Non sono ancora iniziate ufficialmente, ed è già polemica. Le Olimpiadi di Londra sono decisamente partite col piede sbagliato. Non mi riferisco alla gaffe - tipica della disorganizzazione e sciattonaggine inglese - di confondere Corea del Nord e Corea del Sud, che comunque è un errore offensivo ed imperdonabile.
Ma il vero scandalo è la decisione del governo brittanico di non dare il visto per entrare a Londra al presidente bielorusso Lukashenko che è, tra le altre cose, anche il presidente del comitato olimpico di quel paese. Sia chiaro che qui nessuno difende Lukashenko, uno degli ultimi dittatori europei. Ma la decisione inglese non solo viola la tregua olimpica ma è anche un atto ingiustificabile di colonialismo culturale e sportivo.
A Londra passeggiano a piede libero diversi dittatori ben peggiori di Lukashenko. Tutti ricorderanno che Pinochet fu arrestato proprio nella capitale inglese ma su richiesta del giudice spagnolo Garzon e che il governo brittanico fece di tutto per farlo rilasciare, magari dopo un tè con Margaret Thatcher. Inoltre ai vari sceicchi arabi e membri della famiglia reale saudita è data mano libera a Londra, dove custodiscono molti del loro soldi, hanno macchine, appartamenti e squadre di calcio. Ma si sa, se sono amici allora non sono dittatori, ci mancherebbe.
Il punto però è un altro. Londra ha sicuramente diritto di fare la politica dei visti come meglio preferisce, o forse a favore di chi meglio la paga. Ma le Olimpiadi sono un fatto diverso. Le Olimpiadi sono un evento internazionale che Londra ospita, ma non sono un fatto privato inglese. Che venga deciso che un membro di un comitato olimpico di un altro paese non posso partecipare ai giochi è a dir poco raccapricciante.
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