mercoledì 13 luglio 2011

Quello che serve è una forte integrazione politica per dare un governo all'Euro
di Nicola Melloni

Sono nubi nerissime quelle che si addensano sull'Italia. Le attenzioni particolari della speculazione internazionale rischiano di precipitare il paese in una situazione greca, mandando gambe all'aria la nostra economia e di travolgere l'intera area-euro. L'establishment si sta già preparando: finanziaria bi-partisan a colpi di machete (manovra extra da 40 miliardi), privatizzazioni di poste e ferrovie, deregolamentazione finale del mercato del lavoro con l'abbandono della contrattazione nazionale usata come moneta di scambio con le imprese per richiedere un contributo fiscale eccezionale (la patrimoniale). Il tutto in una situazione di sospensione della democrazia, con un governo tecnico e non politico, che salirebbe al Quirinale con l'unico obiettivo di tranquillizzare i mercati e fare di tutto, e pure di più, per salvare l'Euro.

L'Italia, però, non è la Grecia. L'Italia è la terza economia dell'area euro e il suo peso economico non può essere sottovalutato, nè dai mercati né dalla Ue. Si tratta, però, di dare una voce politica a questo peso economico, una voce in grado di rispondere agli attacchi ed anzi passare al contrattacco. Tre sono le direttrici fondamentali. In ambito europeo bisogna cambiare modalità di intervento. Se l'Italia non può permettersi di uscire dall'Euro, l'Euro non può permettersi di perdere l'Italia. Dunque l'Europa tutta deve farsi carico di problemi che non sono solamente nazionali, ma coinvolgono una parte sempre più ampia del Continente. Bisogna immediatamente spingere per una forte integrazione politica per dare un governo all'Euro, con piani di salvataggio basati su trasferimenti e non su prestiti e trasformazione dello stock di debiti nazionali in debiti europei la cui sostenibilità non sarebbe in discussione. Non ha nessun senso economico che paesi con un'unica valuta paghino interessi diversi sul debito pubblico. Altrettanto immediatamente bisogna cambiare la governance della Bce, riportarla sotto il controllo politico e cambiare la sua mission - non solo il controllo dell'inflazione, ma soprattutto il contributo alla crescita con politiche monetarie espansive anche a costo di un moderato aumento dei prezzi. In questo momento la differenza fondamentale tra Italia ed Usa, i cui conti non sono migliori dei nostri, è il controllo sulla politica monetaria. O l'Europa diventa una, oppure tanto vale uscire dall'Euro - una minaccia che a Francoforte prenderebbero in seria considerazione.

Secondariamente, bisogna bastonare la speculazione, farsi subito promotori dell'adozione della Tobin Tax, della reintroduzione di controlli sui movimenti di capitale e di una riorganizzazione complessiva del sistema finanziario, riducendo la dimensione delle banche, introducendo controlli sulla struttura e le operazioni degli hedge fund, regolamentando il mercato dei derivati. Bisogna anche essere chiari sul fatto che non saranno gli italiani ma gli speculatori a pagare. Se gli attacchi continueranno, lo Stato italiano, con il coinvolgimento europeo, ha la possibilità di bloccare la fuga dai titoli pubblici, convertendo forzatamente i titoli in scadenza in titoli pluriennali ancorati ai rendimenti dei bund tedeschi. Un'altra minaccia credibile: i mercati internazionali non si possono permettere il fallimento italiano che li metterebbe completamente in ginocchio.

Infine, ma in maniera altrettanto decisiva, il governo dovrebbe preoccuparsi dei problemi strutturali della nostra economia, che pure esistono e la cui soluzione è la conditio sine qua non per avere credibilità internazionale agli occhi dell'Europa e dei mercati. Ed il problema fondamentale dell'Italia, lo sappiamo, è la crescita, non la dinamica del deficit fiscale. Quindi, ristrutturazione complessiva del sistema paese in maniera da garantire occupazione, produttività e sostegno ai consumi. Ristrutturazione a carico, ça va sans dire, di chi in questi anni tanto ha preso e nulla ha dato.

Articolo tratto da "Liberazione".