martedì 27 dicembre 2011

Le banche, il credito e la via per uscire dalla crisi
Di Nicola Melloni

Da "Liberazione"

Mercoledì scorso, sotto la minaccia di una recessione che è ormai realtà in Italia e che, grazie anche al patto fiscale voluto dalla Germania, rischia di travolgere tutta l’Europa, la Bce è intervenuta con una immissione di liquidità sul mercato pari a 500 miliardi. Nelle intenzioni di Draghi questa mossa dovrebbe sbloccare il credit crunch, riattivare il credito alle imprese e consentire una maggiore esposizione sul mercato dei titoli pubblici. Immerse di liquidità le banche potranno finalmente fare da volano alla ripresa economica e stabilizzare le economie in crisi.

Purtroppo, queste misure sono insufficienti e partono da una visione distorta del sistema economico. La via scelta per rilanciare l’economia sembra ingegnata soprattutto per favorire la ripresa del settore finanziario che potrà accedere ad una vastissima quantità di risorse ad un prezzo irrisorio. Per capirci, le banche potranno prendere a prestito denaro liquido pagando l’1% di interesse e reinvestirlo in attività senza rischio come i Bund tedeschi, guadagnando il 3-4% senza fare nulla. Ma puntare tutto sull’intermediazione finanziaria rischia di essere controproducente.

Nelle intenzioni della Bce, una parte di questi 500 miliardi dovrebbero essere infatti usati per acquistare titoli di stato, così da rallentare la corsa dello spread, pur mancando la garanzia che le banche comprino bond dei paesi più in difficoltà, come Spagna ed Italia. Soprattutto, rimane inspiegabile perché per sostenere i titoli pubblici si debba passare attraverso il sistema bancario privato, quando la Bce potrebbe intervenire direttamente con la creazione di Eurobond. Ma questa possibilità è esclusa, con la solita scusa che gli Stati devono attuare comportamenti virtuosi per finanziarsi direttamente sul mercato. D’altronde, l’architettura istituzionale europea si basa principalmente sull’indipendenza della Bce, precetto di fede più importante della risoluzione della crisi stessa. Basti pensare alla reazione durissima della Ue contro l’Ungheria che vuole mettere la propria Banca Centrale sotto il controllo del governo. Mentre sulle misure razziste e liberticide del governo di Budapest, le critiche europee sono state assai più contenute, chiarendo una volta di più quali sono le priorità di Bruxells e Francoforte.

Inoltre, nonostante si riconosca che la recessione sia legata alla crisi dell’industria, la UE vieta gli aiuti diretti alle imprese, e dunque nuovamente si passa attraverso il settore finanziario per dare liquidità, senza nessuna garanzia di successo. Il mercato non può essere drogato dall’aiuto diretto dello stato. Ma questo non vale per le banche che possono usufruire di prestiti a tassi agevolati e vengono protette da garanzie pubbliche. Se si intervenisse con aiuti diretti alle imprese, queste si potrebbero finanziare al tasso offerto dalla Bce alle banche, l’1%. Invece, le banche rimetteranno il denaro in circolazione a tassi 4-5 volte superiori sfruttando una rendita di posizione per rimpinguare i propri forzieri a danno dell’industria.

Più in generale, la Bce continua ad usare palliativi, seppur necessari, senza intervenire sui problemi di struttura. L’immissione di liquidità può aiutare a superare un problema provvisorio di fiducia, ma non può essere la soluzione della crisi che ci attanaglia da ormai quattro anni. Sul fronte delle banche, invece di continuare ad inondarle di denaro e protezioni, bisognerebbe mettere mano alla loro struttura istituzionale, che al momento ci costringe a continuare a finanziarle e salvarle, pena il blocco dell’industria ed il fallimento degli Stati.

Sul piano economico, si continua a puntare su soluzioni di puro supply side, riattivare la produzione con il credito bancario, mentre i governi fanno di tutto per deprimere la domanda con tasse e tagli. Il problema è che anche con nuove possibilità di accesso al credito le imprese non avranno interesse ad investire se al contempo non riprende la domanda. Si tratta del la classica critica keynesiana all’incapacità del liberalismo di risolvere le crisi di sovrapproduzione. Se una parte di quei 500 miliardi fossero usati per assumere, aumentare i salari e sostenere il consumo privato, l’industria avrebbe la possibilità di aumentare vendite e profitti, riattivando un ciclo virtuoso di crescita. Purtroppo le soluzione logiche e non ideologiche sembrano non interessare le istituzioni europee.

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Questo potrebbe essere l'ultimo editoriale di Nicola per "Liberazione", su cui scrive gratuitamente e che da un anno regala anche a questo blog il suo lavoro. Se "Liberazione" chiude, anche "Resistenza Internazionale" perde in modo diretto qualcosa di importante. Se non hai ancora firmato il nostro appello contro i tagli all'editoria, che condannano a scomparire un centinaio di testate oltre a "Liberazione", sei ancora in tempo per farlo, cliccando QUI.
Monica


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