E' una Madrid soleggiata ma spazzata da un vento gelido quella che mi accoglie il giorno dopo la condanna del giudice Garzón. La osservo dalle finestre di un ufficio poco lontano dalla sede del Tribunale Supremo che, curiosamente, è situato dietro al museo delle cere.
Sono stata in questo ufficio tante volte da quando vivo in questo Paese, è la sede dell'agenzia di traduzioni con cui ogni tanto collaboro.
Ero qui anche molto tempo fa, quando il giudice si occupava del caso “Telecinco” ed i traduttori italiani di lingua pressoché morta, come sempre, scarseggivano; una piccolissima parte di quegli incartamenti è passata dalle mie mani.
Ricordo che traducevo febbrilmente di notte - perché di giorno avevo un altro lavoro- guidata dalla speranza che se non era l'Italia a farlo, almeno qui ci fosse qualcuno in grado di bloccare legalmente l'avventura politica berlusconiana.
Dai primi anni '90 fino al 2006 Garzón non ha dato tregua a Berlusconi, accusato con Dell'Utri di frode fiscale nel periodo in cui in Spagna nacque la tivù privata. Implacabile nella sua richiesta all'Italia e all'Europa di ritiro dell'immunità, non è stato certo un caso che il magistrato fosse nella lista dei 200 giudici europei spiati dal Sismi durante l'epoca berlusconiana.
A Garzón sono grata due volte, quindi; come cittadina di un mondo democratico che crede in una giustizia uguale per tutti e come cittadina italiana. Ieri a Madrid la giustizia ha perso la partita, come forse la sta perdendo in Italia.
Sulla mia via del ritorno a casa, la gelida capitale spagnola alle spalle: c'è gente che ha avuto mille cose...tutto il bene e tutto il male del mondo...
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