mercoledì 29 agosto 2012

La Resistenza del Sulcis


Il 27 agosto i minatori della Carbosulcis si rinchiudono sottoterra a Nuraxi Figus, Sulcis-Inglesiente.
Precedentemente gli operai dell’Alcoa di Portovesme (ancora Sulcis-Iglesiente) avevano prima bloccato la strada per l’aeroporto, poi si erano buttati in mare per impedire l’attracco di una nave nel porto di Cagliari.
Ma già nel gennaio scorso durante un’accesa puntata della trasmissione “Servizio Pubblico”, era esplosa contro l’ex ministro Castelli la rabbia di Antonello Pirotto, cassaintegrato dell’Euroallumina di Portovesme (frazione di Portoscuso, Sulcis).
Di quell’episodio ricordo due sensazioni. Uno: l’imbarazzo - di quando si assiste ad una solitaria dimostrazione di coraggio - come se, abituati a convivere con il potere, ci sembra una trasgressione smascherarne le prevaricazioni e vorremmo evitare il senso vuoto da “terra bruciata” che sappiamo certamente seguirà. Due: la solidarietà - non tanto per il contenuto di quelle affermazioni ma per la straordinaria personalizzazione dell’attacco. Oltre all’insulto c’era infatti l’orgoglio di un uomo che si sentiva personalmente colpito dall’astrattezza e dall’indifferenza della politica. Nel suo urlo anaforico il “lavoro” veniva invocato come soluzione per rimettere in marcia il commercio e l’economia. E non in un territorio qualsiasi, ma: “nel mio territorio” o meglio “nel mio territorio, distrutto”.
I minatori di Nuraxi Figus compiono oggi un gesto plateale e lo fanno a nome di un’intera area depressa e in grave sofferenza. Se per gli agricoltori c’è l’occupazione della terra e per gli operai quella delle fabbriche, per chi lavora nel sottosuolo dare visibilità alla propria protesta significa “inabissarsi”. La lotta è quasi una punizione, una sorta di sacrificio  - perché quei luoghi funzionano ai nostri occhi come allegorie di cavità ctonie, recessi angusti dove è sempre notte.
E mi colpisce, per un inevitabile gioco di interferenze letterarie (pirandelliane, ariostesche) che mentre nei giorni scorsi la cronaca celebrava, come atto di scoperta e libertà, il primo passo dell’uomo sulla luna, un centinaio di uomini decideva di difendere il proprio diritto alla libertà facendo un viaggio inverso, ma altrettanto simbolico e “soprannaturale”. Come il vallone lunare per il duca Astolfo, per i minatori del Sulcis è il cuore della terra che custodisce ciò che sulla terra si perde: il lavoro, la dignità, la libertà. Ma se tale perdita accade e non vi si pone rimedio - ce lo ricordano i minatori con la loro lotta - non è certo per “nostro difetto o per colpa di tempo o di Fortuna”.

Francesca






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