giovedì 11 aprile 2013

Quel razzismo spicciolo del M5S

Tre indizi fanno spesso una prova, soprattutto se sommati ad una marea di altri indizi più o meno recenti. Negli ultimi giorni il M5S si è lanciato in campagne dal sapore neanche tanto velatamente razzista. Prendendo spunto da una improvvida uscita di un'esponente del PD sulle primarie a Roma, ha messo in reste un manifesto elettorale con un gruppo di Rom in fila ai gazebo democratici - una foto shock che punta all'identificazione del diverso in chiave propagandista. Si dirà, non c'è nulla di razzista, è solo una testimonianza contro le pratiche corruttive del PD. Ed allora per fugare ogni dubbio viene poi fuori un post sul sito di Grillo dal titolo istruttivo: il PD non è il partito degli italiani, ma degli zingari.
Nel frattempo, nell'empolese, la sede locale del M5S si lancia in una campagna per mantenere il giudice di pace nella cittadini toscana. Visto che i soldi mancano, si lancia in alcune interessanti proposte su come trovarli: il Comune, ad esempio, potrebbe risparmiare sui viaggi delle scolaresche nei lager nazisti. E che sarà mai? Niente di razzista, solo dimentichiamo la storia, la nuova Italia guarda avanti, si dimentica di quando i rom (anzi, gli zingari, come dicono da quelle parti) venivano deportati e uccisi.
D'altronde non possiamo dimenticare che qualche anno fa lo stesso Beppe Grillo si scagliò contro i Rom, una bomba ad orologeria che deve essere disinnescata. Con tanto di sproloquio sulla difesa dei sacri confini della patria. E ben sappiamo che il M5S si oppone al diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati, perché, appunto, loro sono il partito degli italiani "veri".
Musica per le orecchie di Casa Pound, con cui Grillo ha flirtato a lungo durante la campagna elettorale. Ci manca solo una riscoperta postuma del fascismo. Ah, come? E' già successo pure quello grazie alla "non"-onorevole Lombardi che ci spiegava come la dittatura avesse fatto cose buone per una quindicina d'anni.
Infortuni, sviste, o una strategia politica? O, ancora peggio, una scelta ideologica che pian piano comincia ad affiorare?

Vorrei Taranto capitale europea della cultura

Di MonicaRBedana

Bisognerebbe spargerla e propagarla con forza fino a farla diventare realtà quell’idea appena sussurrata di candidare Taranto a capitale europea della cultura per il 2019.
Sarebbe tardi forse, non tanto per la sfilza di città che alla candidatura già ci hanno pensato, ma perchè il respiro di Taranto potrebbe essere infinitamente più corto di quella data.

Eppure nessuna città rappresenterebbe meglio la cultura industriale, quella che in Italia manca totalmente, che non si sa più cosa sia; che non si riesce più a pensare (anche perchè i migliori cervelli scappano altrove); che si impone per decreto; che snatura i diritti opponendo alla salute quello al lavoro; che intossica il territorio tanto che non è più possibile nemmeno seppellirvi i morti.

Taranto prima portavoce dell’esigenza immediata di un piano industriale nazionale che sovverta quella cultura d’azienda disposta solo a guardare l’ombelico del profitto del padrone attraverso il foraggiamento della politica. Ma se un Governo composto da fior di tecnici bocconiani non ha saputo nemmeno abbozzare soluzioni macroeconomiche che riguardassero l’industria, possiamo forse attendere fiduciosi che possano farlo gli esponenti della nuova politica virtuale, evidentemente spaesati nei meandri delle istituzioni e a malapena dotati di un Bignami di economia?

E a una manciata di chilometri dal martirio dell’Ilva, le promesse mai mantenute di Fiat a Melfi e la Bridgestone libera di prendere il volo senza zavorre, mentre 950 famiglie rimangono a terra.
C’è materiale sufficiente per vincere qualsiasi candidatura, a Taranto.