martedì 1 febbraio 2011

Lavoratori precari, un futuro senza pensione

Da Il Fatto
Lavoratori precari, un futuro senza pensione


Il presidente dell'Inps dice che l'istituto non permetterà a chi è iscritto alla “gestione separata” di poter fare online una “simulazione” della propria pensione: "Si rischierebbe un sommovimento sociale". Rivolta in Rete dei precari, ma i sindacati rimangono in un imbarazzante silenzio

Precari in allarme, un futuro senza pensione. E i sindacati che fanno? Tacciono. Nei giorni in cui su Internet si moltiplica il tam tam intorno al destino dei parasubordinati, i confederali sono impegnati a esprimere solidarietà e sdegno nei confronti degli attacchi con uova e vernice alle sedi della Cisl di Terni e Roma. Ma non sono loro che devono difendere i lavoratori? Se lo domandano i giovani che in Rete hanno dato il via al passaparola della dichiarazione di Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps, che lo scorso 6 ottobre sulle pagine del Corriere della Sera ha chiosato al convegno dell’Ania e Consumatori: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Questo significa che, mentre i lavoratori che entro 12 mesi raggiungono il diritto al pensionamento possono consultare online quanto riscuoteranno, per i precari l’incertezza sulle cifre è assoluta. I contributi che pagano oggi, ovvero il 26% del loro stipendio, finisce nelle casse dell’istituto di previdenza per pagare nonni e genitori. Non certo il loro futuro. La notizia passa in sordina sui media tradizionali ma viene rilanciata in rete, da Agoravox  a Beppe Grillo, e su Facebook sono in decine di migliaia a condividere questo post di Blogosfere. La protesta sale su Internet, ma non trova una reazione adeguata dei sindacati che glissano sulla “battuta” del presidente dell’Inps. Nei commenti sui social network emerge un dato certo: i sindacati rappresentano solo i loro tesserati, ovvero chi è in procinto o già in pensione. E i giovani pensano a due alternative plausibili: lavorare in nero ed evitare di pagare i contributi. Insomma, sì all’illegalità e ai soldi sotto il materasso piuttosto di un versamento iniquo, peraltro a favore di chi ha già goduto di maggiori garanzie e tutele. Ilaria Lani, reponsabile coordinatrice politiche giovanili Cgil nazionale è imbarazzata: “Il timore è che questa dichiarazione abbia paradossalmente incentivato il lavoro nero, mentre i giovani dovrebbero essere più interessati a conoscere la loro realtà contributiva”. La Cgil tergiversa così sul vero problema: non è una scarsa diligenza dei contribuenti in tema di gestione separata, piuttosto è la consapevolezza radicata che ciò che oggi versano all’Inps non confluirà nella loro pensione. E ci sono anche altri problemi: “Certo, è evidente il nodo della sostenibilità intergerazionale ed è necessario sensibilizzare anche sulla pensione integrativa”. Ma quali precari, oggi, possono permettersi di pagarla? Pochissimi perché i soldi in busta paga sono ancor meno. Maurizio Petriccioli, segretario confederale della Cisl, spiega che il sindacato non era nemmeno a conoscenza della dichiarazione di Mastrapasqua: “Apprendo ora della notizia e credo che Mastrapasqua sia stato incauto. In questa situazione è preferibile una maggiore responsabilità alle dichiarazioni inopportune”. Anche se la situazione è drammatica. “Intendiamoci, l’allarme non è di oggi. Per questo chiediamo da tempo la riduzione della forbice tra lavoro standard e parasubordinato, perché la forte differenza in termini contributivi si ripercuoterà sulla pensione”. Se il sindacato fosse così propositivo, sarebbero incomprensibili le ragioni dei precari, ma Petriccioli è convinto che la Cisl sia sulla strada giusta: “Non credo che ci sia un buco di rappresentanza. Certo, dobbiamo migliorare ed è necessaria anche la volontà politica di farlo. Se Mastrapasqua dice così deve anche fornire una soluzione”. Sorprende in ogni caso che la Cisl sia concentrata sul lancio di uova e vernice e non abbia né visto né commentato la dichiarazione del Presidente dell’Inps. “E’ legittimo che in casi di violenza così eclatante si manifesti solidarietà. Non si tratta di un complotto. Noi di precari ci siamo sempre occupati”. L’unico a emettere un comunicato all’indomani della dichiarazione contestata è stato NidiL – Cgil, che si occupa di lavoratori atipici. “Il problema è reale”, spiega la segretaria generale Filomena Trizio. “Non so quali stime abbia Mastrapasqua e la recessione di oggi è un’aggravante sul maturato pensionistico. Il mondo del lavoro ha creato condizioni individualizzate, ma i precari devono ancora credere nei sindacati e rivolgersi a loro con più forza”. Domenico Proietti, segretario confederale Uil con la delega ai temi della previdenza elenca i successi del lavoro sindacale: “Siamo impegnati per trasformare la flessibilità in stabilità aumentando anche la contribuzione”. Come è possibile che la Uil non si sia pronunciata a fronte di una dichiarazione simile? Non sarà forse che è lontana da chi pretende di rappresentare? “Commentiamo le notizie solo quando veniamo sollecitati”, puntualizza Proietti. “I precari sanno che siamo dalla loro parte e non parliamo solo con le parole di Mastrapasqua, che ha confermato quanto il futuro delle giovani generazioni sia segnato al ribasso. E ai parasubordinati, adesso, manca davvero qualcuno che, fuori dalla piazza virtuale, porti avanti i loro diritti.

Quanto pesa la precarietà sul nostro benessere

Cosa succede agli indicatori di benessere se si tiene conto di due variabili cruciali non misurate dal Pil: l'insicurezza lavorativa e la diseguaglianza tra generazioni
Istat e Cnel hanno recentemente costituito il Gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana con lo scopo di sviluppare un approccio multidimensionale del benessere, integrando il Pil con altri indicatori di equità (non solo di reddito) e di sostenibilità (non solo ambientale). Tale iniziativa va ad aggiungersi ad una serie di interventi a livello nazionale e internazionale che si pongono l’obiettivo di definire e misurare il benessere delle società: fra gli altri, ricordiamo la conferenza “Beyond Gdp” organizzata nel 2007 dalla Commissione Europea (assieme a Parlamento Europeo, Club di Roma, WWF e Ocse) e la costituzione nel 2008 da parte del presidente Sarkozy della Commissione sulla misura della performance economica e del progresso sociale.
Naturalmente il punto di partenza del dibattito sta nella definizione che si dà di benessere e delle dimensioni che vengono ritenute rilevanti per lo sviluppo di una società. Nel paper “Economic well-being in Italy: the role of income insecurity and intergenerational inequality” (in corso di pubblicazione nel Journal of Economic Behavior & Organization) intendiamo mostrare l’evoluzione del benessere economico in Italia nell’ultimo decennio, definendo il benessere come possibilità di disporre di adeguate risorse economiche nel presente e nel futuro (command over resources, Osberg, Sharpe 2009),. La novità del nostro approccio sta nel tener conto di due fenomeni che assumono un peso crescente nella determinazione del well-being soprattutto in Italia: l’insicurezza lavorativa e la disuguaglianza intergenerazionale. Il crescente uso dei contratti a tempo determinato o atipici ha amplificato il senso di insicurezza: la paura di non trovare un posto di lavoro al termine del contratto, di non essere in grado di accumulare risorse sufficienti per sostenere una famiglia o per la vecchiaia, incidono significativamente sul benessere delle persone e della società nel suo insieme. Per quanto riguarda il secondo aspetto, se il divario salariale fra generazioni aumenta a discapito di quelle più giovani, queste si trovano a dipendere sempre più dalle risorse delle famiglie di origine con effetti negativi per l’emancipazione giovanile (si ritarda l’uscita da casa, la formazione di una famiglia e le scelte di fecondità).
Entrambi questi aspetti sono particolarmente rilevanti nel nostro paese, caratterizzato da una crescita economica lenta, da una serie di riforme del mercato del lavoro e del sistema pensionistico che hanno penalizzato le giovani generazioni, e da un sistema di welfare familistico. “Da tempo vanno ampliandosi in Italia le differenze di condizioni lavorative tra le nuove generazioni e quelle che le hanno precedute, a sfavore delle prime. I salari d’ingresso in termini reali ristagnano da quindici anni” (Banca d’Italia 2010). Tutto questo grava sulle stesse coorti che avranno anche pensioni basse in futuro e dovranno quindi lavorare più a lungo e risparmiare una quota maggiore del loro reddito corrente per assicurarsi delle pensioni complementari (Berloffa, Villa 2010).
Per tener conto di tali cambiamenti, abbiamo costruito un indice di benessere che comprende anche le misure di insicurezza lavorativa e disuguaglianza intergenerazionale. La base di partenza è l’IEWB (Index of Economic Well-Being) sviluppato dal Centre for the Study of Living Standards (Osberg 1985; Osberg and Sharpe 2005, 2009). Le dimensioni considerate sono: flussi di consumo, stock di risorse produttive, disuguaglianza e povertà, sicurezza economica. In particolare, nella componente disuguaglianza e povertà aggiungiamo agli indici utilizzati da Osberg e Sharpe (intensità della povertà e indice di Gini) una misura della disuguaglianza intergenerazionale (divario tra i redditi medi dei giovani e degli adulti). La dimensione sicurezza economica include il tasso di disoccupazione e un indice di precarietà (quota di lavoratori atipici e irregolari sul totale della forza lavoro1). L’indice composito, che chiamiamo “revised IEWB”, è ottenuto aggregando i numeri indice delle quattro dimensioni.
A partire dagli anno ’90, sia la disuguaglianza intergenerazionale che l'incertezza economica sono aumentate in Italia. Fra il 1995 e il 2007 il rapporto fra i salari medi dei giovani (sotto i 35 anni) e degli adulti (sopra i 35 anni) si è ridotto di 7 punti percentuali (da 0.78 a 0.71). L'incidenza del lavoro precario è cresciuta del 65% (dal 13% nel 1995 al 21% nel 2007) portando ad un peggioramento della dimensione sicurezza economica, nonostante una significativa riduzione del tasso di disoccupazione nello stesso periodo. Per comprendere le conseguenze di questi fenomeni sul benessere economico nazionale abbiamo calcolato l’indice di well-being con e senza tali componenti (rispettivamente indice “revised” e “base”) a partire dal 1980.
Stimando i tassi di crescita annuali (tabella 1), notiamo come dal 1980 al 1995 circa due terzi della crescita annuale del Pil non si sono tradotti in una crescita del benessere economico (i tassi di crescita annuali sono pari a 2.08% e 0.7% rispettivamente). In questo periodo non c’è una differenza significativa fra l’indice “revised” e l’indice “base”; questo è dovuto a due effetti contrapposti: da un lato i salari dei giovani sono cresciuti in misura maggiore rispetto a quelli degli adulti (migliorando l’uguaglianza intergenerazionale), dall’altro lato il numero di lavoratori irregolari è aumentato (riducendo la sicurezza lavorativa). Dopo il 1995, il crescente divario fra i redditi dei giovani e degli adulti (a sfavore dei primi) e l’ulteriore incremento dell’insicurezza lavorativa hanno portato ad una differenza significativa nei due indici “base” e “revised”: mentre il tasso di crescita del primo è circa la metà di quello del Pil (0.60% contro 1.14% su base annuale, 8% contro 14% complessivamente), l’aumento del benessere misurato dal secondo è pari solo ad un terzo (0.38% su base annuale, 5% complessivamente).