Proponiamo qui di seguito un articolo di Vladimiro Giacchè uscito sul numero in edicola di Micromega e sul sito on line. L'autore analizza con dovizia di particolare il programma economico del M5S che, come detto
nel nostro post sullo tsunami Grillo, è molto limitato e non affronta i temi decisivi dell'economia. Il programma economico sembra infatti più che altro un insieme di buone intenzioni, senza alcuna analisi sistemica dei problemi dell'Italia. Basti pensare che per ridurre un debito di 2000 miliardi di Euro si propone di diminuire i costi della politica, tagliare gli sprechi e modernizzare la pubblica amministrazione. Follia, una favola per bambini che non tiene conto di nessun numero. Nulla si dice sul fisco (se non un certo ammiccamento verso gli evasori), nulla si dice sull'austerity, nulla sul fiscal compact. Quasi nulla sul mercato del lavoro e sul precariato. Quasi zero sulla politica industriale.
Come detto, protesta legittima quella del M5S ma se si pensa di mettere a posto così l'Italia c'è davvero poco da sorridere. Tanto che lo stesso Grillo ha ammesso che non sono pronti per il governo. Ma non sono pronti neanche per l'opposizione dato che sui grandi temi dell'economia non hanno nessuna idea. Come possano controllare quello che farà il futuro governo è davvero un mistero...
La “Grillonomics”. Analisi del programma economico del MoVimento 5 Stelle
di Vladimiro Giacchè
da Micromega
Nell’affrontare il programma economico del Movimento 5 Stelle è
opportuno preliminarmente sgombrare il campo da possibili equivoci. Uno
su tutti: chi scrive non appartiene al novero di chi ritiene il
Movimento fondato da Beppe Grillo un pericoloso movimento eversivo con
il quale non ha senso dialogare e le cui proposte non possono essere
neppure prese in considerazione [...] considererò il programma di Grillo
come si fa (o si dovrebbe fare) col programma di ogni partito o
movimento: discutendo nel merito di quello che propone. [...] il
Movimento 5 Stelle il programma ce l’ha. Anzi, ne ha due. L’uno, più
articolato, è un documento di 15 pagine scaricabile dal blog di Beppe
Grillo. L’altro, molto più sintetico e consistente in 16 punti, è stato
proposto (e rilanciato dagli organi d’informazione) il 27 dicembre 2012,
in una sorta di risposta alla cosiddetta Agenda Monti. Purtroppo, i due
programmi non si sovrappongono perfettamente (in ciascuno dei due sono
trattati anche temi non presenti nell’altro), e questo complica un po’
le cose.
In ogni caso procederò come segue: partirò dal programma
economico che si può ricavare dai 16 punti, per poi verificarne più
approfonditamente i contenuti con l’aiuto del documento programmatico
vero e proprio.
Cosa c’è nel programma economico di Grillo
Nei
16 punti del 27 dicembre, per la verità, di economia non si parla
troppo. Riproduco testualmente i punti di interesse sotto tale profilo:
«reddito di cittadinanza» (punto 2), «misure immediate per il rilancio
della piccola e media impresa sul modello francese» (13), «ripristino
dei fondi tagliati alla sanità e alla scuola pubblica con tagli alle
Grandi Opere Inutili come la Tav» (14).
Hanno inoltre implicazioni economiche anche altri punti del
programma: «legge anticorruzione» (punto 1), «abolizione dei contributi
pubblici ai partiti» (3), «abolizione immediata dei finanziamenti
diretti e indiretti ai giornali» (4), «referendum sulla permanenza
nell’euro» (6), «informatizzazione e semplificazione dello Stato» (15),
«accesso gratuito alla Rete per cittadinanza» (16).
Per quanto
riguarda il programma del movimento, esso approfondisce anche temi non
presenti nei 16 punti. Lo ripercorro rapidamente seguendo i capitoli di
cui si compone.
Energia. Assieme alla salute, l’unico altro caso
in cui le proposte sono enunciate con un tentativo di ragionamento
articolato – e non soltanto per cenni molto sintetici – è il tema
dell’energia. Al riguardo il programma si sofferma in particolare sui
temi del risparmio energetico e delle energie rinnovabili. Si propongono
incentivazioni per fonti rinnovabili e biocombustibili, e si chiede
(giustamente, anche se la cosa non sembra di competenza del parlamento)
l’applicazione di norme già in essere, ma disattese, sul risparmio
energetico. C’è anche qualche incoerenza. Ad esempio, prima si
confrontano i rendimenti energetici attuali delle centrali
termoelettriche dell’Enel con gli standard delle centrali di nuova
generazione, poi però si dice che non bisogna costruire nuove centrali
ma rendere più efficienti quelle già esistenti.
Informazione. Il
tema dell’informazione, al quale il Movimento 5 Stelle è
tradizionalmente molto sensibile, ha alcune implicazioni di natura
economica. Sia in termini di risparmi per lo Stato (attraverso
l’eliminazione dei contributi pubblici per il finanziamento delle
testate giornalistiche: è anche il quarto dei 16 punti), sia in termini
di maggiori spese: così è per la «cittadinanza digitale per nascita,
accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano» (una più chiara
articolazione del sedicesimo punto) e per la «copertura completa
dell’Adsl a livello di territorio nazionale»; così è, soprattutto, per
la «statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a
prezzo di costo da Telecom Italia e l’impegno da parte dello Stato di
fornire gli stessi servizi a prezzi competitivi a ogni operatore
telefonico».
Economia. Il tema economia è comprensibilmente molto
vasto. Possiamo raggruppare le proposte secondo l’ambito a cui si
riferiscono.
Molte proposte concernono il funzionamento del
mercato finanziario: introduzione della class action, abolizione delle
scatole cinesi in Borsa, abolizione di cariche multiple da parte di
consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate (questo
per la verità è già avvenuto con il decreto legge 201/2011, che
regolamenta il cosiddetto «divieto di interlocking», e che è già
applicato in base al regolamento congiunto Consob-Banca d’Italia
dell’aprile 2012), «introduzione di strutture di reale rappresentanza
dei piccoli azionisti nelle società quotate», introduzione di un tetto
per gli stipendi dei manager delle società quotate in Borsa e delle
aziende con partecipazione rilevante dello Stato, divieto di nomina di
persone condannate in via definitiva come amministratori in aziende
partecipate dallo Stato o quotate in Borsa (come caso da non ripetere il
programma cita Paolo Scaroni all’Eni), abolizione delle stock options,
divieto di acquisto a debito di una società.
Altre riguardano più precisamente il settore bancario: questo vale per
il divieto di incroci azionari tra sistema bancario e sistema
industriale e per l’introduzione della responsabilità e
compartecipazione alle perdite degli istituti finanziari per i prodotti
finanziari che offrono alla clientela.
Quanto al mercato del
lavoro, troviamo la proposta di abolizione della (cosiddetta) legge
Biagi e quella di un «sussidio di disoccupazione garantito» (che a dire
il vero è un concetto diverso dal «reddito di cittadinanza» menzionato
al secondo dei 16 punti citati sopra).
Riguardano i grandi
settori economici della produzione di merci e servizi altri obiettivi:
«impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere
con un prevalente mercato interno» (si propone anche di «favorire le
produzioni locali»), abolire i «monopoli di fatto, in particolare
Telecom Italia, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset e Ferrovie dello Stato» e
mettere in opera «disincentivi alle aziende che generano un danno
sociale (per esempio distributori di acqua in bottiglia)». Nessun cenno,
invece, alle «misure immediate per il rilancio della piccola e media
impresa sul modello francese» che rappresentano il tredicesimo dei 16
punti.
Non conoscendo quale sia «il modello francese» a cui Grillo si
riferisce, non è facile capire se questa lacuna del programma
dettagliato sia grave o meno.
Infine, quanto alla riduzione del
debito pubblico, si ritiene che essa possa essere conseguita «con forti
interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con
l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso
alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari»
(corrisponde grosso modo al quindicesimo punto).
Trasporti. Per
quanto riguarda i trasporti, molti dei provvedimenti proposti vanno
nella direzione di un disincentivo all’uso dell’automobile nei centri
urbani. Quanto alle ferrovie, si propone il «blocco immediato della Tav
in Val di Susa» e per contro lo «sviluppo delle tratte ferroviarie
legate al pendolarismo». Più in generale, si propone una riduzione della
mobilità lavorativa attraverso incentivi al telelavoro e, ancora una
volta, alla copertura dell’intero paese con la banda larga.
Salute.
Anche sul tema della salute, come su quello dell’ambiente, troviamo
punti sviluppati in maniera più argomentata di quanto accada per gli
altri temi.
Qui il programma di Grillo parte da una constatazione corretta, e assai
sgradita alle diverse destre nostrane (tanto Berlusconi/Lega, quanto
Monti): «L’Italia è uno dei pochi paesi con un sistema sanitario
pubblico ad accesso universale». Questa caratteristica è però minacciata
da un lato dal federalismo e dall’attribuzione alle regioni
dell’assistenza sanitaria (il testo parla di devolution, ma il concetto è
questo), dall’altro al fatto che «si tende a organizzare la sanità come
un’azienda», facendo prevalere gli obiettivi economici sulla salute e
sulla gratuità dei servizi. La risposta enunciata nel programma è
l’imposizione di un ticket progressivo e proporzionale al reddito sulle
prestazioni non essenziali e la possibilità di destinare l’8 per mille
alla ricerca medico-scientifica.
Istruzione. Infine,
l’istruzione. Qui si chiede l’abolizione della legge Gelmini, il
finanziamento pubblico esclusivamente per la scuola pubblica e
investimenti nella ricerca universitaria. Per il finanziamento alla
scuola (e anche alla sanità) si può fare riferimento al quattordicesimo
dei 16 punti: «ripristino dei fondi tagliati alla sanità e alla scuola
pubblica con tagli alle Grandi Opere Inutili come la Tav». A occhio
sembra un po’ poco… Ma la parte di programma sull’istruzione che suscita
maggiori perplessità è quella relativa agli strumenti e alle modalità
di studio: se si può condividere l’obiettivo di una «diffusione
obbligatoria di internet», la «graduale abolizione dei libri di scuola
stampati» non è affatto condivisibile. Lo stesso «accesso pubblico via
Internet alle lezioni universitarie» non sembra un obiettivo confortato
dai risultati (in genere tutt’altro che brillanti) ottenuti dalle
cosiddette «università a distanza». Infine, due obiettivi francamente
bizzarri, anche se molto di moda, sono le proposte di insegnamento
obbligatorio dell’inglese dall’asilo e di abolizione del valore legale
dei titoli di studio.
Cosa non c’è nel programma economico di Grillo
[...]
Euro.
Nel programma in 16 punti troviamo l’unico accenno all’euro e
all’Europa che sia dato rinvenire nei programmi del Movimento.
Non
a caso, esso non riguarda un giudizio sui pro e contro della moneta
unica, né sui processi che attualmente interessano l’Unione monetaria
(balcanizzazione finanziaria e progressiva divergenza tra le economie
dell’Eurozona, processi entrambi molto negativi per l’Italia e
potenzialmente catastrofici per la stessa sopravvivenza della moneta
unica), né sulle conseguenze per il nostro paese del cosiddetto fiscal
compact e delle misure di austerity depressiva decise a livello europeo
(con alcune tra esse, su tutte la riduzione del 5 per cento annuo del
debito in eccesso rispetto al 60 per cento del pil, che colpiscono in
misura particolarmente grave il nostro paese).
Si tratta invece
della proposta di lanciare un «referendum sulla permanenza nell’euro». È
un obiettivo che parla direttamente alla necessità, molto avvertita dai
cittadini, di decidere del proprio destino e del ruolo dell’Italia in
Europa.
Ma è un obiettivo sbagliato: anche i critici dell’euro più feroci e
conseguenti (si pensi ad Alberto Bagnai) hanno infatti ben chiaro che
uno dei presupposti essenziali per un’eventuale uscita non catastrofica
di un paese dalla moneta unica consiste nell’avvenire in maniera rapida e
inattesa, ponendo altrettanto tempestivamente vincoli sui movimenti dei
capitali (in caso contrario, infatti, sarebbero pressoché certi
un’enorme fuoriuscita di capitali e il fallimento in serie delle banche
del paese interessato). Per questo motivo, è evidente che una campagna
referendaria sull’euro condurrebbe l’Italia alla bancarotta ancora prima
dell’eventuale uscita dall’euro. In ogni caso, è evidente che
quest’unico accenno all’euro, slegato da ogni ragionamento sulla
situazione europea (e sulle condizioni italiane in questo contesto), è
molto debole e scarsamente persuasivo.
Ma a ben vedere non è
questa l’unica, e neppure la principale lacuna del programma del
Movimento 5 Stelle. Il punto è che mancano i capitoli cruciali di un
ragionamento sulla situazione economica nazionale.
Lavoro. Come
abbiamo visto sopra, gli unici cenni che riguardano il lavoro sono
relativi all’abolizione della legge Biagi e all’indennità di
disoccupazione. Un po’ poco in un paese che negli ultimi due anni ha
conosciuto un vero e proprio smantellamento delle tutele del lavoro
consolidate da oltre quarant’anni. L’abolizione di fatto del diritto di
reintegro per i lavoratori licenziati non per giusta causa (art. 18
dello Statuto dei lavoratori) e lo smantellamento del presidio
rappresentato dalla contrattazione nazionale (grazie all’articolo 8 del
DL 138/2011 e alla libertà di deroga in peggio a livello aziendale delle
condizioni stabilite nel contratto nazionale) rappresentano, molto
semplicemente, una regressione di quasi mezzo secolo per i diritti dei
lavoratori. Ma non rappresentano soltanto questo. Essi sono altrettanti
tasselli di un modello di competitività che oltre ad essere ingiusto è
perdente ed economicamente fallimentare. [...]
Fisco. Anche il
tema del fisco è completamente trascurato. E dire che si tratta di uno
dei nodi chiave per la finanza pubblica italiana. E quindi anche dal
punto di vista del reperimento delle risorse necessarie a realizzare
svariati punti del programma di Beppe Grillo. Non si può ragionevolmente
pensare che la riduzione del debito pubblico possa essere conseguita –
come si afferma nel programma del Movimento 5 Stelle – soltanto «con
forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con
l’introduzione di nuove tecnologie» (le quali ultime, anzi, abbisognano
di ingenti investimenti che potranno essere ammortizzati in tempi non
brevissimi).
Stando ad alcuni interventi pubblici dei mesi scorsi, si direbbe che
Beppe Grillo negli ultimi mesi abbia scelto la strada più facile sui
temi della fiscalità: quella dell’attacco a Equitalia (comodo capro
espiatorio delle leggi sbagliate di questi anni), anziché quella della
rivendicazione dell’equità fiscale e del rispetto della legge da parte
di tutti i cittadini, a cominciare da chi da sempre scarica sugli altri
(soprattutto sui lavoratori dipendenti) l’onere di pagare le tasse.
[...]
Politica industriale. Le indicazioni del programma del
Movimento 5 Stelle in tema di economia, come abbiamo visto, sono molto
focalizzate sui mercati finanziari, ed esprimono abbastanza chiaramente
gli interessi dei piccoli risparmiatori. Significative al riguardo la
proposta di introdurre una vera class action e anche la suggestiva idea
(purtroppo non meglio precisata) di introdurre «strutture di reale
rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate».
Il
problema nasce quando si passa a proposte di politica economica più
generale. Il divieto di incrocio azionario tra banche e industria, ad
esempio, in una situazione di crisi come l’attuale inasprirebbe la crisi
(impedendo la trasformazione di crediti bancari inesigibili – e come è
noto in giro ce ne sono parecchi – in partecipazioni azionarie nelle
società debitrici). Quanto all’abolizione dei «monopoli di fatto», essa
per diversi settori è priva di senso: quando si tratta di monopoli
naturali (come nel caso delle autostrade) l’abolizione della condizione
di monopolio è, infatti, impossibile. Quello su cui invece varrebbe la
pena di ragionare, e seriamente, è se questi monopoli – proprio per la
loro ineliminabilità – non siano da riportare sotto un controllo
pubblico: solo così, infatti, la connessa rendita di monopolio potrebbe
essere ripartita socialmente (anziché intascata dall’azionista privato).
Ma
è evidente che il tema della proprietà pubblica delle imprese di
interesse strategico, anche per Grillo, come per la stragrande
maggioranza dei partiti che si presentano a queste elezioni, è tabù.
L’unica eccezione riguarda la dorsale telefonica, di cui Grillo propone
il riacquisto da parte dello Stato «al prezzo di costo».
Del pari
è ignorata la necessità che lo Stato faccia politiche industriali:
ossia elabori piani strategici di sviluppo dei settori principali
dell’economia, con chiare politiche di incentivo e di disincentivo.
L’unico accenno a politiche di questo genere presente nel programma
riguarda i «disincentivi alle aziende che generano un danno sociale»:
ben poca cosa rispetto a quanto troviamo nella nostra Costituzione, la
quale all’articolo 41 prevede che l’iniziativa economica privata non
possa «svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare
danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», e all’articolo
43 dichiara che «a fini di utilità generale la legge può riservare
originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo
indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di
utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di
monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale».
Il tema qui sollevato è di importanza cruciale.
È infatti ben difficile pensare che l’Italia possa risollevarsi dalla
crisi attuale ampliando ulteriormente a spese dello Stato il peso della
componente privata nell’economia o, come si dice, del «mercato».
L’intervento pubblico è oggi necessario sia sotto un profilo strategico
che da un punto di vista più immediato: per affrontare e risolvere le
numerosissime crisi aziendali oggi aperte in Italia. Senza questo
intervento, l’Italia è destinata a perdere pezzi rilevanti del suo
apparato industriale, bruciando irrimediabilmente una quantità
difficilmente calcolabile di posti di lavoro. Occorre un intervento
pubblico, e occorre che esso sia coordinato e non confusamente
decentrato secondo il modello «federalistico» attuale, tanto
insostenibile economicamente quanto iniquo e fonte di corruzione. Il
programma di Grillo sfiora questo problema, quando, in relazione alla
sanità, individua una fonte di pericolo nel federalismo di questi anni.
Ma è un giudizio che andrebbe approfondito e soprattutto generalizzato:
si pensi alle politiche pubbliche di incentivazione alle imprese, che il
federalismo ha disperso in mille rivoli e privato di efficacia,
impedendone ogni sensata programmazione sul piano nazionale. Non è un
caso se persino Confindustria oggi – un po’ tardivamente – sembra giunta
alla conclusione che sia indispensabile una riforma del Titolo V della
Costituzione (quello che è stato stravolto in senso «federalista»).
* * *
Uno
Stato che non sia spettatore passivo di ciò che si muove nell’economia,
e che non si limiti a socializzare le perdite dei privati. Un fisco
realmente equo, che premi chi ha sempre pagato e faccia pagare chi può e
deve. Una politica per la competitività basata su formazione pubblica
di qualità (e non strangolata dai tagli lineari) e su maggiori
investimenti (pubblici e privati) in ricerca e sviluppo tecnologico,
anziché continuare a comprimere il costo del lavoro. Un’Italia in grado
di far sentire la propria voce nel consesso europeo, e di rifiutare il
cappio del fiscal compact. Sono queste le priorità di una politica
economica in grado di ridare speranza a questo paese e a chi ci abita.
Purtroppo, su nessuno di questi punti il programma di Grillo è di
qualche aiuto.
fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-%E2%80%9Cgrillonomics%E2%80%9D-analisi-del-programma-economico-del-movimento-5-stelle/?h=6
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