Sergio Marchionne colpisce ancora. Con Termini Imerese silurata senza troppi complimenti, con Pomigliano e Mirafiori piegate al ricatto “prendere o lasciare”, in barba a Costituzione e diritti dei lavoratori, si apre la nuova battaglia dei vertici Fiat contro i lavoratori italiani. E già ricomincia il tran tran delle polemiche, delle ipotesi di referendum, della guerra tra i poveri.
Questa volta però la Fiat sceglie una fabbrica-simbolo, la più rossa d’Italia (dove la Fiom ha il 65%), la ex-Bertone, ora Officine Automobilistiche Grugliasco.
Che non è propriamente il parco giochi degli assenteisti (le mancate presenze non hanno mai superato il 4%, meno della metà del tasso piemontese), ma è uno stabilimento che è in cassa integrazione da sei anni, pur rappresentando il marchio di eccellenza assoluta nel settore: trattasi, infatti, di impianti contesi dai grandi marchi per produrre auto di lusso e che la Fiat ha comprato nel 2009 a meno di 20 milioni di euro dai commissari, impegnandosi a investirne 50 e a produrre 2 modelli: sono passati 2 anni e gli impegni sono rimasti solo sulla carta. Tanto che gli operai, pur di lavorare, hanno pure accettato di lavorare presso altre società.
L’accordo del 2009 era questo: produrre “due modelli Chrysler”. Ma nell’ultimo colloquio il piano è cambiato: ora Marchionne ha annunciato la cosiddetta “Maseratina”, una nuova vettura che sfrutta il marchio Maserati, ma che dovrebbe costare 40-50 mila euro, come una Mercedes.
Di fronte alle ottimistiche previsioni dell’AD Fiat (“Ne venderemo 50 mila”), la CGIL fa notare come l’anno scorso Maserati abbia venduto 5.817 vetture ed è improbabile che quest’anno possa aumentare il fatturato del 1000 per cento.
Il sospetto, che si aggira per i lavoratori, è che Marchionne usi il pugno di ferro apposta per poi addossare le colpe della chiusura dello stabilimento alla Fiom, che però cerca di non arrivare alla rottura: di fronte alla promessa di 500 milioni di investimenti di Marchionne, oggi i delegati sindacali Fiom hanno consegnato una proposta di mediazione ai vertici aziendali che si sono ripromessi di studiarla, rimandando il tutto al 16 marzo.
I soliti riformisti con il posto fisso assicurato, sempre pronti a pontificare sulla pelle dei lavoratori, già criticano il comportamento della Fiom, senza il minimo rispetto per operai che sono andati a lavorare fino alla Sevel, in Abruzzo (in cambio di una diaria aggiuntiva di 60 euro).
La Bertone è stata l’alta moda dell’automobilistica: ha lavorato per Fiat, Opel, Volvo, e persino per Bmw (la famosa tiratura limitata full price della Mini Minor). Si dice anche che qui ci sia il miglior reparto verniciatura d’Europa, un impianto di alta professionalità, perfettamente interconnesso alle arterie ferroviarie e autostradali. E allora, a cosa serve il pugno di ferro?
Anche perché, Marchionne nel 2009 non era l’unico che ambiva agli impianti della Bertone: in pole position c’era anche Gian Maria Rossignolo, il veterano dell’industria piemontese, che si era conquistato anche il favore degli operai con il suo piano industriale. La scelta dei commissari che amministravano l’azienda dopo la morte del vecchio Bertone, però, era caduta sulla Fiat.
Ed è su questo che gli uomini della Cgil si impuntano: la Fiat ha avuto la Bertone al prezzo di 20 milioni di euro perché ne aveva promessi 50 di investimento e la produzione di 2 nuovi modelli Chrysler. Che ad oggi non si sono visti.
Ora la domanda è: per quanto tempo ancora la politica italiana vuole restare a guardare, facendosi prendere in giro da Sergio Marchionne? Il PD non ha da dire una parola chiara al riguardo? Non necessariamente di sinistra, basta che sia di civiltà. A meno che non si voglia implicitamente ammettere di non essere tanto diversi da chi si è giurato di fronte agli elettori di combattere.
E questa, sì, sarebbe una grande sconfitta.