di Nicola Melloni
da Liberazione
Quella del populismo è ormai divenuta un’accusa classica, la sentiamo sui giornali un giorno sì e l’altro pure e serve ad indicare i partiti e le forze politiche inadatte a governare. Inadatte per chi e per quali motivi però? Populisti sarebbero quei politici che parlano al popolo, magari cercando di lisciargli il pelo per acquistare popolarità e consenso. In questo senso, l’uscita domenicale di Berlusconi, ridare l’Imu in contanti, è ovviamente una trovata populista. In realtà però il problema della trovata di Berlusconi non è il populismo, quanto piuttosto il contenuto della proposta stessa che rimane in linea con il Berlusconi di sempre che in passato le tasse le ha abbassate solo ai ricchi togliendo la tassa di successione e l’Ici per le case dei più abbienti. Parlare di Imu non può essere populista a prescindere, bisogna però sapere (e dire!) come verrà finanziata la soppressione di quella tassa, perché quei soldi andranno comunque trovati da qualche altra parte, o con maggiori tasse o con minori servizi. Il punto sarebbe dunque non tanto abolire l’Imu, quanto sostituirla con una tassa patrimoniale vera e propria che colpisca i cittadini oltre una certa fascia di reddito. Lo abbiamo detto più volte, infatti, che una tassa come l’Imu che colpisce indiscriminatamente non ha senso ed è ingiusta in quanto, invece di tagliare le unghie alle grandi ricchezze, colpisce il reddito della maggior parte dei lavoratori e dei pensionati. Invece, una vera tassa patrimoniale che tassi le proprietà, mobiliari ed immobiliari, dei cittadini più ricchi è moralmente giusta ed economicamente indispensabile. Sempre, a maggior ragione in un periodo di crisi del debito. In conclusione, quindi, non è tanto il populismo ad essere questionabile nella proposta berlusconiana, quanto piuttosto il contenuto della proposta stessa.
Nel linguaggio politico corrente, populista è diventato, più o meno, un sinonimo di demagogo, e a volte il termine sembra venir usato più per riferirsi ad un certo tipo di stile, piuttosto che alla linea politica che vi è sottesa. Così Grillo, che minaccia di portare l’Italia fuori dall’Euro, è un populista. Ma Cameron che vuole tenere un referendum sull’uscita della Gran Bretagna dalla Ue non lo è. Similmente, Chavez viene considerato un classico esempio di populismo del XXI secolo perché, dicono, mette a repentaglio la stabilità economica per cercare di ridistribuire la ricchezza in Venezuela. Ma non potremmo forse definire populista la Cancelliera Merkel che pur di non contrariare gli elettori tedeschi ha rischiato e rischia tuttora di distruggere la moneta unica?
Il problema non è dunque solo lo stile: l’accusa di populismo è rivolta soprattutto a chi infastidisce o minaccia i poteri dominanti. Non a caso il termine cominciò a tornare di gran moda negli anni Ottanta, in coincidenza con l’ascesa del neo-liberismo. Mentre in America ed Inghilterra imperavano due demagoghi come Reagan e la Thatcher, sempre pronti a stuzzicare gli istinti più bassi dei loro elettori pur di attrarre un po’ di consenso, l’intellighenzia mediatica e politica additava al pubblico ludibrio tutti quei leader che si rifiutavano di piegarsi al diktat neoliberale. Cercare di ridurre la disoccupazione era populista. Alzare le tasse ai ricchi era populista. Ad un certo punto anche manifestare per la pace era populista. Il sottinteso, abbracciato con forza soprattutto dalla sinistra di governo, e non solo in Italia, era (anzi, è) che le forze politiche che ambiscono a governare devono fare, direi quasi per forza, scelte impopolari. Se il popolo chiede una cosa, che so, stabilità nel lavoro, ridistribuzione fiscale, pace, tu fai l’esatto contrario e avrai l’applauso incondizionato di media, opinion-maker, e naturalmente dei mercati. La falsa logica che condannava il cosiddetto populismo è che esistevano ricette e politiche corrette e dunque ineludibili e bisognava semplicemente eseguirle. Non era più un problema di destra o sinistra, ma di giusto o sbagliato. I populisti sbagliavano perché volevano favorire il loro elettorato, a scapito del bene collettivo. I bravi, i neoliberali ovviamente, sceglievano il giusto con totale disinteresse delle conseguenze elettorali. Come no….
La storia ha naturalmente mostrato una realtà ben diversa da quella propagandata per trent’anni. Ma le accuse di populismo rimangono esattamente le stesse. In Grecia, di fronte al disastro completo e alle ruberie di Nuova Democrazia e Pasok, tutto l’establishment europeo si è schierato a favore dei responsabili della crisi. Syriza era populista: rifiutava, pensate un po’, il piano di “salvataggio” dell’Europa. Ed ora, in Italia, è la stessa storia. Rivoluzione Civile rifiuta il Fiscal compact e la riforma del lavoro. Populisti, inadatti a governare. Che il Pd sostenesse posizioni simili solo un paio di anni fa non conta nulla. Che l’austerity non abbia funzionato non è importante. Qualcuno ha già deciso che il Fiscal compact va bene lo stesso. Che in Italia il precariato abbia portato a diseguaglianze, povertà e abbassamento della produttività non è rilevante. La riforma Fornero non si tocca. Chi si oppone è un populista, appunto. Non importa che abbia ragione.
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mercoledì 6 febbraio 2013
Al voto, al voto 3
Terza puntata dell'appuntamento al voto, aspettando altri contributi
"Voto Rivoluzione Civile
perche' sono stufa della prassi politica degli ultimi venti anni e della
mentalita' che ne ha ispirato le scelte. Voto Rivoluzione
Civile perche' sono stufa della corruzione e dell'iniquita' del governo
berlusconiano e delle politiche di distruzione dei diritti sociali del
governo Monti.
Voto
Rivoluzione Civile perche' e' l'unica sinistra possibile in questo
panorama politico, in cui il PD si allea ad esponenti e difensori delle
oligarchie finanziarie e si rende complice delle disastrose scelte che
hanno flagellato l'Italia negli ultimi mesi.
Voto Rivoluzione Civile
perche' lo ritengo l'unico modo per riportare nel dibattito politico
temi importanti come quelli del lavoro, della dignita' umana,
dell'ambiente, della cultura, della pace e soprattutto della giustizia."Eleonora, Madrid
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Gianni Rinaldini con Rivoluzione Civile
Proponiamo di seguito l'intervista apparsa su Liberazione di Gianni Rinaldini, ex segretario generale della FIOM prima di Landini. Una figura storica del sindacalismo italiano che spiega con efficacia perché il voto per RC è l'unica vera alternativa di sinistra.
da Liberazione
Io parto dal dato di fatto delle forze politiche che si presentano alle elezioni. Mi rendo conto che per quanto riguarda Rivoluzione Civile ci sono stati dei limiti evidenti nella costruzione delle liste e anche nel come è iniziata la campagna elettorale. So che in giro ci sono molti dubbi, io credo però che a un certo punto uno debba fare i conti con la realtà. E la realtà è che l’unico modo per avere una rappresentanza parlamentare non appiattita sulle esperienze degli ultimi governi di Berlusconi e Monti è votare Ingroia.
Ci sono tuoi ex compagni della Fiom che hanno fatto scelte diverse dalla tua…
Lo trovo assolutamente normale, la Fiom è sempre stata così. Ci sono dirigenti e delegati che hanno sempre lavorato assieme pur avendo collocazioni politiche diverse e che spero continuino a farlo, anche in Parlamento. Del resto questo è sempre stato l’elemento di forza della Fiom, che non è mai stato un sindacato appiattito su una forza politica.
A proposito dei rapporti tra sindacato e politica, ha suscitato forti polemiche la decisione della Cgil di non invitare Ingroia alla conferenza sul programma.
La Cgil ha sbagliato. Non è mai successo nella storia della Cgil di organizzare una iniziativa del genere chiamando come interlocutore un solo soggetto politico. Ma scherziamo? Nemmeno quando c’era il Pci è successa una cosa del genere. Credo che sia stato un errore preoccupante, perché fa trasparire un’idea del rapporto con la politica ancora una volta impostato secondo la logica del governo amico-governo nemico. E ciò è evidente che non va bene. L’altra considerazione sulle elezioni che mi sento di fare, riguarda la situazione pericolosa che sta attraversando questo paese.
Cioè?
Io non sono tra quelli che pensano che siccome cresce il disagio, aumentano le prospettive della sinistra. Anzi, la storia insegna che spesso è accaduto il contrario. Ci sono dei segnali inquietanti di non tenuta sulla democrazia in questo paese, segnali che vanno da quello che continua a succedere alla Fiat, con la vicenda dei lavoratori di Pomigliano tenuti fuori dalla fabbrica, fino al fatto che andremo a votare con un sistema elettorale folle. E ciò per colpa anche del Pd, il quale non ha neanche posto come condizione per l’adesione al governo Monti la modifica della legge elettorale. Siccome non credo che Pd e SeL siano talmente avventuristi da pensare di poter governare questo paese con il 35-37%, è evidente che dovranno fare un’alleanza. Dire con chi e sulla base di quali contenuti mi sembra un atto dovuto da parte di chi si propone come forza di governo.
C’è un attore, Ivano Marescotti, che, come te, ha dichiarato che voterà per Ingroia. Però ha anche aggiunto che se in Lombardia al Senato i sondaggi indicassero un testa a testa, lui non se la sentirebbe di far perdere il centrosinistra per un pugno di voti. Perciò voterebbe Rivoluzione Civile alla Camera e centrosinistra al Senato. Tu come ti comporteresti, se per ipotesi votassi in Lombardia?
Io voterei Rivoluzione Civile anche al Senato, per le ragioni che ho spiegato prima. Il problema non è se uno schieramento riesce ad avere la maggioranza al Senato con due o tre senatori in più. Il problema è che con il 35-37% dei consensi non si può pensare di governare questo paese. Per questo penso che la questione del voto utile, posta in questo contesto elettorale, sia una presa in giro. Non stiamo parlando di partiti che rischiano di prendere il 49% piuttosto che il 51%.
Prima hai accennato a dei limiti nell’inizio della campagna elettorale di Ingroia. A cosa ti riferivi?
Io ritengo che questa prima fase della campagna elettorale sia stata troppo condizionata da un terreno proposto dagli altri. Credo - e per quello che posso lavorerò in questo senso - che invece bisogna rimettere al centro il problema del lavoro, dei diritti e della democrazia. Ingroia ha cominciato a farlo, deve continuare così. Perché sono le questioni che interessano alla nostra gente: i lavoratori, i precari, i disoccupati, chi vive situazioni di disagio sociale. Altrimenti questa gente, a partire dai giovani, vota Grillo.
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