Il dumping sociale, cioè lo sfruttamento delle differenze salariali e legislative tra paesi per massimizzare i profitti, è una pratica ormai consolidata presso gli imprenditori occidentali ed in taluni casi presso le pubbliche amministrazioni. Dagli anni '90 c'è stata una migrazione di stabilimenti manifatturieri verso i Paesi dell'Europa orientale, dove i salari sono parecchio inferiori a quelli dei paesi occidentali e le leggi in materia di tutela del lavoro e dell'ambiente sono generalmente lasche. L'ingresso nella UE di dodici nazioni tra il 2004 ed il 2007 ha istituzionalizzato la pratica attraverso l'abbattimento alla circolazione di merci e persone e grazie all'introduzione di direttive che permettono alle aziende di applicare le norme contrattuali del paese in cui hanno la sede legale anche nel momento in cui operano altrove, dove i salati sono più elevati e le norme più orientate alla tutela del lavoratore. Ecco quindi ad esempio i casi della compagnia di navigazione finlandese che prende bandiera estone e abbatte i salari, delle aziende di trasporti che trasferiscono la sede in Polonia ed applicano le norme polacche ai dipendenti polacchi trasferiti in Germania, o delle imprese di costruzioni portoghesi ed italiane che vincono appalti nel Regno Unito ed impiegano manodopera dei paesi d'origine alle condizioni dei paesi d'origine. A guadagnarci sono gli imprenditori, a perderci i lavoratori.
Lunedì 24 settembre nelle strade di Bruxelles echeggiava lo slogan "stessa mansione, stessa paga". A scandirlo un centinaio di autotrasportatori che hanno condotto a bassa velocità i propri mezzi lungo le arterie cittadine, come forma di protesta contro l'impiego di lavoratori dell'Europa orientale da parte di alcuni operatori del settore per abbattere il costo del lavoro. Ciò ha un effetto negativo tanto sugli autotrasportatori occidentali, costretti ad accettare condizioni salariali e di lavoro via via peggiori, quanto su quelli orientali, privati di diritti e costretti a vivere in situazioni precarie. Da rilevare che a porre la questione in questi termini sia una categoria solitamente definita individualista e corporativa. Negli ultimi anni, per contro, le critiche alle politiche comunitarie provenienti dalla sinistra partitica e sindacale hanno assunto toni nazionalistici ed orientate alla scissione della UE. Come dire: ognuno per sé e dio per tutti.
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