La scelta di Standard&Poor’s di rivedere al ribasso le prospettive sui
titoli del debito USA è, dal punto di vista formale, un fatto di grande
importanza in quanto le agenzie di rating internazionale certificano che i
conti degli Stati Uniti sono in disordine e che, potenzialmente, i titoli di
stato dell’economia più grande del mondo potrebbero divenire un investimento
rischioso. In realtà, tutto questo lo si sapeva già da tempo. La prima reazione
della Casa Bianca è stata di denunciare il giudizio di S&P come scelta
politica ed indubbiamente lo è, come tutte le scelte delle agenzie di rating –
erano fondamentalmente politiche le motivazioni che negli scorsi anni avevano
evitato il declassamento del debito americano pure a fronte di una dinamica dei
conti pubblici che in qualsiasi altro paese avrebbe portato ad ondate di panico
e speculazione finanziaria.
Il giudizio è politico perchè si inserisce nel dibattito in corso tra
Repubblicani e Democratici su come organizzare il sistema pubblico nei prossimi
anni. I repubblicani sono partiti all’attacco con il cosiddetto piano Ryan che
prevede tagli fiscali per i ricchi e la sostanziale privatizzazione di
Medicare, sostituendo la copertura assicurativa pubblica con un sistema di
voucher da spendere nel mercato privato. Come ormai sempre più spesso accade,
le ricette proposte dai Repubblicani – checchè ne dica Alberto Alesina sul
Corriere – non hanno nessuna consistenza economica. L’introduzione di voucher di
per sè non diminuisce i costi pubblici, a meno che tali voucher non abbiano un
valore inferiore alla copertura finora garantita, costringendo i cittadini
(soprattutto gli anziani) ad integrare di tasca propria il valore inferiore. Il
punto più dolente riguarda però i tagli fiscali che, secondo Ryan&C. dovrebbero
far crescere l’economia e quindi rimettere in sesto i conti pubblici, una
riproposizione di una delle più grandi bufale degli ultimi 30 anni, la curva di
Laffer. Durante gli anni di Reagan furono abbassate le tasse ai ricchi sostenendo
che sarebbe cresciuta l’imposta fiscale, ed invece il debito americano cominciò
ad esplodere proprio in quegli anni. La riproposizione degli stessi tagli
durante la presidenza di Bush jr ebbe esattamente gli stessi effetti, ed
infatti l’ufficio budget del Congresso prevede che il piano Ryan, pur con i
tagli sociali che accompagnerebbero le minori tasse, non inciderebbe su deficit
e debito.
Di fronte a questo piano Obama ha abbozzato. Prima ha accettato un piano
provvisorio per i prossimi mesi per evitare la chiusura degli uffici pubblici
che ricalcava il progetto repubblicano. Poi ha avanzato le sue proposte per il
piano definitivo, all’insegna della coesione sociale ed apparentemente in
chiara opposizione con la destra liberista. Il problema è che il piano
definitivo sarà una decisione bipartisan presa da una commissione in cui
repubblicani e democratici devono trovare un punto d’incontro. S&P, con il
suo outlook negativo, ha dunque mandato un chiaro segnale politico: non
crediamo molto alla possibilità di accordo, ma è indispensabile raggiungerlo o
le conseguenze saranno catastrofiche.
In realtà le cose sono ben più complesse. Gli interessi pagati sul debito
pubblico americano sono ancora molto bassi (il mercato quindi non mette in
conto un rischio default, al contrario di quel che succede in Portogallo o
Grecia) e quindi questa urgenza sul debito, problema che pure esiste, sembra
malposta. I repubblicani usano il problema delle finanze dello stato federale
per portare avanti la loro battaglia di classe, tagli ai poveri, soldi ai
ricchi, quello che hanno fatto negli ultimi 30 anni e che è la causa ultima del
dissesto dei conti pubblici. Obama dovrebbe invece occuparsi dei problemi
concreti dell’economia americana, mettere in moto un sistema virtuoso che eviti
il ripetersi della crisi. Da una parte bisogna riequilibrare la distribuzione
del reddito, dall’altra dare solide basi per la crescita economica che al
momento è debole e non porta alla riduzione della disoccupazione. Tagliare gli
investimenti pubblici avrebbe un effetto recessivo, mentre diminuire le tasse
per i ricchi non garantirebbe maggiori investimenti privati. Obama ha bisogno
di riacquistare una visione politica dei problemi, quella visione che gli aveva
garantito l’elezione alla Casa Bianca ma che sembra aver smarrito
immediatamente dopo. Perdere quest’ultima opportunità sull’altare dei
compromessi sancirebbe la sua definitiva sconfitta ed un futuro assai fosco per
il capitalismo americano.
Nicola Melloni
(Liberazione)
(Liberazione)