sabato 9 marzo 2013

Nuovo presidente, programma anti-crisi e cambio di marcia: proposte per una exit strategy dallo stallo politico

L'impasse politico pare senza via d'uscita, soprattutto per il PD, incastrato tra la Scilli di una alleanza col M5S (e con il conseguente ricatto di Grillo) e la Cariddi di un governissimo che rischierebbe di polverizzare la già traballante credibilità dei democrats. 
Bersani pare indirizzato a tutta forza verso la prima opzione, anche se Grillo gli ha per ora sbattuto tutte le porte in faccia - come era assai facile prevedere, il M5S ha poco da guadagnare a sostenere un governo della cosiddetta "casta".  Altri settori del suo partito - sempre gli stessi - vorrebbero un accordo con Berlusconi, per ora negato dalla direzione. Dietro loro soprattutto Napolitano che pare non voglia governi di minoranza e veda dunque di buon occhio un nuovo governo tecnico o addirittura una ammucchiata PD-PDL (e perché no, Monti). 
In entrambi i casi - anche se il secondo è infinitamente peggio del primo - i rischi sono grandissimi e le possibilità di riuscita estremamente basse. E bisognerebbe quindi forse pensare ad una alternativa, magari un ritorno alle urne, sperabilmente con una nuova legge elettorale. 

Prima però ci sarebbe da eleggere il Presidente della Repubblica e qui il PD potrebbe far vedere di avere imparato le lezioni della sconfitta elettorale. Gli Italiani hanno chiesto un gesto netto di discontinuità e di cambiamento, basta con la vecchia classe politica, basta con i vecchi accordi. Quindi, ovviamente, no a D'Alema, ma anche Finocchiaro, Prodi e Amato non sono assolutamente compatibili con l'attuale situazione politica. Bisognerebbe individuare una figura di grande prestigio e che interpreti il ruolo in maniera totalmente diversa rispetto a quanto fatto da Napolitano. Un presidente che abbia a cuore non tanto la governabilità, la saldezza del sistema politico e tantomeno gli accordi internazionali, non la responsabilità verso i mercati ed i poteri forti ma la responsabilità verso i cittadini e la difesa dei loro diritti  fondamentali (lavoro, sanità e scuola pubblica, tra gli altri). E nessuno meglio di Rodotà - da sempre uno strenuo difensore dei diritti, al di fuori della mischia politica, e candidato di vera rottura - potrebbe dunque ricoprire questo ruolo. Una figura che farebbe capire molto bene agli elettri che il PD ha chiuso la stagione delle crostate e degli accordi col PDL (che mai voterebbe una persona come Rodotà) ed è pronto ad aprire una stagione nuova.

E a quel punto, sfidare Grillo con un programma sociale e radicale, di vero rinnovamento politico e morale che per la prima volta dopo decenni si concentri sui temi più urgenti, quelli che più stanno a cuore all'elettorato e meno all'establishment: sanità e scuola pubblica, no al fiscal compact, nuova legge sul lavoro, spesa sociale per tutelare reddito e consumo. E poi la spending review che tutti si aspettano, quella dei privilegi, ancora più insostenibili in un paese in crisi: costi della politica ma anche e soprattutto pubblica amministrazione, autoblu ma anche i compensi per i consiglieri di amministrazione delle società pubbliche e benefit dei manager pubblici. Continuando con un tetto massimo a pensioni (anche se si toccano diritti acquisiti, come se non si fossero finora toccati quelli dei lavoratori...) e ai salari, come nella comunistissima Svizzera. Un segnale chiaro, in netta controtendenza a quelli dati finora: nella crisi devono cominciare a pagare quelli che stanno meglio. Non basta: ci sono spese che in questo momento non possiamo sostenere, a cominciare da TAV e F35. A prescindere dal merito, comunque discutibile, bisognerebbe comunque spiegare che in un momento in cui tutti stringiamo la cinghia la nostra prima preoccupazione è che tutte o quasi le risorse disponibili vadano verso il welfare dei cittadini e gli aiuti alle imprese. 
Con un tale programma si può e si deve sfidare il M5S in Parlamento o alle urne, senza alcun timore, per offrire una alternativa progressista e di sinistra alla rabbia e al disagio sociale.

In questo senso il discorso di Bersani in direzione ed il suo programma è un passo nella giusta direzione, ma ancora troppo timido e incerto. Mentre questo è il momento delle scelte decise. Bisogna prendere atto non solo della sconfitta elettorale ma del fallimento di un ventennio di moderatismo che ha contribuito a mettere il paese in ginocchio.  I cosiddetti giovani turchi del partito (Orfini, Orlando, Fassina, ma anche Civati) hanno già iniziato a farlo. Non serve un cambiamento di facciata, gattopardesco, con facce nuove alla Renzi e la riproposizione degli stessi programmi già superati dalla crisi del mercato e dell'Europa.  
Una inversione di 180 gradi rispetto all'ultimo PD ed una scommessa su un nuovo assetto politico che finalmente guardi in faccia la realtà della crisi e dei bisogni dei cittadini. Un percorso strettissimo, ma certo meglio dei ricatti di Grillo e Berlusconi.