di Nicola Melloni
da Liberazione
Ci sono novità interessanti nel Discorso sullo stato dell'Unione
Discorso di alto profilo quello di Obama sullo Stato
dell’Unione, il primo vero intervento dopo essere stato rieletto. Un
discorso che spazia in lungo e in largo, di ampio respiro e che rimette
le politica democratica – nel suo senso più alto, non di partito – al
centro della scena.
Obama, è bene ricordarlo a quanti lo temono (e ai pochi che lo sperano),
non è un socialista. Tutt’altro. Nella sua visione del mondo, il
mercato rimane il perno fondamentale attorno a cui ruota l’America e il
mondo. E trova pure faticoso, se non proprio strano, regolarlo, come ha
dimostrato durante il suo primo mandato.
Il presidente americano è però un vero democratico attento al
funzionamento del sistema politico e alla sua capacità di ascolto ed
inclusione. Obama non teme il mercato come meccanismo economico, ma è
conscio della minaccia che il mercato rappresenta per la democrazia. In
particolare di come la marginalizzazione economica e lo sfruttamento
stiano sempre più portando verso l’espulsione di fatto dalla
cittadinanza di larghe fasce di popolazione.
In fondo questo è la democrazia, almeno per come la concepisce Obama:
inclusione e diritti, siano essi civili o sociali (largamente non
economici, comunque, e per questo non è e non sarà mai un socialista).
Nel primo term la sua battaglia di bandiera fu la riforma sanitaria. Che
molti commentatori, noi compresi, giudicammo duramente, perché non
intaccò il potere delle assicurazioni private, né cambiò la natura del
sistema sanitario. Ma ottenne indubbiamente un risultato, la copertura
sanitaria per molti dei milioni di americani che ne erano esclusi.
Appunto, inclusione e allargamento dei diritti.
Adesso Obama torna alla carica con un programma ancora più vasto. Ed
allora salario minimo innalzato per fermare l’immiserimento della
società americana, ben sapendo che i più poveri, negli Usa, sono
esclusi, sono cittadini di serie B. E poi la scuola. Una scuola
migliore, che vuol dire dare più opportunità a chi non si può permettere
le rette delle scuole dei ricchi, e vuole anche dire una scuola che
cominci prima, perché migliora l’educazione, ma anche perché libera le
tante madri-lavoratrici dall’impossibile compito di sfamare ed educare i
figli allo stesso momento. E il tema dell’attiva emancipazione delle
donne ricorre spesso nel discorso di Obama, che vuole eliminare la
scandalosa differenza di sesso nei salari. Infine, naturalmente, gli
immigrati: lo stato che più di ogni altro deve la sua prosperità
all’emigrazione si è chiuso in se stesso e ha alzato muri contro i
diversi, ed il Presidente nero figlio di un padre keniota vuol fare sua
la battaglia sui diritti degli immigrati.
Si tratta di una pagina di buona, ottima politica. L’America è da sempre
lo Stato occidentale dove la cittadinanza ed i diritti sono più a
rischio – basti pensare agli ostacoli esistenti per esercitare il
diritto di voto – mentre l’Europa è stato, per gli ultimi sessant'anni,
il continente della socialdemocrazia. Ma con la crisi finanziaria le
posizioni si stanno invertendo: mentre Obama diventa il paladino dei
diritti, in Europa assistiamo ad un attacco concentrico al “diritto di
avere diritti”, come direbbe Stefano Rodotà. A cominciare, naturalmente,
da Marchionne, “l’americano” che sequestra diritti in cambio di tozzi
di pane. Continuando con un’ Europa dove il diritto alla casa, al
lavoro, alla stessa assistenza medica (dalle privatizzazioni spagnole
allo sfascio sanitario greco) vengono continuamente messi in
discussione. Per finire, naturalmente, con una politica in cui intere
popolazioni sono tenute sotto ricatto, a volte dai mercati, a volte
dalla Ue. Tutti elementi di una società malata e di una democrazia
corrotta. Ricominciare a intendere la politica attraverso l’inclusione,
come fa Obama, contro l’esclusione di marca neoliberista sarebbe allora
un ottimo punto di partenza per la rinascita di un vero movimento
democratico.
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