sabato 5 maggio 2012

Draghi semina sicurezza a Barcellona.
Niente panico, è solo un normale declassamento.
Di Monica Bedana

La media è sempre un po' inferiore alla media.
Monito di Morgan

Da sinistra, i tre Presidenti a cena: A. Más, Catalogna; M.Rajoy, Spagna; M. Draghi, BCE.
Tre che si vede in faccia che si stanno divertendo un mondo

Nei suoi poco più di 100 giorni di governo, Mariano Rajoy oltre alle riforme ha fatto un callo, grosso e doloroso. Il callo ad essere preso a pesci in faccia da qualsiasi parte si vòlti, nonostante la ferocia e l'orgoglio impassibile con cui applica le riforme stesse, che in teoria dovrebbero valergli solo grandi elogi.
Invece Monti l'ha preso per i pubblici fondelli già un paio di volte. Ora, agli sgoccioli del secondo turno delle elezioni presidenziali francesi, l'amico Sarkò dice agli elettori: “Guardate oltre i Pirenei, come se la passano quei poveri cristi degli spagnoli. Volete fare la loro stessa fine?”. Certo, si sottintende che Hollande, se eletto, sarà bravo quanto Zapatero, ma è Rajoy chi governa adesso e la cui immagine di Presidente di un Paese costantemente additato come palla al piede per l'economia europea non gli giova. Anche perché gli si è consumato da tempo il solco del disco della pesante eredità ricevuta dai socialisti.

Avremmo dovuto essere entusiasti ed onorati di organizzare ieri  il summit della BCE a Barcellona; era dal 2002 che non si svolgeva un avvenimento di tale importanza da queste parti. In fondo erano solo sei giorni che la frontiera catalana aveva sospeso il trattato di Schenghen per controllare meglio i cittadini sospetti (tutti, direi) di voler far casino, magari di pretendere di protestare per qualcosa di futile tipo sanità ed educazione, per esempio. E quindi se ne esce il segretario di Stato per la Sicurezza a dire che le proteste, durante una riunione cosí importante, ci danneggiano sui mercati, ci fanno fare la figura dei rozzi  mai all'altezza delle circostanze. Infatti non è volata una mosca, altro che molotov.
Peccato che dopo che il Governo centrale ha mandato 3500 agenti di polizia di rinforzo ai 4500 già previsti dalla Generalitat de Cataluña, il sempre fuori luogo S.&P. declassa, con un tempismo inaudito, il debito della Catalogna. E non di poco, di quattro gradini in un colpo solo, dalla A alla BBB- , che è la quasi spazzatura. Ma facciamo finta di nulla, che viene Draghi. E se chiediamo quanto ci sono costate le misure di sicurezza per riceverlo, ci sentiamo rispondere “meno di quelle per un Barça-Real Madrid o per uno sciopero generale”. E ci accontentiamo della risposta, non entriamo nel dettaglio delle cifre che non è chic, soprattutto se viene a trovarci il capo della BCE, che è uno di quelli che non perde occasione per dirci che il debito pubblico va ridotto drasticamente.

Cosa ci sia venuto a fare Draghi a Barcellona, spese a parte, non l'abbiamo mica ancora capito. Perché per bacchettare la Spagna e il suo sistema finanziario che necessita riforme urgenti (184.000 milioni di attivo tossico, vertigine); dire che non sa se la BCE continuerà a comprare titoli di Stato di Paesi in difficoltà; non abbassare il costo del denaro; non sapere se ci sarà una terza iniezione di liquità sul mercato...beh, per rivelazioni di questo calibro poteva rimanere a tranquillamente a Francoforte. E, per giunta, pare che la Spagna perda il propio posto nel Consiglio della BCE.
Come dire, Mariano becco e contento, che in spagnolo si dice in modo più incisivo, cornudo y apaleado, cornuto e bastonato. Ex-aequo con il President catalano Artur Más, però.


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Un'onda rossa contro l'austerity

Il lungo weekend elettorale europeo è iniziato in Gran Bretagna, e continuerà nei prossimi giorni in Italia, Serbia e soprattutto Francia e Grecia. Si tratta della prima importante tornata elettorale da quando la crisi ha investito l'Europa ed i risultati potrebbero avere un impatto decisivo sulla direzione che il continente prenderà.
Il Regno Unito è stato il primo paese a lanciarsi nella folle avventura dell'austerity. Dopo la vittoria monca dei conservatori e la coalizione con i lib-dem solo 2 anni fa, il governo Cameron-Osborne sembra già in ginocchio. Il Cancellieri dello Scacchiere, arrogante come pochi, è andato avanti per la sua strada di tagli su tagli, sperando in una ripresa del settore privato che non è mai arrivata. Anzi, l'Inghilterra è tornata in recessione nonostante tutto il denaro pompato dalla Banca d'Inghilterra. E puntuale è arrivata la batosta elettorale.
Senza quasi neanche sforzarsi, il Labour è tornato fermamente ad essere il primo partito del paese, con vittorie fino a poco tempo fa impensabili nel sud del paese, classica roccaforte Tories. Su scala nazionale i laburisti sono quasi al 40% e traslando i voti delle elezioni locali in parlamentari, il partito di Milliband avrebbe una solidissima maggioranza. Vero che questo esercizio è sempre rischioso, ma non ci sono dubbi, e non lo nascondono neanche i Conservatori, che questo voto ha una valenza politica e non certo amministrativa.
E la conferma viene dall'unica affermazione importante riportata dai conservatori, a Londra, dove il sindaco Boris Johnson riesce a guadagnare la rielezione. Ma è una vittoria dal sapore dolce amaro, perchè Johnson ha vinto non grazie al proprio partito, ma a dispetto di questo e soprattutto grazie alla scelta suicida del Labour di candidare per l'ennesima volta Ken Livingstone, ormai inviso alla maggioranza dei londinesi. Ed infatti il dato politico è che nei voti di lista, rispetto alle ultime amministrative, il Labour guadagna in tutti i borough londinesi mentre i conservatori sono in calo ovunque ma Boris ha preso più voti dei suoi mentre Ken il rosso (con qualche scheletro nell'armadio per elusione fiscale, un disastro) ne ha presi molto meno del Labour, trasformando una sicura vittoria in una sconfitta di misura. 
Un discorso a parte meritano i Liberal Democratici. Due anni fa erano la storia di copertina, in continua ascesa e decisivi per la formazione del governo. Ma la loro partecipazione all'esecutivo è stata un disastro, incapaci di modificare qualsiasi tipo di politica dei Tories, dall'austerity alle tasse universitarie triplicate ai tagli e ristrutturazione del servizio sanitario nazionale. E gli elettori non hanno dimenticato. Oggi i Liberal Democratici sono ininfluenti, in rotta, a rischio scissione e a Londra sono stati addirittura sorpassati dai Verdi.
Insomma, il primo verdetto di questo weekend elettorale è che i sudditi di Sua Maestà ne hanno già piene le tasche dell'austerity e della svolta reazionaria della politica europea. Una prima consistente ondata di protesta si è alzata dalla Gran Bretagna. La speranza è che si trasformi in una vera e propria riscossa per la sinistra. 


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