia e, soprattutto, hanno trovato la possibilità di rappresentare i propri interessi collettivi.
Questo, ahimè, non è più vero per le nuove generazioni. Le modifiche del mercato del lavoro hanno espulso non solo dalle garanzie ma anche e soprattutto dalla rappresentanza, larghi strati di lavoratori che, come precari e partite Iva, sono al di fuori delle coperture sindacali. Nel frattempo, i partiti di massa sono quasi spariti, lasciando spazio ai cosiddetti partiti leggeri che sono però, nella maggior parte dei casi, partiti di elite. Questo vale anche per il Pd che ancora ha una certa ramificazione territoriale, ma che sopravvive soprattutto grazie ai suoi elettori di lunga data e quelli ancora articolati dalla Cgil e che ha cercato di ricreare un rapporto con la società attraverso la scelta diretta dei candidati invece che con la rappresentanza delle nuove problematiche sociali conseguenza della trasformazione del capitalismo ed, appunto, della crisi in atto. Ed ecco allora che il conflitto generazionale compare nell’urna, dove i giovani hanno scelto in grande maggioranza il Movimento Cinque Stelle perché fondamentalmente marginalizzati dalle istituzioni rappresentative. Si tratta di disoccupati e precari, ma anche studenti senza un futuro, e membri dei vari movimenti che sono stati ignorati completamente anche dopo il clamoroso successo del referendum sull’acqua pubblica.
Come dicevamo, la crisi ha poi acuito queste situazioni di disagio andandosi ad innestare su un sistema politico decrepito e immobile. Sia chiaro, l’incapacità dei grandi partiti di rappresentare una società in cambiamento non è certo un fatto nuovo. Ne possiamo trovare un esempio, non proprio confortante, nella Germania di fine anni 20 dove la Spd era egemone su quella parte di società che veniva da trent’anni di organizzazione sindacale e politica ma che non era in grado di intercettare i drammatici cambiamenti provocati dalla crisi e che portarono prima ad una forte avanzata dei comunisti e poi dei nazisti che fondarono la loro base di consenso anche e soprattutto tra disoccupati ed emarginati. Normale dunque che in una società disorganizzata e sempre più amorfa, lasciata a se stessa, possano emergere movimenti lideristici con parole d’ordine semplice ma efficaci. Il problema è che spesso questi movimenti, lungi dal tentare di cambiare le strutture di potere, diventano la barriera di difesa del sistema. In parte, ovviamente, questa è stata la parabola del Berlusconi uscito dal crollo della Prima Repubblica con parole d’ordine inizialmente rivoluzionarie che hanno poi lasciato spazio a ben altro. E rischia di esserlo, pur da una diversa prospettiva, anche nel caso di Grillo quando vediamo che il M5S, come ricordato recentemente anche dai Wu Ming, ha in realtà rappresentato un tappo a movimenti di critica radicale del modello sociale ed economico (mercato, capitalismo, politiche di austerity) veicolando la rabbia verso un sistema politico obiettivamente marcio e facendo, dunque, passare l’idea che i problemi dell’Italia siano gli sprechi e la corruzione (che nessuno nega) e non i rapporti economici, quelli si i veri responsabili della crescente diseguaglianza che Grillo dice di voler combattere.
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da Liberazione
Un recente post sul blog di Beppe Grillo spiega il voto in maniera semplice, anzi, semplicistica. Merita però una riflessione perché coglie alcuni passaggi essenziali non solo del voto ma della trasformazione del nostro Paese. Grillo analizza la società italiana come percorsa da una forte guerra generazionale, amplificata dalla presente crisi in cui i padri hanno conservato il posto di lavoro (e votano Pd e Pdl), mentre i figli si sono ritrovati senza soldi (e hanno votato M5S).
E’ una storia vecchia che riprende le visioni liberali e conservatrici di Ichino e Renzi e che distorce completamente la realtà della nostra economia. Se negli ultimi vent’anni la diseguaglianza in Italia si è accresciuta in maniera esponenziale non lo si può certo imputare alle generazioni più anziane. Come abbiamo più volte ricordato, il 10% della popolazione detiene quasi il 50% del patrimonio nazionale, un dato assolutamente incompatibile con l’idea dei vecchi ricchi contro i giovani poveri. A questo dato dobbiamo per altro aggiungerne un altro, e cioè la bassissima mobilità sociale, per cui sono soprattutto i giovani nati da famiglie meno abbienti a venire risucchiati nella povertà e nell’assenza di diritti – mentre quelli figli di professionisti, e medio-alta borghesia sono toccati solo marginalmente dalla crisi. Insomma, la diseguaglianza rimane un tema di classe e non certo demografico.
E’ però vero che le nuove generazioni stanno pagando un prezzo più alto, a cominciare dal mercato del lavoro dove si presentano più deboli perché con meno garanzie, e dunque ancora più sfruttabili. Un impoverimento progressivo che non lede solo le condizioni di vita materiale ma anche la rappresentanza politica, ed è su questo che Grillo ha giocato con successo. La crisi ha accelerato un processo di disorganizzazione e decomposizione di una parte di società sempre più distaccata dalle sue istituzioni. I “genitori”, le generazioni più mature, sono cresciute in un’Italia assai diversa da quella attuale, con i grandi partiti, le grandi organizzazioni di massa ed i sindacati. Attraverso la partecipazione, milioni di persone sono state abituate ed educate alla democrazia e, soprattutto, hanno trovato la possibilità di rappresentare i propri interessi collettivi.
Questo, ahimè, non è più vero per le nuove generazioni. Le modifiche del mercato del lavoro hanno espulso non solo dalle garanzie ma anche e soprattutto dalla rappresentanza, larghi strati di lavoratori che, come precari e partite Iva, sono al di fuori delle coperture sindacali. Nel frattempo, i partiti di massa sono quasi spariti, lasciando spazio ai cosiddetti partiti leggeri che sono però, nella maggior parte dei casi, partiti di elite. Questo vale anche per il Pd che ancora ha una certa ramificazione territoriale, ma che sopravvive soprattutto grazie ai suoi elettori di lunga data e quelli ancora articolati dalla Cgil e che ha cercato di ricreare un rapporto con la società attraverso la scelta diretta dei candidati invece che con la rappresentanza delle nuove problematiche sociali conseguenza della trasformazione del capitalismo ed, appunto, della crisi in atto. Ed ecco allora che il conflitto generazionale compare nell’urna, dove i giovani hanno scelto in grande maggioranza il Movimento Cinque Stelle perché fondamentalmente marginalizzati dalle istituzioni rappresentative. Si tratta di disoccupati e precari, ma anche studenti senza un futuro, e membri dei vari movimenti che sono stati ignorati completamente anche dopo il clamoroso successo del referendum sull’acqua pubblica.
Come dicevamo, la crisi ha poi acuito queste situazioni di disagio andandosi ad innestare su un sistema politico decrepito e immobile. Sia chiaro, l’incapacità dei grandi partiti di rappresentare una società in cambiamento non è certo un fatto nuovo. Ne possiamo trovare un esempio, non proprio confortante, nella Germania di fine anni 20 dove la Spd era egemone su quella parte di società che veniva da trent’anni di organizzazione sindacale e politica ma che non era in grado di intercettare i drammatici cambiamenti provocati dalla crisi e che portarono prima ad una forte avanzata dei comunisti e poi dei nazisti che fondarono la loro base di consenso anche e soprattutto tra disoccupati ed emarginati. Normale dunque che in una società disorganizzata e sempre più amorfa, lasciata a se stessa, possano emergere movimenti lideristici con parole d’ordine semplice ma efficaci. Il problema è che spesso questi movimenti, lungi dal tentare di cambiare le strutture di potere, diventano la barriera di difesa del sistema. In parte, ovviamente, questa è stata la parabola del Berlusconi uscito dal crollo della Prima Repubblica con parole d’ordine inizialmente rivoluzionarie che hanno poi lasciato spazio a ben altro. E rischia di esserlo, pur da una diversa prospettiva, anche nel caso di Grillo quando vediamo che il M5S, come ricordato recentemente anche dai Wu Ming, ha in realtà rappresentato un tappo a movimenti di critica radicale del modello sociale ed economico (mercato, capitalismo, politiche di austerity) veicolando la rabbia verso un sistema politico obiettivamente marcio e facendo, dunque, passare l’idea che i problemi dell’Italia siano gli sprechi e la corruzione (che nessuno nega) e non i rapporti economici, quelli si i veri responsabili della crescente diseguaglianza che Grillo dice di voler combattere.
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