di Nicola Melloni
da Liberazione
Mario Draghi ha ieri abbassato i tassi al loro minimo storico, lo 0.5%.
La Bce sta facendo tutto o quasi quello che può per rilanciare
l’economia europea. Il problema è che può davvero poco. Tagliare i
tassi, in generale, non è sbagliato. Certo è meglio di alzarli, come
fece il predecessore di Draghi, Trichet, che riuscì nell’impresa non
facile di riuscire ad alzare il tasso di interesse nel mezzo della
crisi, perché ossessionato dall’inflazione, inesistente, mentre la
disoccupazione andava alle stelle.
Avere tassi più bassi vuol semplicemente dire avere denaro a basso
costo, si tratta dunque di un incoraggiamento per le imprese a prendere
denaro a prestito dalle banche ed investire. Il taglio dei tassi dunque
si inserisce nella stessa direzione dei quantitative easing, della liquidità data alle banche nel corso dell’ultimo anno. Più cash
in giro, costo del denaro più basso, più possibilità per le imprese.
Purtroppo però, come abbiamo spiegato recentemente, il costo del denaro
non è certo l’unica ragione a motivare le decisioni di investimento. Lo
si è visto clamorosamente in quest’ultimo anno. Le banche sono piene di
contante eppure questo non raggiunge l’economia reale.
In effetti, con i consumi in crollo, la disoccupazione alle stelle, la
recessione che continua a mordere, pensare di agire solo sul supply side – sul lato dell’offerta – non ha molte possibilità di successo. In una situazione di liquidity trap,
trappola della liquidità, la politica monetaria diventa inefficace nel
rilanciare l’economia reale. I tassi sono ormai a zero, l’effetto di
stimolo sul settore privato è nullo.
Per uscire dalla crisi, dunque, sono indispensabili tipi diversi di
intervento. Il primo dovrebbe essere l’investimento pubblico.
L’abbassamento dei tassi di interesse – che non a caso ha portato ad una
ulteriore riduzione dello spread (ormai ovviamente slegato
dall’economia reale) – potrebbe avere un effetto positivo se i minori
costi di indebitamento dello Stato si traducessero in un rilancio della
spesa pubblica. Questa servirebbe a rimettere in moto un ciclo positivo
di investimenti ed ad aumentare la domanda aggregata.
Allo stesso tempo lo Stato dovrebbe sostenere la domanda privata,
capovolgendo appunto l’idea che si esce dalla crisi solo dando soldi
alle imprese. Demand side, invece di supply side:
sostegno ai consumi delle famiglie, aumento dei salari, reddito di
cittadinanza, soprattutto incremento dell’occupazione. Si tratta cioè di
far ripartire l’economia reale, l’unica maniera per ridare fiducia al
settore privato e rilanciare gli investimenti.
In concreto, vuol dire buttare al mare la folla idea che i conti in
ordine siano il mezzo per uscire dalla crisi. E’ vero esattamente il
contrario: in periodi di recessione lo Stato deve intervenire con
politiche anti-cicliche, indebitandosi. Letta e soci continuano ad
insistere sul mantra del non lasciare debiti alle future generazioni. Ma
l’indebitamento, necessario, presente, può e deve essere riassorbito
quando l’economia sarà in crescita, le tasse aumenteranno e non ci sarà
bisogno dello stimolo pubblico. Cercare, inutilmente per altro, di
tenere in ordine i conti ora, vuol dire lasciare un debito ben più
pesante alle generazioni future: quello della povertà.
venerdì 3 maggio 2013
La cineteca politica di RI - Salvatore Giuliano
di Giulia Pirrone
Il 1 Maggio1947 su circa duemila contadini riuniti a festeggiare la
re-introduzione della festa dei lavoratori e per manifestare contro il
latifondismo, partirono raffiche di mitra che uccisero 11 persone e ne ferirono
più del doppio. A sparare sulla folla fu un gruppo di banditi capeggiato da
Salvatore Giuliano, che un paio di anni dopo in una lettera ai giornali parlo'
di scopo politico della strage.
La figura di Giuliano bandito Robin Hood tra mafia, Stati Uniti e
potere politico in una Sicilia che già solo nel paesaggio sembra far west, e'
stata molto mitizzata nella cultura popolare.
Francesco Rosi nel 1961 partendo dalla figura di Giuliano costruì un
film-indagine con l'intento di portare luce sugli eventi che legavano la morte
del bandito stesso con la strage di Portella della Ginestra. Per fare questo
utilizzo' degli strumenti narrativi che nella storia del cinema italiano
segnarono una netta linea di demarcazione tra la narrativa del neo realismo del
dopo guerra ( Rossellini e De Sica per intenderci), ed il realismo. Per Rosi la
sola osservazione dei fatti non ci racconta una storia intera. I fatti hanno
bisogno di essere analizzati per tentare di capire come le cose siano andate.
Ed ecco che per provare a chiarire gli eventi della strage di Portella della
Ginestra si assiste al processo ed alle deposizioni del principale imputato,
per poi tornare indietro circa di quindici anni, alle vicende che portarono
alla sua morte.
Giuliano e' onnipresente nel racconto ma un fantasma sullo schermo -
su cui non appare mai se non da morto o col volto in ombra - per Rosi e' lo
strumento che permette di raccontare la Sicilia, i suoi intrighi politici e
mafiosi in un territorio primitivo, deserto e roccioso. Tutti elementi che si
sovrappongono strato su strato e rendono possibile la comprensione dei fatti
solo attraverso un meticoloso lavoro di analisi e ricostruzione.
Il risultato finale e' un giallo senza soluzione, un enigma che
invita lo spettatore a porsi diversi interrogativi più che fornire risposte su
quello che e' il capo stipite dei misteri Italiani.
La voce del narratore fuori campo e' di Rosi stesso, ed il film fu
premiato con l'Orso d'Argento a Berlino come miglior film.
oo
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